Roberto Aprile

45 post - 4.376 letture


INVESTIRE AL MEGLIO COME IMPOSTARE UN PORTAFOLGIO EFFICACE ED EFFICIENTE

  • 109
  • 0
  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 02.08.2021

Una volta stabilito come allocare le risorse, in base alle diverse esigenze di investimento, è necessario accertarsi del livello di efficienza e di efficacia di ciascuna componente del portafoglio. L’efficienza e l’efficacia non dipendono dai prodotti inseriti, ma dalla progettazione, sintetizzata dal benchmark. Come abbiamo visto nel precedente articolo, a seconda che l’esigenza sia diretta a conservare il valore del capitale, per avere la sicurezza di affrontare le spese attuali, oppure diretta ad elevarne il valore nel tempo, al fine di conservare il proprio tenore di vita anche in futuro, le risorse devono essere impiegate secondo differenti profili di rischio e rendimento. Realizzato questo, potrebbe sembrare che manchi solo di cercare nel dettaglio gli strumenti sul mercato. In realtà, partire dai prodotti porterebbe, con tutta probabilità, ad effettuare scelte errate. Ognuno di essi, infatti, risente dei comportamenti del gestore o comunque di fattori particolari, inerenti al mercato, non facilmente valutabili ex ante, che costituiscono il cosiddetto “rischio specifico”. Prima di scegliere i prodotti è necessario definire l’investimento: infatti i singoli prodotti possono essere valutati solo se confrontati con i mercati di riferimento. Lo strumento che descrive il mercato o l’insieme dei mercati in base alla strategia scelta è il benchmark il quale è composto da un insieme di indici che rappresentano i mercati nei quali si ha interesse ad operare, e che quindi rappresenta l’elemento che consente di valutare il grado di coerenza del portafoglio da costruire, e rende possibile confrontarne il comportamento. La scelta dei prodotti di per sé risulta perciò meno importante di quanto si possa immaginare. Prima di ogni cosa, è veramente importante valutare alcuni aspetti che influenzano direttamente il grado di efficienza e di efficacia della strategia scelta. Solo dopo è possibile procedere alla scelta dei prodotti, che nel loro complesso andranno a costituire l’elemento operativo della strategia, e che dovranno rappresentare l’unione funzionale e sinergica ad essa più aderente. Efficacia ed efficienza del benchmark Perciò, la prima cosa da valutare è appunto l’efficacia del benchmark, il cui grado di rischio può essere considerato almeno a due diversi livelli di valutazione, e cioè: a) il rischio potenziale implicito, quantificabile attraverso l’osservazione delle oscillazioni delle performance mensili storiche, rilevate in un arco temporale adeguato (almeno 60 mesi). Lo strumento statistico più comunemente utilizzato a questo fine è la deviazione standard, la quale misura appunto quanto le singole oscillazioni mensili divergono dalla loro media: più le singole oscillazioni risultano distanti da essa, maggiore è il rischio totale dell’investimento. Sommando e sottraendo alla media aritmetica la deviazione standard, si ottiene la zona di oscillazione delle performance mensili del benchmark. b) il rischio di perdita. L’atteggiamento più comune dell’investitore è l’avversione alle perdite. Tale atteggiamento è peraltro comprensibile, se non fosse che presenta anche aspetti contraddittori. E’ stato statisticamente rilevato come, quando si tratta di investire nella prospettiva di realizzare guadagni, per la maggior parte dei risparmiatori il rischio sia un elemento da considerare con cautela. Mentre invece, durante le flessioni dei mercati tale avversione viene meno, e gli stessi investitori dimostrano maggiore disponibilità a correre ulteriori rischi, pur di evitare di riportare perdite. Tutto ciò la dice lunga sull’aspetto psicologico e non razionale della questione. L’avversione al rischio non rappresenta quindi una razionale scelta di criterio gestionale, ma l’atteggiamento che l’interessato dimostra verso di esso. Si comprende come la questione rivesta particolare rilevanza, in quanto fa dipendere la scelta dello stile di investimento dall’interpretazione personale del rischio: se cioè il rischio di perdita è interpretato come probabilità oggettiva di realizzare un risultato inferiore al capitale inizialmente investito, oppure se esso è interpretato come possibilità di realizzare la massima perdita assolutain un determinato arco temporale. Nel primo caso, considerando la probabilità oggettiva della perdita sul capitale iniziale, si dovrà cercare di individuare il benchmark più efficiente rispetto al risultato atteso, accettando l’assunto che all’aumentare del periodo di tempo, la probabilità di perdita si riduce più che proporzionalmente (cosa del resto rilevabile dall’osservazione storica degli investimenti in generale).  Nel secondo caso, laddove viene considerata la probabilità di perdita massima assoluta, il benchmark va scelto in rapporto alla soglia di tolleranza psicologica; perciò va individuato innanzitutto il potenziale di perdita massima che il benchmark può conseguire in un determinato periodo di tempo, e qualora questo risultasse compatibile con il proprio grado di tolleranza, accettarlo come un elemento fisiologico dell’investimento. Ciò consente di resistere al panico, in caso di crollo dei mercati, evitando di abbandonare l’investimento nel momento peggiore, e subire così forti perdite. Riguardo all’efficienza, il benchmark va valutato in base alla sua potenziale capacità di remunerare il rischio. L’efficienza è data dal rapporto tra il rendimento del benchmark (media aritmetica delle performance mensili reali) e il rischio (deviazione standard, ovvero il grado dell’oscillazione delle singole performance mensili intorno alla propria media, come abbiamo visto). Tecnicamente, questo rapporto viene nominato trade-off. L’efficienza del benchmark deve essere costante nel tempo. Per valutare oggettivamente questo elemento, bisogna osservare per un numero di periodi sufficientemente ampio (almeno 60 mesi), l’allineamento dei valori della deviazione standard e dei rendimenti in diversi scenari di mercato: se la media dei rendimenti è positiva, e se il rendimento ottenuto in ciascun periodo osservato è proporzionale al rischio, possiamo assumere il benchmark come efficiente. Se invece in tutti i periodi analizzati non sembra esistere alcuna relazione stabile tra le variabili rischio e rendimento, allora dobbiamo concludere che il benchmark è inefficiente. Inutile dire che effettuare simili valutazioni, per motivi tecnici, richiede l’apporto di un professionista. Fin qui, però lo scopo è stato di rendere consapevole il lettore, specie se inesperto, di quanto l’attività d’investimento non si riduca alla semplice disponibilità finanziaria e alla relativa propensione al rischio, ma richieda conoscenze tecniche, metodo e applicazione. Una volta definito il benchmark, non rimane che tradurlo nelle concrete operazioni d’investimento, costruendo il portafoglio. Naturalmente, sarebbe impensabile, e molto costoso, investire proporzionalmente in tutti i titoli dei mercati rappresentati nel benchmark. Ecco perché, per la realizzazione del portafoglio è necessario ricorrere agli OICR, strumenti finanziari ideali per tale finalità. A quali informazioni ricorrere per selezionarli, e quali sono i criteri per inserirli nel portafoglio saranno gli argomenti che tratterò nel prossimo articolo.

Continua a leggere

INVESTIRE “AL MEGLIO”. ALCUNE INDICAZIONI OPERATIVE PER L’ANALISI DEI BISOGNI.

