Marco Renaudo

Marco Renaudo

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L'economia Circolare

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 02.11.2021

Per Economia Circolare si intende quel modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. L’obiettivo principale è quello di estendere il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Ogni anno, in base ai dati della Banca Mondiale, vengono prodotti 2,01 miliardi di tonnellate di rifiuti solidi urbani. Una media per singola persona, a livello mondiale, di circa 270 kg l’anno di rifiuti generati. Inoltre, i Paesi a reddito più elevato, che costituiscono solo il 16% circa della popolazione globale, generano il 34% dei rifiuti a livello mondiale. Come mostra la Figura 1, soltanto il 20% viene riutilizzato attraverso il compostaggio e il riciclo, mentre l’11% viene incenerito per lo smaltimento finale: in pratica, più del 30% finisce in discariche aperte. Le previsioni sono anche peggiori: i rifiuti generati annualmente a livello globale aumenteranno a un ritmo più che doppio rispetto alla crescita della popolazione, raggiungendo 3,4 miliardi di tonnellate entro il 2050. Risulta quindi evidente come il mondo abbia un importante problema di rifiuti. Proprio per questo un’implementazione su larga scala dell’economia circolare può e deve essere pensata per l’immediato futuro. Bisogna investire in quelle società che, mediante l’utilizzo di nuove tecnologie, puntano ad avere un impatto positivo sia in termini di rendimento sia (e soprattutto) in termini ambientali e sociali. Qualcosa si sta muovendo ed i primi volenterosi investitori possono già toccare con mano quest’ultimo possibile cambiamento economico.  

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Gli Italiani ed il Risparmio

Scritto il 25.10.2021

Come ogni anno, ACRI (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa) ha presentato i risultati dell’Indagine “Gli Italiani e il Risparmio”, che da oltre vent’anni realizza insieme a Ipsos. I principali risultati sono suddivisi in due macro aree: la prima consente di delineare quali siano oggi il livello di soddisfazione per la propria situazione economica e tenore di vita, l’atteggiamento e la propensione verso il risparmio, evidenziando i cambiamenti rispetto al passato; la seconda è focalizzata sul tema specifico della Giornata “Risparmio privato e risorse europee per la ripartenza del Paese”. Che cosa ci ha comunicato il campione intervistato? Il contesto in cui ci muoviamo quest’anno è diverso da quello di 12 mesi: il senso di pericolo e minaccia derivante dal Covid si è notevolmente ridotto, inducendo più della metà degli italiani (54%) a pensare che il peggio sia alle spalle e che l’emergenza sanitaria abbia una fine sempre più prossima. Questo induce a focalizzare sempre più l’attenzione su dinamiche, progetti, preoccupazioni di matrice economica, ampliando le proprie prospettive verso un orizzonte a medio termine. Si conferma l’evidenza colta lo scorso anno: vi è un’ampia quota di italiani in grado di resistere alle difficoltà (38%), con una situazione economica in miglioramento (13%), accanto a una quota non trascurabile, e in crescita, che ha esaurito o si rende conto di essere prossima ad esaurire le risorse a propria disposizione, sottolineando gravi mancanze (49% vs 47% nel 2020). Il 62% è molto o abbastanza appagato dalla situazione economica familiare o personale attuale, a fronte di più di un quarto degli italiani (27%) non soddisfatto dell’andamento delle finanze familiari e di una percentuale non trascurabile (11%) che si dichiara molto preoccupata. Non bisogna ignorare che un quinto delle famiglie dichiara di essere stato colpito direttamente dalla crisi negli ultimi 12 mesi, trovandosi a dover gestire la perdita del posto di lavoro (12%) o condizioni retributive peggiori (10%). Rimane sempre molto alta la percentuale di italiani che sono riusciti ad accumulare risparmi negli ultimi 12 mesi e che lo hanno fatto con tranquillità (45%) guardando soprattutto al futuro. Al contempo, però, è tornato a risalire, rispetto al 2020, il numero di famiglie che ha fatto ricorso a risorse proprie o a prestiti (19% vs 16% nel 2020), descrivendo quindi, una situazione meno rosea che ha portato ad associare il risparmio a un senso di sacrificio. Altri due aspetti da evidenziare, rispetto allo scorso anno, sono: da un lato, gli aiuti europei e il PNRR, dall’altro, la fiducia nel Governo e nel suo operato, che portano il 40% degli italiani ad intravedere prospettive di miglioramento per l’Italia e l’Europa nei prossimi anni. È forte e condivisa la necessità di un modello inclusivo che “non lasci indietro nessuno” nel recupero sociale: abbiamo visto, infatti, come l’uscita dall’emergenza sanitaria rischi di allargare la forbice tra chi sta meglio e chi invece è in difficoltà. Dall’indagine risulta però ancora come gli italiani siano un popolo di risparmiatori non investitori: più del 60% degli intervistati dichiara infatti la propria preferenza nei confronti della pura liquidità. Sebbene, rispetto al 2020, l’interesse dichiarato verso forme di investimento sia cresciuto (37% vs 35% nel 2020), tale miglioramento ancora non basta: solo il 28% afferma infatti che sia meglio investire il proprio risparmio piuttosto che tenerlo liquido. 

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Imposte di successione sempre sotto i riflettori

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  • Pianificazione successoria
Scritto il 20.10.2021

La proposta di aumentare la tassa di successione per i più ricchi torna ciclicamente sul tavolo della politica, l’ultima volta questa estate con lo scopo di generare un tesoretto destinato ai diciottenni italiani. Apparentemente accantonata, l’iniziativa ha comunque riacceso i riflettori sull’importanza della pianificazione fiscale. L’idea è quella di alzare le aliquote sull'imposta portando dal 4 al 20% la percentuale massima di tassazione per le eredità e le donazioni tra genitori e figli superiori a 5 milioni di euro. Un’operazione che porterebbe circa 2,8 miliardi nella disponibilità dello Stato. Ma come funziona oggi la tassazione sulle successioni? Oggi su successioni o donazione di beni immobili si paga una aliquota del 4% del valore netto se l'erede è il coniuge o un parente in linea retta, con una franchigia di un milione di euro. Aliquota che sale, nel caso l'erede sia fratello o sorella, al 6% (con franchigia di 100.000 euro) ovvero senza alcuna franchigia se si tratta di un parente fino al quarto grado: in tutti gli altri casi, l’aliquota è dell'8% senza l’applicazione di alcuna franchigia. Secondo l'Osservatorio sui conti pubblici italiani, il gruppo di ricerca dell'Università Cattolica guidato da Carlo Cottarelli, l’attuale gettito dell'imposta è modesto e significativamente inferiore a quello degli altri principali paesi europei. La ragione? Anche sopra i 5 milioni di euro nel nostro paese l'aliquota di tassazione per eredità o donazioni tra genitori e figli, è attualmente al 4%, tra le più basse d'Europa: in Germania è al 30%, in Spagna al 34%, in Gran Bretagna al 40% e in Francia al 45%. Sempre secondo l'Osservatorio, se si considera un'eredità del valore netto di 1 milione di euro lasciata da un genitore al proprio figlio, in Italia la franchigia di 1 milione è sufficiente a evitare completamente l'imposizione, mentre in Spagna l'imposta ammonterebbe a circa 335.000 euro, in Francia a 270.000, nel Regno Unito a 245.000 e in Germania a 115.000. Oggi le norme di contrasto all'elusione fiscale sono sempre più efficaci ma il fisco offre molti incentivi e opportunità di ridurre il carico fiscale e la pianificazione fiscale è un'attività perfettamente lecita (come sancito dallo Statuto del Contribuente). Tuttavia, in un contesto di complessità crescente, la gestione della fiscalità non può essere improvvisata. Da un lato deve selezionare gli strumenti e le operazioni che consentano di pagare meno tasse fiscale sul reddito, sul patrimonio e sul trasferimento della ricchezza personale o di posticiparle. Dall’altro occorre bilanciare rischi e benefici tenendo sempre in primo piano gli obiettivi di vita, quelli che devono necessariamente guidare ogni scelta. Per esempio, nell’ambito della protezione patrimoniale, per mettere in sicurezza il patrimonio familiare occorre innanzitutto attuare una pianificazione successoria. Deve essere tracciato il passaggio generazionale tenendo sempre presenti i vantaggi fiscali delle polizze assicurazione sulla vita ramo I e ramo III.  