  • 107
  • 0
  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 19.07.2021

Il percorso tracciato in questo articolo vuole fornire un’idea concreta di ciò che significa “analisi dei bisogni”. Questa operazione è la base della pianificazione finanziaria e va eseguita prima di ogni decisione in merito agli investimenti. Se non affrontata, o affrontata in maniera superficiale, si corre il rischio di progettare un investimento non adeguato  alla propria situazione economico-finanziaria, cosa che il più delle volte porta al fallimento dell’investimento stesso! Naturalmente, la metodologia proposta è solo una dei tanti approcci possibili. In ogni caso, è consigliabile l’apporto di un consulente. Ogni stile di vita esprime determinati bisogni, i quali possono essere tradotti in termini economico-finanziari, possono cioè essere distinti in spese attuali e spese future. Per cui, i bisogni si possono cogliere partendo proprio dall’analisi delle spese. Questa operazione rappresenta la condizione operativa di base per poter investire “al meglio”. Rappresentare quantitativamente i bisogni attraverso le spese, rende possibile distinguere in modo concreto il bisogno dall’aspirazione, e porta ad analizzare il flusso di denaro in uscita e in entrata, con l’identificazione del “saldo di cassa”, cioè della differenza tra entrate e spese. Questa, se di segno positivo, rappresenta il risparmio. Il risparmio accumulato annualmente costituisce la “ricchezza”, cioè quelle risorse attive, che possono essere finalizzate ai consumi futuri. Sottraendo le passività (la totalità dei debiti di breve e di medio-lungo termine) dalle attività, otteniamo la “ricchezza netta”. Dal punto di vista concettuale, l’investimento rappresenta il consumo differito nel tempo. Generalmente, a parità di condizioni, si preferisce consumare oggi, piuttosto che consumare un giorno da venire. Tuttavia alcuni motivi possono indurre aprivarsi di parte delle risorse per gli acquisti immediati, e posticipare il loro consumo nel tempo, purché la rinuncia sia adeguatamente ricompensata.  Questi motivi potrebbero identificare alcuni specifici bisogni, legati per lo più al ciclo di vita, come per esempio creare un fondo a scopo precauzionale, per circoscrivere e limitare l’incertezza del futuro; progettare l’acquisto futuro di beni durevoli; assicurare nel tempo il livello di consumo desiderato; accrescere la ricchezza a vantaggio degli eredi. Il compenso ottenuto in virtù della rinuncia rappresenta non solo un valore aggiunto, ma anche la messa al riparo del potere di acquisto del denaro impiegato.  La scelta del tipo di impiego deve rispondere innanzitutto alla motivazione prevalente. La funzione degli strumenti di investimento è il conseguimento della massima remunerazione possibile.  Tuttavia è tendenza spontanea assumere la remunerazione quale unico criterio di scelta, qualunque sia lo scopo dell’investimento, considerato un “unicum” valido per tutte le finalità da conseguire.  Purtroppo l’alta potenzialità di rendimento implica anche una elevata volatilità, che potrebbe risultare ancora più rischiosa, qualora il portafoglio fosse troppo concentrato su prodotti dello stesso genere, e quindi privo di sufficiente diversificazione. In una tale condizione il conseguimento del risultato atteso verrebbe compromesso; evidenziando l’inefficacia di un portafoglio così concepito. Di contro, allocare risorse destinate a spese future in strumenti a basso potenziale di rischio/rendimento, renderebbe l’attività d’investimento inefficiente. Per facilitare l’individuazione del punto di equilibrio tra efficacia ed efficienza, bisogna individuare le singole esigenze, declinandole per categorie. Per cui conviene classificare le attività a disposizione in relazione alle rispettive destinazioni, le quali rappresentano altrettante aree di bisogno: Liquidità, Riserva, Accantonamento, Accumulazione, Speculazione. Ove lo scopo sia la conservazione del valore del denaro, esso dovrebbe stazionare in strumenti coerenti con le esigenze di liquidità, in genere a breve termine. Tipici di questa categoria sono i certificati di deposito, i fondi monetari, i titoli di stato di breve termine e le obbligazioni con scadenza non superiore ai due anni. Esigenza di liquidità a parte, l’investimento tradizionalmente si declina secondo diversi gradi di rischio e potenzialità di remunerazione. Questo rapporto va sempre calcolato in base agli obiettivi da conseguire. Il bisogno di avere una scorta finanziaria di riserva, al fine di garantirsi per esempio un margine di copertura per eventuali imprevisti e per spese programmate dai 12 ai 36 mesi, richiede l’impiego in strumenti come titoli di stato, certificati di deposito e obbligazioni con durata superiore ai 2 anni, nonché fondi e gestioni obbligazionarie. L’accantonamento, finalizzato a costituire risorse per eventuali prelievi occasionali o per spese programmate dai 36 ai 60 mesi, ricorre a strumenti finanziari che rispondono a criteri di bilanciamento del rischio, come fondi e gestioni bilanciate. L’accumulazione,la quale mira all’incremento della ricchezza per periodi superiori ai 60 mesi, può essere realizzata attraverso fondi e gestioni azionarie. Dall’attività di investimento va invece distinta la speculazione, perché dato il rischio che comporta, non è possibile finalizzarla ad obiettivi attuali o futuri che siano. Le risorse ad essa destinate devono perciò rappresentare la quota di risparmio massima che si intende esporre del tutto al rischio, senza che ciò comprometta la propria serenità finanziaria. I tipici strumenti di questa categoria sono i titoli azionari, i covered warrant, i futures, le option, le cripto valute, ecc. soprattutto se gestiti in proprio, tramite l’attività di trading-on-line. Per realizzare una corretta ripartizione del risparmio, e quindi rispettare la coerenza con la propria situazione economico-finanziaria, occorre che le esigenze vengano quantificate. La quantità delle risorse da impiegare deve cioè essere determinata in rapporto alle relative categorie di bisogno (liquidità, riserva, accantonamento, accumulazione, crescita) e per far questo, occorre dare ai bisogni una attribuzione quantitativa. Il criterio segue il principio per cui va innanzitutto salvaguardata la possibilità di effettuare le spese attuali e quindi creare la condizione per soddisfare, con sufficiente margine di sicurezza, le spese programmate per il futuro. Si parte perciò dall’esigenza di base, la “liquidità”, e si prosegue poi con le successive, la “riserva” e quindi l’”accantonamento”. Una volta soddisfatte le prime tre esigenze, l’eventuale eccedenza potrà essere destinata al generale incremento del patrimonio attraverso l’accumulazione, alla quale assegnare comunque solo programmi di lungo periodo. A questo punto, al fine di realizzare un extra-guadagno, possiamo ultimare la diversificazione ideale, aggiungendo al quadro anche quanto investire in azioni speculative (tenendo sempre presente che queste ultime rappresentano la componente dell’investimento totalmente esposta al rischio di mercato). Una volta organizzate le risorse in coerenza con le proprie condizioni e i propri bisogni, non rimane che costruire una strategia d’investimento stabile e altrettanto coerente, componendo un efficace portafoglio di strumenti di investimento. Ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

Continua a leggere

QUANDO SI DICE “INVESTIRE AL MEGLIO”

Scritto il 05.07.2021

Dopo aver trattato la necessaria tematica della protezione del patrimonio e la delicata questione della sua trasmissione ereditaria, entriamo ora nel vivo dello sviluppo e della gestione del risparmio. L’intento è di dare qualche indicazione utile al risparmiatore per acquisire elementi grazie ai quali potersi tutelare da certi approcci commercialmente orientati e riconoscere in determinate offerte la presenza di interessi in conflitto. Sono indicazioni da considerare come invito a cercare il modo corretto di allocare le risorse disponibili, poche o tante che siano, in un piano di investimento efficace, solo partendo dalla situazione personale. Quando si dice: “investire al meglio” L’investimento può servire a conseguire scopi specifici (come per esempio creare una riserva finalizzata a finanziare i futuri studi universitari dei figli), oppure alla semplice e generica valorizzazione delle disponibilità nel tempo.  In ogni caso, si tratta di obiettivi e l’investimento non è altro che l’attività attraverso cui conseguirli, in modo da massimizzare il risultato economico, e ridurre il fattore rischio; questo si intende quando si dice “investire al meglio”. Di solito le scelte di investimento “girano” intorno ai mercati e alla borsa, e ciò parrebbe logico, visto che è in essi che l’investimento finanziario si concretizza. Ma a ben pensare, appare chiaro come tale ragionamento segua una logica capovolta. Infatti l’attività d’investimento, che dovrebbe costituire la fase finale del processo di scelta, occupa quella iniziale che spetterebbe invece all’analisi del bisogno. Anzi, l’investitore viene attratto dall’investimento in se stesso, mentre i bisogni, che sono il reale scopo per cui ha deciso di investire, passano in secondo piano o peggio escono completamente dal suo campo visivo. Visto che il concetto di “investire al meglio” in molti casi, non tiene in conto il motivo stesso dell’attività d’investimento, e cioè l’analisi del bisogno, tale paradosso dovrebbe indurre a riflettere meglio sulla nota espressione. Non basta infatti avere degli obiettivi, occorre analizzarli alla luce delle condizioni familiari, patrimoniali, reddituali, dei consumi e dello stile di vita. Si crede che tutto ciò sia qualcosa di automatico, e che pertanto non richieda particolare attenzione, ma non è così. Gli investimenti devono essere effettuati in coerenza con tutte queste variabili, ed altre ancora se necessarie.   In effetti, il fallimento nell’attività d’investimento ha la sua origine, nella maggior parte dei casi, proprio dalla mancanza di una analisi corretta e completa della situazione personale e degli obiettivi. Cosicché il portafoglio di investimento risulta spesso costituito da una sommatoria di strumenti finanziari, sottoscritti casualmente; e quindi mancante di coerenza interna, tanto da essere più simile ad una collezione frammentata di titoli, fondi, gestioni, index e unit linked, assicurazioni vita e prodotti vari, le cui relazioni appaiono confuse, contraddittorie e spesso inesistenti del tutto. Più probabilmente il portafoglio stesso risulterà incoerente con lo stesso stato patrimoniale, reddituale e con lo stile di vita del soggetto interessato. Per far fronte in modo efficiente alle esigenze presenti e future, le risorse vanno organizzate, cioè pianificate. L’investimento ne costituisce solamente l’attività operativa risultante. Ciò vale sia nel caso che il risparmiatore debba creare un patrimonio, sia che lo abbia già costituito. In entrambi i casi, la necessità è appunto quella di “pianificare al meglio le proprie risorse”. Punti di attenzione. Una volta definito razionalmente e realisticamente il motivo dell’investimento – sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo - la questione si sposta sui criteri da utilizzare nella scelta degli strumenti. In continuazione emergono all’attenzione del mercato prodotti di “moda” che fanno la “tendenza” del momento, ovviamente fortemente pubblicizzati dai media. Ciò entra in risonanza con l’atteggiamento istintivo del risparmiatore che ricerca i prodotti vincenti del momento. Egli quindi dirige l’attenzione verso quelle alternative di investimento che ritiene interessanti perché hanno conseguito rendimenti significativi in passato, in quanto pensa – o meglio ingenuamente spera - che continueranno a dare gli stessi risultati anche nel futuro. Assumendo come giudizio guida le performance storiche, è come se il risparmiatore guidasse in autostrada con lo sguardo fisso sullo specchietto retrovisore. Sarà dunque l’andamento delle fasi precedenti di mercato ad indicare la direzione futura, cosa ovviamente paradossale! Inevitabilmente i suoi investimenti risulteranno costantemente sfasati rispetto agli andamenti che continueranno ad alternarsi, dando luogo alla solita dinamica che si produce secondo uno schema consolidato. Davanti alla nuova fase rialzista del mercato, il risparmiatore, uscito “scottato” dall’esperienza della precedente fase di ribasso, rimane “alla finestra”, incurante del “sentiment” dichiarato dalla maggioranza degli operatori che nel frattempo diventa positivo. L’incertezza domina il risparmiatore, nonostante alcuni titoli comincino a riportare guadagni interessanti. Egli continua a temporeggiare, aspettando segnali più convincenti, mentre in borsa, l’ottimismo, amplificato dai mass media, sconfina nell’euforia. Il nostro risparmiatore finalmente non ha più dubbi e abbandonando gli indugi,  si butta all’acquisto del prodotto di punta, cercando di “non perdere l’occasione”. Inascoltati restano i moniti di alcuni operatori che cominciano ad intravedere segnali di inversione! Mentre il nostro risparmiatore è impegnato ad acquistare ai massimi di mercato, il giudizio degli operatori cambia del tutto segno e inizia la vendita generalizzata dei titoli. Il mercato crolla, aiutato come sempre dai mass media che, diffondendo il pessimismo, in conseguenza del quale, la caduta dei prezzi si avvita su se stessa. Il costante ripetersi di questa dinamica fa riflettere su quanto sia importante evitare i prodotti di moda, e impostare il portafoglio secondo modalità strategiche in grado di riassorbire il più rapidamente possibile le oscillazioni di breve termine. Non per caso la strategia cosiddetta contrarian, cioè quella per cui ci si muove nella direzione opposta a quella del mercato, risulta spesso vincente! Ma come fare ad identificare una strategia di investimento coerente con i propri bisogni e condizioni e valutare il portafoglio prodotti in conformità con essa? Questo sarà argomento di un prossimo articolo.  