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Ruolo delle Polizze vita nella Successione

Scritto il 07.06.2021

Il patrimonio personale di una persona può essere trasferito agli eredi in diversi modi. Uno strumento spesso usato per finalità successorie è però rappresentato dalla classica polizza vita. Tale strumento finanziario gode infatti di una notevole flessibilità, sia dal punto di vista dell’investimento stesso (abbiamo varie tipologie di polizze più o meno difensive: gestioni separate, unit linked, multiramo…) sia per quanto riguarda la possibilità di trasferire il proprio patrimonio (tutto o in parte) al di fuori del classico asse ereditario (il beneficiario della polizza può infatti sia essere un erede legittimo sia un qualsiasi soggetto terzo). Infine, caratteristica da non sottovalutare, il capitale inserito all’interno di una polizza vita, non rientrando nell’asse ereditario, non è soggetto all’imposta di successione. Uscendo poi dal discorso successorio, è giusto ricordare che le polizze vita godono anche di ulteriori benefici: Differimento dell’imposta sul capital gain al momento del riscatto/decesso Possibilità di convertire il capitale assicurato in una rendita vitalizia, anche reversibile Impignorabilità e insequestrabilità secondo i termini di legge Possibilità di proteggere il patrimonio mediante la sottoscrizione di una gestione separata che “garantisce” il capitale assicurato al verificarsi del caso morte.   Proprio in virtù di tutti questi vantaggi, le polizze vita sono sempre più diffuse nel mondo del risparmio italiano. D’altronde, perché non approfittarne?

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La successione e le sue aliquote

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  • Consulenza patrimoniale
Scritto il 31.05.2021

Ad oggi, in tema di imposte di successione, la legge prevede l’applicazione di un’aliquota: del 4%, per i trasferimenti effettuati in favore del coniuge o di parenti in linea retta (ascendenti e discendenti) da applicare sul valore complessivo netto, eccedente per ciascun beneficiario, la quota di 1 milione di euro; del 6%, per i trasferimenti in favore di fratelli o sorelle da applicare sul valore complessivo netto, eccedente per ciascun beneficiario, 100.000 euro; del 6%, per i trasferimenti in favore di altri parenti fino al quarto grado, degli affini in linea collaterale fino al terzo grado, da applicare sul valore complessivo netto trasferito, senza applicazione di alcuna franchigia; dell’8%, per i trasferimenti in favore di tutti gli altri soggetti da applicare sul valore complessivo netto trasferito, senza applicazione di alcuna franchigia. Paragonando tali aliquote con quelle applicate nel resto dell’Europa, è possibile notare come l’Italia rappresenti ancora oggi un vero e proprio paradiso fiscale in termini di imposte successorie. Una domanda sorge però spontanea, sarà ancora così a lungo? Molto probabilmente no. Dati Istat alla mano, nei prossimi 20 anni si assisterà al più grande trasferimento di fondi, tra una generazione e l’altra, mai registrato. Ciò rappresenta una grandissima opportunità fiscale per il nostro Paese. In aggiunta a quest’ultimo punto, sia l’Unione Europa sia il Fondo Monetario Internazionale hanno più volte suggerito all’Italia di allinearsi agli altri Paesi Sviluppati e, quindi, di andare a ritoccare al rialzo le aliquote di successione attualmente in vigore.  Alla luce di tutto ciò, cosa possiamo fare per tutelare al massimo il nostro passaggio generazionale? Per prima cosa dobbiamo avere bene in mente quali beni vengono tassati e quali no. Possiamo così notare come ci siano tutta una serie di strumenti finanziari che, ancora oggi, non rientrano nel cosiddetto “asse ereditario”, sfuggendo cioè alle varie aliquote di successione. Perché non approfittare di tali strumenti per ottimizzare la propria successione?    