Continua a leggere

ASSET PROTECTION: COME TRASMETTERE IL PATRIMONIO IN SICUREZZA

Scritto il 28.06.2021

Nello scorso articolo abbiamo preso in esame i principali criteri che – al fine di proteggersi - andrebbero utilizzati per scegliere tra le offerte assicurative quella che fa al proprio caso. Oggi affrontiamo la tematica che riguarda l’ultimo segmento del ciclo di vita, e cioè la trasmissione ereditaria del patrimonio. A questo punto, siamo presi dalla sgradevole sensazione di trovarci davanti alla “fine del percorso”. Perciò la successione è un tema sempre difficile da affrontare. Tuttavia, è impossibile ignorarla perché riguarda ciò che accadrà dopo di noi e occuparcene da vivi è l’unico modo che abbiamo per decidere cosa lasceremo e a chi. Mai quanto in questo caso vale il principio per il quale è meglio gestire un’evenienza che subirla; anzi, meglio gestirla da vivi secondo le nostre volontà, che farla subire alle persone care che ci sopravviveranno, evitando loro anche possibili  discussioni e conflitti. Ora, è necessario fare alcune riflessioni. La morte di una persona cara produce in chi sopravvive una situazione di fragilità psicologica dovuta al grave evento inatteso, segnato da  immaginabili stati d’animo, e al tempo stesso dalla necessità di gestire obblighi normativi e urgenze pratiche, come le ritualità funerarie e la riorganizzazione delle attività familiari. Il decesso inoltre pone immediati problemi reddituali, si pensi al caso in cui il de cuius sia il principale percettore di reddito. In questi casi, infatti, fino a che non siano risolte le pratiche relative alla successione, la normativa prevede il blocco dei depositi e dei beni. Tutto ciò dovrebbe già di per sé far pensare alla necessità di garantire agli eredi, in caso di tale emergenza, il ricorso ad una riserva monetaria prontamente utilizzabile. L’evento morte non va quindi pensato in quanto “semplicemente” segnato da stati affettivi di particolare sofferenza, ma “freddamente” nelle sue ripercussioni pratiche ed economiche che, specie in presenza di debiti, potrebbero ingigantirsi. Basta questo a capire che la questione andrebbe ragionata in termini di pianificazione successoria: gli strumenti di trasmissione del patrimonio andrebbero considerati solo dopo aver liberato gli eredi da eventuali condizioni debitorie, magari tramite sottoscrizione di una assicurazione temporanea caso morte. Ovvero, nel caso di debiti difficilmente rimborsabili, averli garantiti, in bonus, con opportuni provvedimenti già previsti dall’ordinamento giuridico, a tutela dalle possibili aggressioni da parte dei creditori. Siccome le normative che regolano la trasmissione del patrimonio sono di una certa complessità, per compiere scelte di per sé non facili, ed evitare possibili errori da cui potrebbero sorgere conseguenze legali per gli eredi, è consigliabile rivolgersi ad un consulente finanziario o ad un patrimonialista. Ho avuto già modo di affrontare questo argomento, e lo affronteremo ancora. Qui limitiamoci all’aspetto della tutela assicurativa. Le assicurazioni del ramo vita rappresentano per il tema successorio una soluzione necessaria, e non solo per motivi di efficienza fiscale - sia perché la tassazione sul capital gain viene applicata solo al momento della liquidazione della prestazione, sia perché il capitale assicurato è escluso da imposte di successione. Infatti la prestazione deriva da un obbligo contrattuale della Compagnia assicurativa, e non da un diritto successorio, ciò consente al beneficiario di incassare esentasse l’importo assicurato. Lo strumento assicurativo tanto più risulta importante, se si tratta della tutela di persone inabili o a carico. Dal momento che le prestazioni del ramo vita sono escluse dall’asse ereditario, l’assicurazione costituisce anche la soluzione più semplice e privata per poter liberamente indicare come beneficiarie della polizza anche persone estranee all’asse ereditario, a prescindere cioè dal fatto che esse siano o meno eredi legittimi o legittimari. Attenzione però, perché nonostante la libertà di designazione riconosciuta alle polizze vita, qualora uno o più eredi legittimi risultassero lesi nella loro quota, possono chiedere al beneficiario la restituzione dei premi versati in vita dall’assicurato. La questione ereditaria è quindi tema di cui occuparsi per tempo e a mente serena. Ciò vale sia per i grandi, che per i piccoli patrimoni; sia si tratti di proteggere familiari e affetti “deboli” sotto il profilo economico, che di tutelare affetti collocati al di fuori del normale asse ereditario. Gli strumenti specificamente nati a questo scopo sono le polizze assicurative “a vita intera” che, benché apparentemente simili per denominazione, possono però rispondere a logiche applicative molto diverse tra loro per finalità ed esiti. L’individuazione e la scelta dello strumento più opportuno andrebbe perciò approfondita insieme al consulente: del resto, ogni forma risponde a uno specifico bisogno, e non ad altri. Le quattro tipologie più comuni sono: La polizza in forma di vita intera. In essa le garanzie assicurative sono formali e non sostanziali. Si tratta di un mero contenitore contrattuale di asset allocation finanziarie; valido quindi ad utilizzare il vantaggio fiscale previsto per gli strumenti assicurativi, in funzione della semplice trasmissione di riserve di capitale più o meno consistenti. L’assicurazione “universale” a vita intera. Questa formula rende possibile realizzare un vero piano di protezione continua e contemporaneamente una forma di risparmio.  Più che per la trasmissione del patrimonio è però utile a gestire, in forma flessibile e in modalità unitaria, i bisogni di sicurezza e sviluppo che si presentano nelle varie fasi del ciclo di vita. L’assicurazione caso morte a vita intera. E’ la tradizionale polizza successoria. Essa garantisce un capitale molto più consistente del montante dei premi versati. Vi è  abbinata anche una componente finanziaria secondaria, che non va però considerata come forma di gestione del risparmio. Si tratta infatti di una componente di tipo monetario e gestita con modalità del tutto prudenziale, che quindi nel lungo termine non risulterebbe remunerativa. La polizza speciale a vita intera, per la protezione di inabili. Si tratta di una speciale tariffa che serve a garantire a vita la sopravvivenza economica di una persona inabile. Essendo questa la sua funzione, la prestazione è erogata in forma di rendita e non di capitale. Affrontare la tematica della sicurezza in termini di “asset protection”, significa ragionare su uno degli elementi cardine della gestione razionale della vita economica, rispetto al quale sarebbe il caso che l’individuo comprendesse quanto sia antiquato e inefficiente subire un rischio semplicemente perché non si è abituati a fare altrimenti,  a causa di un atteggiamento fatalistico con cui si affrontano gli imprevisti e della scarsa conoscenza delle soluzioni orientate alla sicurezza. Comunque sia, anche qui non esistono soluzioni universalmente valide: per la protezione di se stessi e dei propri cari è invece universalmente richiesto un atteggiamento maturo e la capacità di definire i propri bisogni in base alle fasi del ciclo di vita. Si tratta di realizzare un piano efficiente di protezione e monitorarlo nel tempo, non diversamente da quanto normalmente andrebbe fatto con l’investimento finanziario. Con gli ultimi tre articoli dedicati all’Asset protection, ho dato seguito alla mia intenzione di far comprendere come l’argomento assicurativo non sia in conflitto o separato o ancora in antitesi a quello della gestione del risparmio, ma quanto esso giochi nella sua specificità un ruolo indispensabile di equilibrio e sicurezza anche in funzione  dell’investimento finanziario. Per il risparmiatore capire tutto questo significa acquisire la giusta sensibilità  per analizzare la propria situazione, in modo da orientarsi razionalmente verso i propri bisogni, e poter determinare una corretta allocazione delle risorse disponibili, progettando quindi una strategia di investimento coerente e costruita secondo principi di diversificazione efficiente… cosa che affronteremo nei prossimi articoli