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Successione e fiscalità

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  • Consulenza patrimoniale
Scritto il 25.05.2021

Negli ultimi giorni, uno dei temi più discussi in Italia è stato quello riguardante la cosiddetta “Successione”. Più nel dettaglio, si è molto discusso della fiscalità ad essa legata. In generale, la pressione fiscale italiana è fra le più elevate in Europa. Nonostante ciò, la tassa di successione si muove in una direzione diametralmente opposta: risulta infatti essere una delle più contenute all’interno del panorama europeo. Sulla questione è intervenuta anche l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) chiedendo a più riprese di incrementare il peso delle tasse di successione. La ragione? Tassare poco le eredità tende a mantenere intatte, se non ad accrescere, le diseguaglianze sociali. L’Ocse ha infatti affermato che “La tassazione delle successioni può svolgere un ruolo particolarmente importante nel contesto attuale. La disuguaglianza nella ricchezza è elevata ed è aumentata in alcuni paesi negli ultimi decenni. Le eredità sono anche distribuite in modo diseguale tra le famiglie, ed è probabile che crescano in valore e in numero. La crisi del Covid-19 metterà i paesi sotto maggiore pressione per aumentare le entrate aggiuntive e affrontare le disuguaglianze, che si sono aggravate dall’inizio della pandemia”. Che cosa succederà quindi all’imposta di successione italiana nei prossimi anni? E se la tanto agognata “Patrimoniale” vestisse proprio questi panni?

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Come il Recovery Plan cambierà economia e investimenti

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 03.05.2021

Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) mira a riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica per affrontare le debolezze strutturali dell’economia italiana. Tra i capitoli previsti, la digitalizzazionee la transizione energeticarivestiranno un ruolo primario. Un dispiegamento di energie senza precedentiche creerà ottime opportunitàanche in ottica di investimento.   Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che l’Italia deve presentare alla Commissione europea nell’ambito del Next Generation EU, è strategico per dare una risposta alla crisi pandemica e rilanciare la ripresa economica. Riforme e investimenti che si inseriscono all’interno di un progetto economico a lungo termine, con implicazioni rilevanti anche per gli investimenti. Il Recovery Plan è uno strumento programmatico pensato per centrare due obiettivi chiave: riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica e contribuire ad affrontare le debolezze strutturali dell’economia italiana, ulteriormente rallentata dalla crisi sanitaria. Il programma di snoda in sei missioni, stabilite da Bruxelles, per le quali sono stanziati fondi specifici con l’obbligo di rendicontazione all’Unione europea. I sei capitoli sono: Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura Rivoluzione verde e transizione ecologica Infrastrutture per una mobilità sostenibile Istruzione e ricerca Inclusione e coesione Salute   In totale all’Italia arriveranno 222,1 miliardi di euro, comprensivi dei 191,5 miliardi finanziati da Bruxelles (PNRR e Fondo React-EU) e 30,6 miliardi di euro provenienti dal Fondo nazionale complementare. Nello specifico, 68,9 miliardi sono sovvenzioni, mentre la parte più consistente, 122,6 miliardi di euro, sono prestiti che andranno rimborsati. Tra i sei obiettivi del Recovery Plan, a quelli climatici dovrà essere destinato almeno il 37% degli investimenti, mentre per la digitalizzazione la quota non può essere inferiore al 20%. La transizione energetica e la digitalizzazione, due trend che già stanno caratterizzando il mondo degli investimenti, diventeranno ancora più centrali. Nella transizione energetica, primeggiano energia rinnovabile, riqualificazione degli edifici, elettrificazione della mobilità, economia circolare e idrogeno. Sul fronte della digitalizzazione, si punterà a potenziare le reti di comunicazione, grazie al 5G e alla fibra, ma anche cloud computing e ammodernamento delle pubbliche amministrazioni. L’Italia, insieme alla Spagna, è il Paese a cui toccherà la quota più alta come finanziamento a fondo perduto (68,09 miliardi di euro). Anche il capitolo "Istruzione e ricerca" potrebbe ricoprire un ruolo importante nel rilancio del Paese. L’Italia, infatti, ha dovuto rinunciare al contributo di molti laureati che si sono trasferiti all’estero. Il Recovery Plan potrebbe essere un’occasione per ridurre il gap con i Paesi più votati alla ricerca, aumentando attorno al 2% la quota del Pil per le spese per la ricerca. Una peculiarità di questo piano d’azione è legata ai tempi di attuazione. Se come auspicabile le tempistiche saranno rispettate entro il 2026, un’enorme quantità di risorse affluirà nel sistema Italia e non solo, offrendo grandi opportunità di crescita ma anche di investimento.   Fonte: Fineconomi 

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Ieri e oggi, un anno di Covid

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 23.04.2021

A poco più di un anno di distanza dall’inizio della pandemia da Covid-19, com’è cambiato lo scacchiere delle più grandi superpotenze mondiali? Se, da un lato, possiamo dire che tutti i Paesi del mondo hanno subito un fortissimo contraccolpo iniziale dallo scoppio della crisi sanitaria, dall’altro non si può affermare con altrettanta facilità che le varie economie abbiano risposto allo stesso modo al proseguire della pandemia. Ancora oggi, nonostante si cominci a vedere uno spiraglio di luce in fondo al tunnel, le superpotenze mondiali si trovano in situazioni diverse per quanto riguarda la ripresa: alcune economie, Cina e USA su tutte, hanno ripreso la corsa e viaggiano veloci verso i livelli pre Covid-19; l’Europa fatica tra un lockdown e l’altro; i “Paesi Emergenti” si trovano ancora in una situazione di crisi con numeri in aumento e sempre più malati. Nel 2019 la classifica delle più grandi economie era la seguente: Nel 2020 qualcosa è cambiato… È facile vedere come le prime quattro superpotenze siano rimaste ai loro posti: gli USA rimangono saldamente al comando, la Cina continua la sua rincorsa (le ultime previsioni parlano di un possibile sorpasso da qui al 2030) e la Germania si conferma la prima potenza europea al mondo. La prima differenza è data dall’India che perde una posizione a discapito del Regno Unito. L’India è stata infatti fortemente colpita dal Covid-19: basti pensare che nel primo trimestre del 2020 il Pil del paese si è contratto del 23,9% su base annua. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, l’India non recupererà la sua posizione sino al 2023, sempre che il continuo aumentare dei casi Covid-19 non porti ad un nuovo blocco del Paese (l’India ha recentemente superato il Brasile diventando così il secondo paese al mondo per casi di positività al virus). Altra differenza si ha in chiusura della classifica: il Brasile infatti lascia il posto alla Corea del Sud. Anche in questo caso non dobbiamo essere stupiti di questo cambio: il Brasile è infatti il terzo paese per numero di contagi, ancora oggi il sistema sanitario è all’orlo del collasso e la sua economia continua a risentirne. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, non rivedremo il Brasile nella top 10 fino al 2026 (Covid-19 permettendo). Al contrario, la Corea del Sud è stato uno dei primi Paesi ad armarsi contro l’arrivo del virus e questa sua pronta reazione ha sicuramente limitato gli effetti negativi sull’economia interna (l’export di semiconduttori ha poi giocato un ruolo fondamentale nella crescita del Paese e continuerà a farlo anche nei prossimi anni). L’Italia, nonostante i numerosi problemi interni ed i continui lockdown, rimane comunque all’ottavo posto della classifica.