Continua a leggere

Asset Protection: come valutare l’offerta assicurativa

Scritto il 15.06.2021

Nello scorso articolo, abbiamo parlato di asset protection, precisando cos’è il rischio, come proteggersi da esso e come gestirlo. Ora parleremo di come ci si orienta nel mercato assicurativo, quali criteri utilizzare per individuare tra le soluzioni offerte, quella che fa al proprio caso. Per valutare un prodotto assicurativo, insieme al costo vanno esaminate altri fattori, e cioè l’efficacia, la coerenza e l’efficienza. Andiamo ora ad analizzarli. Efficacia L’efficacia dello strumento assicurativo è data dalla capacità tecnica di rispondere al bisogno per il quale è stato creato, e cioè trasferire i rischi alla compagnia assicurativa. In questo senso, è fondamentale che la finalizzazione della copertura sia corretta. Perciò, da questo punto di vista, per avere il massimo dell’efficacia della polizza è consigliabile privilegiare le garanzie singole. Nei pacchetti preconfezionati, infatti, sono comprese anche coperture aggiuntive, spesso prive di effettivo interesse prioritario, e che pertanto si traducono in una dispersione di risorse; meglio utilizzarle per coprire rischi ai quali siamo esposti e che magari non abbiamo ancora assicurato. È necessario poi fare attenzione al rapporto tra somma assicurata e premi versati: quanto maggiore è la somma assicurata rispetto all’importo dei premi versati, tanto più essa assolve alla sua funzione: nel caso contrario, sarebbe come se la copertura per il rischio ce la costruissimo da soli, e a quel punto sarebbe meglio usare tutt’altri strumenti. Facciamo l’esempio delle Unit Linked, prodotto che ha cominciato ad affermarsi a partire dalla fine degli anni ‘90. La loro caratteristica non sta nel trasferimento del rischio, ma nel costituire un normale prodotto di investimento, confezionato però in forma di polizza, anche se  la componente assicurativa è praticamente inesistente: basti pensare che è sufficiente che in esso sia abbinata una garanzia caso morte  pari all’1% del capitale maturato, per poterlo annoverare come prodotto assicurativo! Queste polizze infatti non servono ad assicurare, ma a rispondere – in modo anche efficace – ad altri bisogni, in particolare di genere successorio. Coerenza A differenza dell’efficacia, che si può rilevare oggettivamente, la coerenza ha invece a che fare con il soggettivo bisogno di protezione; per cui le condizioni di copertura sono coerenti se corrispondono alle effettive esigenze dell’assicurato. Ora, le assicurazioni si basano su un preciso equilibrio economico, per cui ogni rischio coperto è il risultato di una sorta di compromesso tra costo e beneficio; perciò ad ogni copertura devono necessariamente corrispondere determinate carenze; di conseguenza, bisogna essere consapevoli che ogni scelta comporta una rinuncia. Ciò significa che la migliore assicurazione deriva dalla ricerca del miglior equilibrio possibile tra coperture e carenze, in modo da soddisfare funzionalmente il criterio di acquisto assunto. Si tratta in buona sostanza di definire il quadro entro il quale scegliere l’assicurazione. Per cominciare, occorre accertarsi quali sono i rischi effettivamente coperti in polizza e quali siano i casi esclusi; evitando accuratamente tra le garanzie accessorie, quelle non necessarie. La scelta richiede di essere ponderata anche in base al tipo di prestazione. Questa infatti può essere erogata in forma di rendita, o di capitale o in forma combinata. Così, qualora i rischi fossero legati alla sopravvivenza economica (alimentazione, abitazione, utenze e quant’altro serva a vivere), la prestazione preferibile non è quella erogata in forma di capitale ma, al contrario, la rendita. Altro fattore importante, al quale purtroppo pochi fanno attenzione, è il momento in cui la prestazione entra in vigore; vale a dire se, in caso di rischio, il pagamento avviene immediatamente, o se per ottenerlo, debba prima essere completato l’intero piano di versamento dei premi. È chiaro che se la copertura è finalizzata alle esigenze immediate dei beneficiari, vanno evitate le cosiddette polizze “a termine fisso” nelle quali, anche in caso di morte, è previsto che il pagamento delle somme assicurate venga effettuato, appunto, solo al termine della durata del contratto! Anche la durata della copertura deve risultare coerente con l’obiettivo: essa può durare per un periodo precisato, come la polizza temporanea (per esempio la temporanea caso morte), oppure non avere limiti di durata (come le polizze “a vita intera”). Nel primo caso, la compagnia paga solo se la morte si è verificata entro un preciso periodo, definito contrattualmente. Quindi nei casi in cui la polizza serve a tutelare familiari inabili o per motivi successori, potrebbe essere più adatta la forma “a vita intera”, in quanto operativa in ogni momento, per l’intera durata della vita. Un attento sguardo va dato anche allo sviluppo della prestazione: anno dopo anno, il suo valore può rimanere costante, decrescere o rivalutarsi. Se perciò lo scopo della polizza è quello di garantire nel futuro i consumi di base necessari alla sopravvivenza, la scelta dovrebbe ricadere, per coerenza, sulla forma rivalutabile, il cui obiettivo non è però quello di ottenere extra-rendimenti, ma mantenere nel tempo il valore d’acquisto. Se invece la funzione è quella di garantire il completamento di un piano di versamenti, come per esempio un piano di risparmio ad accumulazione, la coerenza sta nell’assumere la formula a premio decrescente. Efficienza L’efficienza infine pone l’accento sul rapporto tra beneficio e costo. In genere ci si limita a considerare i cosiddetti “caricamenti”, che rappresentano la parte di premio che viene sottratta sia all’investimento, che alla tutela dei rischi, in quanto rappresentano la remunerazione della compagnia per l’attività d’impresa e della rete commerciale. Tuttavia, essi rappresentano solo uno degli elementi che compongono il costo dell’assicurazione, mentre i rischi assunti dalla compagnia e il generale servizio prestato devono essere rapportati alla globalità dei costi. Per comprendere il costo effettivo di un prodotto caso morte, per esempio, occorre separare l’importo necessario alla copertura del rischio dalle spese legate alla gestione mutualistica del rischio stesso. Per confrontare l’efficienza di prodotti diversi, è necessario che di essi tempo e somme assicurate siano identiche; inoltre il calcolo va fatto sui totali delle somme assicurate e sul totale dei premi. infatti, alcuni prodotti hanno costi e somme assicurate crescenti, altri fissi, altri ancora decrescenti. Per cui una comparazione è realistica solo se si mettono a confronto costi e prestazioni relativi all’intera durata delle polizze. Per essere efficiente, la polizza deve rimanere coerente nel tempo alle necessità assicurative. Per questo motivo, essa deve contemplare lo sviluppo che potrà avere  nel tempo, rispetto al quale stabilire scadenze e modalità di controllo. Quindi, è sempre il servizio che, con il suo valore aggiunto (consulenza, analisi dei bisogni, monitoraggio), compensa ampiamente l’eventuale maggior costo della polizza. Un’ulteriore, e ultima raccomandazione. Soprattutto quando si tratta di una polizza vita,  è bene stimare le prestazioni in potere di acquisto attuale. Inoltre, dato per scontato che ciò che è stabilito inizialmente è quasi sempre destinato a mutare nel tempo, è bene indicare la propria soglia di accettabilità degli scostamenti rispetto al piano inizialmente stabilito, oltre la quale si renda necessario un “tagliando” di manutenzione. Certo, va tenuto presente che le soluzioni necessarie non sempre sono compatibili con le disponibilità economiche. Ma piuttosto che non fare nulla, è consigliabile allora cercare di trovare un compromesso tra ciò che si dovrebbe fare e ciò che si può fare. In tal caso, si potrebbero valutare anche strade alternative, di minor impatto economico, in base a cui definire la soluzione inizialmente possibile, per poi, nel corso del tempo, grazie ad un attento monitoraggio - sempre in funzione delle disponibilità e dei contesti - si potrà pian piano aumentare il livello di copertura, fino a raggiungere quello desiderato.

Continua a leggere

Proteggersi innanzitutto: Analisi dei rischi e Asset Protection

  • 123
  • 0
  • Consulenza patrimoniale
Scritto il 04.06.2021

L’Asset Protection: cos’è il rischio, come assicurarlo, come gestirlo. Il benessere economico è la capacità di soddisfare i bisogni umani. Per tutelarlo, è necessario individuare i rischi che possono comprometterlo, e comporre un quadro generale di essi. Si mettono così “sul tavolo” gli elementi per pianificare la sicurezza, tutelando il presente e ponendo le fondamenta su cui costruire il futuro. Fare questo significa ragionare in termini di asset protection. L’asset protection serve a rispondere a semplici e responsabili domande quali: “in caso mi accadesse qualcosa avrei le disponibilità necessarie ad affrontare le conseguenze economiche? Cosa ne sarebbe della mia famiglia, di mio figlio, di mia moglie, del mio patrimonio?” Questo “qualcosa” rappresenta uno o più eventi che potrebbero compromettere il quadro della sicurezza, e con essa il benessere economico come la perdita del lavoro, la malattia, l’infortunio, i danni all’abitazione, la morte… Comporre il quadro dei rischi permette di individuare quelli ai quali si è concretamente e maggiormente esposti. Le soluzioni però non possono essere automaticamente rappresentate dai prodotti assicurativi. Esse devono passare prima attraverso un processo analitico con cui quantificare il rischio, in rapporto alle condizioni familiari e patrimoniali, allo stile di vita, all’entità dell’eventuale danno e in fine alle stesse disponibilità economiche. Parlare di asset protection non significa quindi individuare genericamente prodotti assicurativi, ma predisporre una analisi oggettiva delle necessità. Infatti ognuna di esse è connessa a un rischio, e di questo rischio bisogna prendere le misure. Si tratta di selezionare i rischi da cui è necessario proteggersi immediatamente, distinguendoli dagli altri per i quali è possibile posticiparne la tutela, ovvero tralasciando quelli marginali il cui impatto economico sarebbe trascurabile. Ciò serve quindi a individuare e definire concretamente quali sono i rischi di cui occuparsi, e prenderne compiutamente le misure, in base a variabili quali l’età, la situazione reddituale, il tipo di nucleo familiare e così via. Cos’è il rischio Per evitare di ricorrere superficialmente e genericamente a soluzioni standard, ed imbattersi in offerte concentrate su aspetti marginali, ma che potrebbero lasciare incompleti temi ben più importanti e prioritari, va compreso bene cos’è il rischio. Esso non è la considerazione astratta di una malaugurata eventualità, ma una variabile statistica il cui accadimento imprevedibile ha maggiori o minori probabilità di verificarsi. Le minacce al patrimonio e al reddito, come sappiamo, ma di cui spesso trascuriamo di occuparci, sono rappresentate dall’invalidità a causa di infortunio o malattia; dalla premorienza; da grandi spese sanitarie dovute all’insorgenza di malattie gravi e interventi chirurgici urgenti e rilevanti; dall’incapacità di sopravvivere in condizioni di autosufficienza. A tali rischi vanno aggiunti quelli più specificamente legati al patrimonio, tra i quali i danni subiti per danneggiamenti al proprio immobile o la necessità di denaro  derivante da richieste di indennizzo per danni procurati a terzi; ovvero la necessità di soddisfare creditori a fronte di obblighi contratti. Vi è infine il rischio cosiddetto di sopravvivenza, ossia la possibilità di vivere più a lungo di quanto non consenta il denaro di cui si dispone. Misurazione del rischio Il rischio si misura quantificando i massimali necessari a coprire o limitare le perdite che potrebbero derivarne. La variabile primaria, quella che determina le altre, è il fattore tempo. Una esigenza proiettata in un segmento temporale considerevolmente lungo, richiede un impegno economico ben diverso da quello previsto per un’esigenza destinata ad estinguersi nel giro di pochi anni. L’evento dannoso va considerato anche rispetto alla sua aleatorietà, ossia alla sua probabilità statistica di accadimento in rapporto all’impatto economico che ne conseguirebbe. Va anche considerato il “ricavo economico” si, parlo di “ricavo” perché tale andrebbe essere considerata la differenza tra la prestazione erogata in caso di bisogno, e l’ammontare dei premi assicurativi che dovranno essere versati. I tipi di misurazione dei rischi sono declinabili secondo gradi di precisione e cioè: Un primo livello è il criterio del “fai-da-te”: seguendo una logica elementare, si cercano soluzioni secondo coperture di base. L’errore metodologico è quello di focalizzarsi su soluzioni generiche, senza prima effettuare l’analisi delle esigenze effettive. Si affronta la questione per temi e importi standardizzati, tramite prodotti assicurativi non customerizzati. In tal caso, i massimali di garanzia vengono scelti  secondo la personale percezione del rischio – che spesso si rivela scorretta – oppure concentrandosi sull’offerta meno costosa. Un secondo livello è l’allineamento al “buon senso comune”: il risparmiatore assimila la propria condizione alla categoria  sociale di riferimento, nella quale egli appunto si riconosce. In questo caso l’interessato tende a vedere nel proprio consulente semplicemente una fonte di informazione. Un livello più approfondito e circostanziato di analisi è quello tipicamente usato nella pianificazione previdenziale, laddove esso richiede di individuare la differenza tra il reddito attuale e quello che sarà riconosciuto dal sistema previdenziale in funzione dei contributi versati, delle eventuali assicurazioni sottoscritte, degli investimenti finanziari o immobiliari da cui trarre rendite aggiuntive o a cui ricorrere nei casi di emergenza. Qui diventa fondamentale l’apporto consulenziale: non si tratta infatti di confrontare astrattamente la situazione attuale con quella che potrebbe essere in futuro, ma di approfondire ulteriormente l’analisi, stimando le voci di entrata in funzione delle necessità di spesa, e cioè analizzando i bisogni in rapporto al fatto che in alcuni casi le necessità diminuiscono, in altri casi aumentano, così da individuare il reddito netto indispensabile per mantenere la qualità di vita desiderata. Lo stesso tipo di accuratezza può – e dovrebbe – essere utilizzato, fatte le dovute distinzioni,per qualsiasi altro tipo di rischio.E’ a questo punto che si palesa pienamente la funzione del consulente finanziario come asset protection manager. Gestione del rischio Il rischio può essere gestito secondo diverse modalità, ognuna delle quali implica differenti livelli di sensibilità, disponibilità, conoscenza, responsabilità. Così, l’individuo può decidere di assumersi in proprio i rischi, cercando di ridurne la portata o l’impatto sul patrimonio oppure, più efficacemente, cedendoli ad un terzo soggetto. Il modo più sconsiderato di affrontarlo è quello di “non fare niente” e decidere di subirlo (il rischio non scompare perché non lo si affronta)! Andiamo allora a vedere una per una le suddette modalità e le relative implicazioni . Assumere su di sé il rischio significa essere pronti a fronteggiarne le conseguenze: ciò implica preventivare una congrua disponibilità di riserva, che quindi non può essere impegnata in investimenti – siano essi a breveche a lungo termine - che possano produrre una reale conservazione del suo valore nel tempo. E’ una soluzione che può essere presa in considerazione solo in caso di ampie disponibilità liquide e cospicui patrimoni. Quindi, a meno che non si sia veramente ricchi, è una modalità da evitare. Ma anche chi è ricco dovrebbe ragionare in termini di opportunità finanziaria: tenere a disposizione per  lungo tempo una somma significativa per far fronte ad eventuali rischi è perdente sul piano patrimoniale (tenere i soldi immobilizzati perché potrebbero servire in ogni momento rappresenta un costo, quello di non poterli valorizzare perché il denaro destinato alle emergenze deve essere prontamente liquidabile, senza doversi preoccupare del momento di mercato, o attendere scadenze pluriennali prefissate; mentre forme di investimento che consentano pronta liquidità, limitando la probabilità di perdite non sono coerenti con le attese di rendimento finanziario) nonché sul piano gestionale (non è possibile sapere a quanto potrebbe ammontare l’impatto dell’evento rischioso in termini di danno, e di conseguenza al momento del bisogno si potrebbe scoprire troppo tardi di non essere sufficientemente tutelati). Ridurre le conseguenze di un rischio è possibile anche adottando semplicemente politiche di prevenzione, accantonando somme non certo sufficienti, ma tali da poter limitare gli effetti patrimoniali degli eventi rischiosi più comuni. Anche qui vale quanto già detto nel punto precedente: non esiste possibilità di prevedere il reale ammontare del rischio, sicché le risorse destinate alla parziale copertura, potrebbero rivelarsi del tutto inadeguate, senza considerare la perdita secca di valore della liquidità mantenuta infruttuosamente sul conto corrente. Un altro modo di affrontare i rischi è quello di condividerli con altre persone. E’ il caso delle mutue e delle assicurazioni collettive. Il principio poggia sulla base del fatto che tutti gli interessati vi sono egualmente esposti. La modalità è quella della cassa comune, attraverso cui le risorse collettive vanno impiegate per i soci che ne fanno parte e ne hanno bisogno. Se le risorse si rivelassero non più sufficienti, si integrerebbero aumentando i versamenti. Ma il modo migliore di tutelarsi, perché più economico ed efficace, è quello di cedere i propri rischi a terzi, trasferendo le conseguenze economiche degli eventi dannosi su una compagnia di assicurazione che per contratto è obbligata a erogare la prestazione concordata, molto più ampia di quanto non lo sia la totalità dei premi versati, qualora si verificasse il danno. Il fatto che i premi versati alle assicurazioni - di importo limitato o marginale rispetto al reddito - consentano di coprire ampiamente l’impatto economico dell’evento dannoso, e liberare risorse da investire per progetti futuri, dovrebbe rappresentare la modalità di tutela più naturale e ovvia per chi non dispone di ricche rendite o di patrimoni ingenti. Paradossalmente, chi avrebbe più bisogno di essere assicurato, proprio perché economicamente più debole, è quello che lo è molto meno, contrariamente a chi è benestante. Infatti proprio chi è maggiormente benestante tende a seguire la strategia sintetizzata dal motto americano “Buy term and invest the difference” e cioè “assicurarsi dai rischi immediati ed investire il resto”. Così facendo infatti egli libera il denaro dall’obbligo connesso con la gestione degli imprevisti, e lo utilizza, investendolo, per gli obiettivi di vita più importanti che si collocano nel medio-lungo periodo. Così, considerare il trasferimento del rischio “cattivo” alla compagnia assicurativa rappresenta una parte fondamentale della strategia di investimento, in quanto fattore pianificabile per la tutela e la liberazione di risorse, consentendo il loro sereno impiego attivo. Ma come orientarsi nella complessa offerta dei prodotti assicurativi? Quali criteri assumere nella scelta di una polizza? Come essere certi che questa assicuri davvero? Come individuare l’offerta migliore, connotata da costi ragionevoli, coperture adeguate e buona flessibilità? Di questi argomenti mi occuperò più ampiamente nel prossimo articolo.  