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Quanto ci costa la liquidità?

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  • Banche e prodotti bancari
Scritto il 06.04.2021

Analizzando la composizione dei portafogli delle famiglie italiane, è possibile notare un forte peso delle componenti Liquidità (31,4%) e Titoli Obbligazionari (8,6%) a discapito degli strumenti che vengono solitamente ricondotti al mondo del risparmio gestito (Fondi comuni e/o strumenti Assicurativi e Previdenziali). Tale composizione è sicuramente dettata dalla grande influenza che il mondo bancario ha nel nostro paese: non a caso i depositi sono lo strumento maggiormente diffuso. In altri paesi, come Stati Uniti e Regno Unito, dove la componente bancaria è meno forte e impatta meno sulle scelte di investimento delle persone, ecco che vediamo emergere il mondo del risparmio gestito. Ma come impatta questa differenza di strategia nella vita di tutti i giorni? Prendendo in considerazione il decennio 2006-2016 e ipotizzando di investire la liquidità italiana seguendo le strategie di investimento di Canada, Regno Unito e Stati Uniti, possiamo notare una grandissima differenza sul piano dei rendimenti: Investendo il 7,3% di liquidità in azioni globali, ovvero la differenza tra la quota media di liquidità italiana (31,4%) e quella media canadese (24,1%), il portafoglio delle famiglie italiane avrebbe beneficiato di un rendimento aggiuntivo del +12,5%. Investendo il 10,4% di liquidità in azioni globali, la differenza tra la quota media di liquidità italiana (31,4%) e quella media britannica (21%), il portafoglio delle famiglie italiane avrebbe avuto un extra rendimento del +17,5%. Investendo il 17,8% di liquidità in azioni globali, la differenza tra la quota media di liquidità italiana (31,4%) e quella media statunitense (13,6%), il portafoglio delle famiglie italiane avrebbe avuto un rendimento aggiuntivo del +30,2%. Fonte: Financialounge.

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Strategie di lungo termine e Risparmi

Scritto il 29.03.2021

A livello europeo, gli italiani possono vantare di essere la popolazione che più risparmia anno su anno. Il grande problema però è dato dal fatto che questi risparmi non vengono investiti, ma dimenticati e abbandonati sui conti correnti. Un comportamento di questo tipo è sicuramente dettato da un desiderio di protezione e da una fortissima avversione alla paura: paura di perdere denaro, paura di non essere pronti alle avversità della vita, paura di non riuscire a soddisfare i propri bisogni un domani. Certamente le incertezze generate dalla pandemia di Covid-19 hanno giocato un ruolo attivo nella tendenza al risparmio degli italiani, ma l’assenza di una strategia d’impiego di questi capitali è di lunga data. Un ragionamento di questo tipo non è affatto sbagliato, è però inefficiente. Una strategia finanziaria, assicurativa e previdenziale di lungo termine potrebbe infatti permettere di raggiungere i medesimi obiettivi ma in maniera più proficua. L’immagine mostra la percentuale di persone che dichiarano di avere obiettivi finanziari a lungo termine sforzandosi di raggiungerli. Appare abbastanza chiaro il gap tra l’Italia e gli altri paesi (sia quelli più sviluppati sia i cosiddetti “paesi emergenti”). Tale divario dovrebbe anche aiutarci a cogliere il nostro enorme potenziale inespresso negli ultimi anni in termini di pianificazione e gestione dei risparmi.

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“Due strategie a confronto: PIC e PAC”.

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  • PAC Piano accumulo capitale
Scritto il 02.03.2021

Entrando nel mondo degli investimenti potremmo imbatterci in due “sigle” particolari: PIC e PAC. Questi due acronimi tanto simili hanno in realtà un significato completamente diverso: nel primo caso si parla di Piano di Investimento di Capitale, nel secondo di Piano di Accumulo di Capitale. Sottoscrivendo un PIC decidiamo di investire i nostri soldi tutti in un’unica volta; scegliendo un PAC, invece, andiamo a diluire il nostro investimento nel tempo (ad esempio possiamo decidere di investire ogni mese una determinata somma per un determinato periodo). Come scegliere l’uno o l’altro? Molto dipende dai nostri bisogni e dalle nostre possibilità. Chi ha un capitale sul conto corrente potrebbe essere più interessato ad un PIC così da entrare sul mercato e approfittare di possibili rialzi; chi invece non possiede una somma di partenza potrebbe essere intenzionato a crearsela e quindi sottoscrivere un PAC per mettere da parte tutti i mesi una certa somma (anche “solo” 50 euro). I più “coraggiosi” potrebbero scegliere un PIC per entrare nel vivo sin da subito; i più “indecisi” potrebbero preferire un PAC per investire in più momenti ed essere così sicuri di star facendo la scelta giusta. Insomma, la scelta tra PIC e PAC non è un qualcosa di prefissato o di prestabilito. Nella vita di tutti i giorni, queste due strategie sono molto spesso complementari e la loro unione si sposa bene con i diversi bisogni dell’investitore. L’importante è decidere di fare qualcosa: mantenere la liquidità sul conto corrente è purtroppo dannoso, mentre questa doppia strategia di investimento ci permette di entrare nei mercati come meglio crediamo. PIC per chi non vede l’ora di togliersi la liquidità dal conto, PAC per chi ha bisogno di una conferma in più prima di lanciarsi.

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Volatilità sui mercati finanziari

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 25.02.2021

Nelle ultime settimane i mercati finanziari sono stati caratterizzati da un forte ritorno della volatilità: si sono alternati giorni in cui sembrava non potessero far altro che salire e giorni in cui, invece, sembravano destinati a crollare. Le previsioni ci dicono che questo periodo di volatilità (per quanto quest’ultima sia sempre esistita nei mercati e sempre esisterà) non sarà poi così breve. Nell’anno in cui ci si aspetta una ripresa economica ed un attenuarsi della crisi sanitaria causata dal Covid, la nostra emotività continuerà a giocare un ruolo chiave sulle scelte finanziarie. Già nel 2020 gli investitori sono stati messi alla prova dal punto di vista emotivo a causa del crollo generale dei mercati a cui abbiamo assistito a fine febbraio. Crollo breve ma sicuramente intenso: per quanto poi la ripresa sia stata veloce, un evento del genere lascia una gran paura che possa succedere di nuovo. Questo ricordo torna alla mente ogniqualvolta sui mercati si scende con forza. E non importa che poi si possa tornare a salire e riprendere a guadagnare: quella paura sarà sempre presente nella nostra mente. Come combattere quindi quell’irreprensibile voglia di vendere tutto e non pensarci più?   FOCUS SULLA NOSTRA ASSET ALLOCATION. Perché abbiamo investito in quel settore piuttosto che in un altro? Quali sono le prospettive future di quel settore? Essere consapevoli delle scelte fatte e delle previsioni sul nostro investimento rappresenta il primo passo per non farsi prendere dall’ansia in tempi di crisi. FOCUS SUL NOSTRO ORIZZONTE TEMPORALE. Bisogna sempre essere consci di dove vogliamo arrivare: un portafoglio costruito per resistere nel tempo non teme le intemperie di breve periodo. Non ha senso giudicare dopo 6 mesi un investimento fatto in un’ottica di medio-lungo periodo (ad esempio 5 anni) solo perché il mercato sta scendendo o perché si teme il peggio. NON GUARDARE TUTTI I GIORNI I RISULTATI OTTENUTI, ci pensa il consulente. Guardare tutti i giorni la variazione del proprio portafoglio genera di solito euforia quando tutto sale e paura quando si scende. Nel primo caso si è felici e contenti, nel secondo, oltre a non chiudere occhio la notte, non si vede l’ora di vendere tutto e non rientrare mai più.

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