Continua a leggere

L'ASSET PROTECTION TRA FONDO PATRIMONIALE E ATTI DI DESTINAZIONE

  • 96
  • 0
  • Consulenza patrimoniale
Scritto il 26.05.2021

In una efficace pianificazione finanziaria, l’asset protection del patrimonio dovrebbe prevedere anche la difesa dall’aggressione di potenziali creditori. Un compito che sembrerebbe in antitesi con il principio dell’ordinamento giuridico secondo cui il debitore deve rispondere dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri (Art. 2740 c.c.); se non fosse che lo stesso ordinamento riconosce anche il diritto della famiglia a garantire la protezione dei propri membri per tutto ciò che rappresenta interessi meritevoli di tutela (Art. 2645 ter c.c.). Ecco che, in deroga a quanto richiamato nell’art. 2740, l’aggressione ai beni di un debitore da parte dei creditori trova limite nel sostegno riconosciuto al bisogno di proteggere il nucleo familiare, e in particolare i componenti meritevoli di tutela come gli incapaci o i disabili, nelle fasi avverse che possono verificarsi nel corso del ciclo di vita dell’individuo. Da qui l’istituzione di specifici strumenti giuridici per la legittima segregazione di quei beni, destinati appunto a tale salvaguardia, la cui efficacia dipende però dalle effettive motivazioni e dalla tempistica con cui essi strumenti vengono adottati: qualunque segregazione dei beni posteriore all’insorgenza di un debito, dimostrerebbe, per esempio, il tentativo del debitore di sottrarsi alle proprie responsabilità debitorie, e ciò invaliderebbe lo strumento utilizzato. Del resto, l’efficacia nell’opponibilità ad un creditore futuro è rigidamente legata alla inoppugnabilità del vincolo di destinazione, ai fini della chiara liceità degli obbiettivi familiari, perciò i beni conferiti devono essere effettivamente utilizzati a quei fini. Il più noto e vecchio di questi strumenti è il fondo patrimoniale, destinato al mantenimento del tenore di vita della famiglia; soggetto a pignoramento solo nel caso il debito sia stato fatto per fini inerenti alle esigenze familiari, escludendo quindi i casi di indebitamento derivante dallo svolgimento dell’attività lavorativa. Presupposto per la sua costituzione è lo status di coniugati o uniti civilmente. In esso possono essere conferiti esclusivamente beni immobili o mobili registrati (barche, aeromobili, automobili). Gli immobili sono limitati alla sola prima casa o tutt’al più anche ad una seconda casa, che può essere persino locata, purché gli affitti siano utilizzati solo ed esclusivamente per necessità familiari, o per l’educazione e il mantenimento dei figli, almeno fino a quando non abbiano raggiunto una propria indipendenza economica. E’ evidente che la destinazione nel fondo di troppi beni lascerebbe supporre obiettivi diversi da quelli per cui ad esso è riconosciuta legittimità. Così, se in sede giudiziaria risultasse che il fondo è stato costituito per danneggiare i creditori, questi avrebbero la capacità di adire l’azione legale per la revocatoria, in merito alla quale il giudice potrebbe dichiarare inefficace il fondo patrimoniale, in quanto pregiudizievole nei confronti di detti creditori. Anche se con il tempo la giurisprudenza ne ha via via limitato il perimetro di tutela, il fondo patrimoniale, inserito in una strategia di asset protection, rimane pur sempre uno strumento utile per chi possegga almeno una casa. Per la tutela di eventuali altri immobili, andrebbe quindi valutata l’opportunità di utilizzare ulteriori strumenti. Immaginiamo per esempio il caso di un professionista, sposato, con due bambini e tre immobili di proprietà. Per i motivi che abbiamo visto, non è consigliabile inserirli tutti nel fondo patrimoniale. Così, il fondo andrebbe finalizzato alla sola tutela della casa destinata ad uso abitativo – nessun giudice potrebbe apporre dubbi a tale finalità. Inoltre, essendo presenti due figli ancora minorenni, piuttosto che inserire gli altri due immobili nello stesso fondo, si può rendere la strategia di asset protection maggiormente efficace, costituendo un vincolo di destinazione per ognuno degli altri due immobili, in quanto destinati a soddisfare l’interesse per la tutela dei due figli minori. Il vincolo di destinazione è infatti uno strumento la cui funzione è molto simile a quella del fondo patrimoniale, in quanto serve a proteggere determinati beni – anche qui immobili o mobili registrati - destinati a realizzare un interesse meritevole di tutela; ma, per i quali, a differenza del fondo patrimoniale, non è prevista la condizione necessaria del matrimonio, il che rende l’atto di destinazione, utilizzabile anche per la tutela delle coppie di fatto. Abbiamo fatto l’esempio di un professionista, la stessa soluzione però non sarebbe valida per un imprenditore. Qual è la questione? Come abbiamo già visto, se i debiti sono stati contratti per la soddisfazione di bisogni legati al tenore di vita familiare, i beni conferiti nel Fondo Patrimoniale non possono essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori. Ora, negli ultimi anni, si è affermata  l’interpretazione secondo la quale a tali bisogni possono concorrere gli stessi debiti derivanti dall’attività imprenditoriale di uno o di entrambi i coniugi. Questo ha indebolito struttura difensiva del fondo patrimoniale, tanto che in molti casi l’Agenzia delle Entrate ha pignorato i beni dei fondi patrimoniali anche per debiti relativi all’attività imprenditoriale, sostenendo appunto che quel reddito coincideva con la fonte di sostentamento della famiglia! Per l’imprenditore strumenti come il fondo patrimoniale o l’atto di destinazione rappresentano tra l’altro un problema piuttosto che una soluzione anche per un altro motivo. Dal momento che questi strumenti costituiscono vincoli sui beni conferiti, rappresentano un oggettivo limite all’eventuale azione di rivalsa, e di conseguenza un ostacolo alla concessione di linee di credito e di finanziamento. Per l’imprenditore esistono altri strumenti… Una asset protection è fondamentale anche per costituire un quadro di tutele in quelle situazioni che si pongono fuori dall’attuale ordinamento giuridico come le coppie di fatto, scelta che si sta affermando sempre di più tra le giovani coppie. Ora, a questo status non è riconosciuta alcuna forma di tutela, sia dal punto di vista successorio che previdenziale (reversibilità e superstiti). Infatti, i conviventi sono considerati dall’ordinamento due persone estranee; e quindi, all’apertura della successione, sono esclusi dall’asse ereditario. Per chi sceglie la convivenza, redigere testamento potrebbe non essere sufficiente perché la trasmissione dell’eredità sarebbe limitata alla sola quota disponibile. A ciò le  polizze vita potrebbero apportare una parziale correzione, almeno nella misura in cui l’entità dei premi rispettino le quote di legittima. Il quadro di protezione potrebbe essere reso più completo, ricorrendo anche a strumenti giuridici, come appunto l’atto di destinazione, che può essere costituito per esempio sull’immobile di residenza, individuando nella convivenza l’interesse meritevole di tutela. In presenza di minori poi è possibile costituire tanti atti di destinazione, vincolando altrettanti beni, come abbiamo visto nell’esempio di prima. A questo aggiungo che le coppie di fatto, dovrebbero sempre stipulare un contratto di convivenza. Esso non serve a riconoscere diritti successori o previdenziali, ma serve a regolare i rapporti patrimoniali tra i conviventi, come per esempio la scelta del regime patrimoniale. Decidere per la comunione dei beni, per esempio, è molto tutelante per la coppia di fatto perché, in caso di scioglimento del rapporto, obbliga il convivente economicamente più forte a riconoscere un assegno di mantenimento all’altro economicamente più debole. Completerebbe il quadro una dichiarazione all’anagrafe del Comune di residenza comunicando di vivere nello stesso comune e nella stessa casa. L’iscrizione anagrafica non è obbligatoria; ma se la coppia desidera che il rapporto sia riconosciuto dalla legge e di conseguenza acquisire i diritti e gli obblighi derivanti quali la solidarietà morale ed economica e il reciproco diritto di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali, tale formalità diventa necessaria. In virtù di questa dichiarazione la convivenza risulterà dal certificato dello stato di famiglia. Due persone quindi che decidono di non sposarsi, al di là delle ragioni private e dei motivi che hanno indotto a questa scelta, possono disporre oggi di strumenti efficaci, combinando i quali possono ricostituire gran parte delle stessa garanzie previste a termini di legge ai coniugi e agli uniti civilmente. Un atto di destinazione abbinato ad una polizza vita, ad un testamento, a una donazione, ad un fondo pensione, tutto ciò contribuisce a creare un quadro di tutele anche per chi ha scelto la convivenza invece del matrimonio.

Continua a leggere

COME AFFRONTARE LA VOLATILITA’ E VIVERE FELICI

  • 99
  • 0
  • Formazione/Educazione Finanziaria
Scritto il 17.05.2021

I ribassi fanno paura, vero? E quando ti ci trovi in mezzo, vorresti sapere come fare per gestirli… magari ricorrendo a supporti tecnici attraverso cui capire se si tratta di una inversione dell’andamento del mercato o, se invece si tratta semplicemente di un momento di tensione passeggera, rimanendo tuttavia nel dubbio se uscire dal mercato oppure tenere duro. Tutto nella norma, infondo non avevi scelto di investire in azionario? Purtroppo il dubbio, alla lunga, erode la fiducia e predispone al panico. In realtà, piuttosto che cercare di gestire i cicli negativi di mercato, sarebbe più opportuno che pensassi a gestire la paura: il primo importante supporto “tecnico” deriva dall’assumere, e mantenere, comportamenti razionali. Tuttavia, se la volatilità ti genera troppa ansia, sarebbe bene che ti ponessi la domanda se gli strumenti che stai utilizzando corrispondono effettivamente al tuo livello di tolleranza al rischio; e qualora ti accorgessi che non lo sono, al primo momento di tregua del mercato, prendi in considerazione l’andamento dell’indice di riferimento, in base al quale hai costruito il portafoglio originario, e accertati di quanto questo oscilli intorno ai valori del benchmark. Se l’oscillazione supera di troppo e per troppo tempo quei limiti, allora faresti bene a tirare le orecchie al tuo consulente e chiedergli di riallineare il portafoglio. Magari potrebbe essere utile informarti sui fondamentali dei settori e dei mercati rappresentati nel tuo portafoglio e sul grado di fiducia che gli investitori hanno nelle loro prospettive, indagando sul cosiddetto “sentiment” (esistono indicatori molto usati dagli operatori, con cui cercano di farsi un’idea se il mercato volge all’ottimismo, al pessimismo oppure rimanere alla finestra, in attesa del da farsi…). Ora, se i ribassi avvengono improvvisamente, talvolta accompagnati da un peggioramento del sentiment, ma con fondamentali economici  sostanzialmente stabili, potrebbe trattarsi di semplice perturbazione temporanea di breve termine (o almeno è quello che in questi casi tendono a pensare gli analisti tecnici)  allora siediti in poltrona, allunga le gambe e sorseggia pure un te, tranquillo e fiducioso, tanto più se l’ampiezza dell’oscillazione rimane all’interno del range di perdita massima per te accettabile, intorno al quale è stato costruito il portafoglio. Tuttavia, se i dati economici invece che rimanere positivi, volgessero in negativo, in linea con un sentiment anch’esso negativo… che faresti? Usciresti? Beh, se lo facessi, probabilmente sarebbe già tardi! Quindi perché preoccuparti? Del resto, il destino della gestione del tuo portafoglio l’hai già affidata a chi di mestiere: i gestori delle SGR che hai scelto: è loro compito – non tuo - porsi queste domande e trovare le opportune soluzioni, e del resto al momento in cui ti sarai posto la questione, loro lo avranno già fatto! Ricorda sempre che l’efficacia di una strategia di investimento va giudicata in base al raggiungimento degli obiettivi finanziari. Ora, se hai posto l’obiettivo nel lungo termine, la performance dei cui devi tener conto è quella di lungo termine, per cui ciò che succede nel breve in genere è trascurabile. Il rendimento medio che ti attendi deve essere compatibile con il rendimento di lungo termine, è inutile quindi controllare il suo andamento giorno per giorno, o mese per mese. Solo così puoi accettare la volatilità di più breve termine ed essere fedele alla pianificazione del tuo piano di investimento. Del resto, ricorda sempre che più a lungo termine sono gli investimenti, minori sono le probabilità che tu possa subire la negatività di breve. Attieniti perciò con fiducia al tuo piano! E’ questo il motivo per cui, davanti alle vicendevoli fasi dei mercati, non devi mai farti prendere dal panico, né dall’ansia di fare “switching”, perché come diceva Benjamin Graham, uno dei guru del mondo degli investimenti finanziari, “il vero segreto della ricchezza non sta nel comprare e vendere, ma nel possedere e mantenere, aspettando che il valore delle azioni aumenti e ciò accade nel lungo periodo”.

Continua a leggere

IL CAPITALE UMANO E IL SUO VALORE

  • 97
  • 2
  • Consulenza patrimoniale
Scritto il 10.05.2021

La protezione è una delle principali motivazioni della pianificazione finanziaria e patrimoniale. Ci si dimentica però da cosa esso è originato e ne costituisce quindi la fonte, e cioè il capitale umano. Il giovane, che inizia a lavorare, a mettere su famiglia, a dare forma alla sua vita, non possiede ancora un patrimonio, o un capitale finanziario, a meno che non gli derivi a sua volta dalla famiglia d’origine. Per la sua giovane età, non può aver avuto tempo e modo di accantonare ricchezza, e ciò che riesce a risparmiare gli serve per dare avvio ai propri progetti di vita. Tutto farebbe pensare ad una esistenza povera, ma niente è più sbagliato. Cambiando punto di osservazione, ci accorgeremmo di ciò che neppure lui sospetta: cioè che è ricco! Ciò che lo rende ricco non sono gli averi, ma le sua stessa “risorsa umana”, e cioè tutto ciò che rappresenta le sue capacità, le opportunità che sarà in grado di cogliere, i suoi progetti, e lo stesso stile di vita che decide di assumere rispetto a se stesso, alla sua famiglia in formazione, alla sua compagna o moglie, al tipo di lavoro al quale si dedica o si dedicherà in futuro, al rapporto con il denaro e come deciderà di accumularlo e gestirlo. Tutto questo lo rende ben più ricco di ciò che sembra, almeno nella misura in cui – semplificando – esso si tradurrà nei redditi che sta realizzando e realizzerà in seguito: tutto ciò rappresenta il suo “capitale umano”; ricchezza intangibile, fintanto non si traduce in patrimonio, ma non astratta, perché è identificata con la persona fisica, la quale è esposta a rischi fisici ed economici che per cause esterne possono interrompere i suoi progetti, farli fallire, o addirittura annichilirla completamente con la fine improvvisa e anticipata della vita! E’ quindi il caso che questa persona si chieda responsabilmente cosa succederebbe alla sua famiglia o precisamente a coloro che da essa dipendono, se la cogliesse una malattia grave o le accadesse un infortunio importante. Se qualcosa interrompesse il flusso del reddito, come potrebbe garantire l’adeguato supporto alle proprie necessità di vita?  Per questo, e nella misura in cui la persona comprende cosa realmente essa stessa rappresenti per tutto ciò che è in formazione e sta creando, in termini di relazioni familiari, di lavoro e di progettazione, non può sottrarsi ad una funzione fondamentale: quella di proteggersi, e proteggendo se stessa, proteggere il proprio disegno di vita, chi e cosa in esso è compreso, in termini economici, ma anche affettivi (che per tutti è il proprio mondo di riferimento), il solo che conferisca vero valore alla propria esistenza.

Continua a leggere

ACCUMULAZIONE O DISTRIBUZIONE, QUESTO IL DILEMMA!

Scritto il 03.05.2021

Per molti risparmiatori la modalità in cui investire si pone in termini di scelta tra strumenti a distribuzione cedolare e strumenti a capitalizzazione. Ora, la domanda se è meglio puntare su un fondo a distribuzione, o su uno a capitalizzazione, è in realtà mal posta. Il giusto modo di ragionare attorno a tale scelta dovrebbe essere quello che porta ad un’altra  domanda, e cioè qual è la prospettiva in cui si intende investire e il bisogno che si cerca di soddisfare. Si tratta di una scelta – è il caso di dirlo - di “fondo”. Un capitale investito, ad un determinato tasso di interesse semplice, produrrebbe come risultato la sommatoria degli interessi conseguiti anno per anno. Con l’interesse capitalizzato, quindi composto, gli interessi  vengono invece realizzati anche sul montante precedentemente ottenuto, conseguendo alla fine del periodo di investimento un effetto moltiplicativo. Di conseguenza, incassando il rendimento anno per anno,  quindi utilizzando un tasso di rendimento semplice, per ottenere lo stesso risultato della capitalizzazione composta occorrerebbe godere di un tasso di interesse molto più elevato. Perciò, se l’impiego delle risorse si pone nell’ottica di un periodo breve e ben definito, la capitalizzazione composta dei rendimenti è un fattore che può essere trascurato, ma per un impiego di lungo periodo, senza dubbio, la capitalizzazione rappresenta la scelta migliore, perché quella più coerente allo scopo dell’investimento, in quanto massimizza il risultato finanziario, oltre che per l’effetto moltiplicativo dell’interesse, anche per ragioni fiscali, in quanto gli interessi maturati, restando investiti, non vengono tassati come altrimenti sarebbero ad ogni loro incasso. Dal punto di vista fiscale, infatti, vale il principio di cassa, cioè la tassazione viene applicata ad ogni disinvestimento o alla scadenza del piano. L’accumulazione dei rendimenti consente di posporre il momento impositivo per tutta la durata dell’investimento con il beneficio di capitalizzare, nel continuum, quanto fiscalmente dovuto. Mentre, con la distribuzione dei proventi, come già detto, il pagamento del tributo viene anticipato, attraverso la ritenuta fiscale sul flusso. Nella scelta tra queste due modalità di investimento, c’è anche da considerare un altro aspetto tecnico. La distribuzione dei proventi può avvenire a cedola fissa, oppure variabile. Ora, nel primo caso, qualora per motivi dipendenti dalle oscillazioni di mercato venissero a mancare rendimenti da distribuire, il flusso della liquidità sarebbe garantito solo a carico del capitale, che ne verrebbe intaccato. Questo, come è facilmente immaginabile, si ripercuoterebbe sul valore finale di quanto accantonato. Se quindi ci fermassimo a considerare la questione in termini astratti, non potremmo che ammettere la superiore convenienza degli strumenti ad accumulazione rispetto a quelli a distribuzione. Dal punto di vista concreto, però, il ragionamento dovrebbe seguire un altro percorso: e cioè considerare il motivo al quale l’investimento è destinato. E’ questo il parametro di riferimento in base al quale è possibile misurare l’efficacia e l’efficienza dei rispettivi strumenti! Per essere più concreti, facciamo l’esempio di una persona anziana che ha il bisogno di integrare il suo reddito pensionistico con una rendita finanziaria, non avendo a suo tempo creduto negli strumenti, specificamente concepiti a tal bisogno, della rendita vitalizia o del fondo pensione, o non avendo potuto parteciparci per tempo. In questo caso, la questione della gestione del suo capitale finanziario non si pone in termini di “accumulo”, ma di “decumulo”, rispetto alla quale politica lo strumento a distribuzione risulterebbe sicuramente in tutta la sua efficienza e opportunità. Infatti, l’investitore non è interessato all’investimento del patrimonio, ma alla sua monetizzazione. Poco gli importerà quindi l’ottimizzazione della performance finanziaria, e l’aspetto fiscale assumerebbe una rilevanza relativa. La questione semmai si sposterebbe sulla effettiva durata del capitale per tutto il tempo necessario al bisogno, e cioè se esso sarà sufficiente a coprire l’intero arco temporale a cui è interessata la persona. Morale, il segreto dell’investimento non sta negli elementi - pur essenziali - della disponibilità di denaro, degli strumenti utilizzabili, o della strategia migliore e più efficiente, e nella loro influenza reciproca, ma nella motivazione esatta alla quale applicare le relative scelte tecniche. Perciò ricorda sempre che non esiste lo strumento “migliore” in assoluto, ma quello migliore per te!

Continua a leggere

I RISCHI DELL’INVESTIMENTO IMMOBILIARE E LE SUE OPPORTUNITA’

  • 99
  • 0
  • Mercato immobiliare
Scritto il 05.12.2020

Oggi l’immobile costituisce un bene problematico per molte famiglie. In passato qualsiasi immobile, purché fosse abitabile e sito in zone urbane sufficientemente servite, veniva collocato nel mercato di massa, ed acquistato senza porsi il problema del suo valore reale. L’immobile veniva acquistato senza particolari criteri se non quelli della disponibilità e dell’offerta economica del momento, senza riflettere e informarsi sulle condizioni urbanistiche e le prospettive di sviluppo della zona.  Probabilmente questo approccio ha a che fare con la dimensione affettiva che la casa riveste per chi la abita, e quindi il suo valore è piuttosto esistenziale, che non economico finanziario. Sta di fatto che oggi gran parte di questo consistente patrimonio ha perso valore – si pensi che tra il 2010 e il 2019 i prezzi delle abitazioni italiane sono crollati mediamente di circa il 24% - e non sarà più recuperabile. Anzi, in molti casi l’immobile rischia di rimanere inabitato e addirittura abbandonato. Il mercato infatti ha intrapreso una nuova dinamica in quanto le condizioni sociali, ambientali, finanziarie stanno radicalmente modificando l’assetto delle esigenze abitative, e non mi riferisco solo alla nuova tendenza delle giovani generazioni a trasferirsi all’estero, ma anche all’emergere di stili di vita che si riflettono in nuovi criteri di scelta. A tal proposito è interessante osservare come si stanno affermando forme e dimensioni abitative a contenuto collettivo come il coleaving e il cohousing… Nell’investimento immobiliare, oltre alla valutazione dei costi di manutenzione e dell’impatto fiscale già molto pesante, vanno calcolate le spese di gestione. Inoltre nel caso che l’investimento sia finalizzato alla locazione dell’immobile, nelle aspettative economiche bisogna valutare i possibili periodi di “vuoto” e il rischio di morosità. D’altra parte, questi beni sono sempre più tassati e lo saranno ancora di più una volta che il Catasto verrà riformato, rendendo la rivendibilità dell’immobile ancora più difficile. Fatta eccezione per poche città, o addirittura alcune zone di esse, dove il valore effettivo dell’immobile giustifica il suo possesso, esso rappresenta oggi più che un investimento indovinato, un serio problema. Certo, ultimamente si possono osservare timidi segnali di ripresa, ma questa dinamica interessa più che altro le grandi città, come Roma e Milano, dove il mercato è molto più vivace e i prezzi tendono ad essere decisamente più alti e a rimanere più stabili rispetto ad altre aree geografiche. Queste ultime, invece, in particolare molti paesi del centro-sud Italia, tendono a svalorizzarsi, e questo anche a conseguenza della tendenza demografica allo spopolamento.  Ma attenzione! Dal punto di vista dell’investimento, in molti casi, questo fatto si ribalta in nuove opportunità di mercato. La necessità di ripopolare i piccoli centri urbani, per esempio, spinge le autorità locali ad adottare una politica di incentivazione, offrendo tali immobili a cifre risibili. E’ proprio a questo punto che la caduta verticale del loro valore può diventare essa stessa un’opportunità, a determinate condizioni! L’opportunità deve infatti intercettare una domanda orientata ad un nuovo stile di vita, determinata dallo sviluppo tecnologico, dalle condizioni ambientali, oltre che da fenomeni demografici quale l’aumento della probabilità di vita, e fenomeni sociali come l’atomizzazione dell’individuo, causata dalla disgregazione dei nuclei familiari di un tempo. In buona sostanza, voglio dire questo: mano che nuove condizioni di mercato prendono forma, il sentimento di sfiducia verso ciò che il mercato offriva in precedenza lascia spazio alla nuova fiducia in ciò che sta nascendo nel presente, a patto che si abbia la capacità di percepirlo e comprenderlo. Quindi, ancora una volta l’incertezza non è di per sé un fattore negativo, ma rappresenta la condizione fondamentale di qualsiasi evoluzione, e la linea di sviluppo lungo la quale i mercati si muovono!  Ma questo non è un meccanismo automatico, al contrario, richiede che le condizioni siano mature e che gli investitori abbiano la capacità di individuarne le opportunità, e i consulenti quella di trasformarle in soluzioni e di cercare il modo di valorizzarle e difenderle.

Continua a leggere

Dal patrimonio finanziario al patrimonio globale.

Scritto il 31.08.2020

  L’ evoluzione del consulente finanziario di fronte al nuovo quadro evolutivo delle necessità patrimoniali delle famiglie italiane. La funzione storica del consulente finanziario, come pianificatore degli investimenti, ricopre ormai uno spazio sempre più residuale, ritagliato all’interno della generale prospettiva patrimoniale.   E’ vero, incertezza, scarsa fiducia nel futuro, mancanza di chiarezza su come impegnare il danaro, o timore di investire a causa della percezione errata della volatilità come rischio, sono all’origine dell’oggettivo bisogno dell’assistenza qualificata del consulente finanziario, in termini di protezione degli asset e del tenore di vita negli anni a venire. Ma questo non è più sufficiente, se la gestione delle risorse finanziarie, non viene posta nei termini della più generale tutela degli asset patrimoniali e della loro continuità nel tempo, precondizioni necessarie anche per le eventuali attività d’investimento, da considerarsi sempre inserite nella più generale logica della preservazione della ricchezza, ritagliando alla performance una importanza relativa, e finalizzata ad obiettivi tattici. Per disegnare strategie di pianificazione personalizzate quindi non basta più la conoscenza dei mercati e degli strumenti finanziari. perché per l’imprenditore, il professionista o il pensionato, specie se con patrimonio rilevante, la questione non si limita alla protezione dell’investimento in quanto tale, ma si estende al patrimonio nella sua generalità. Per tutelare il patrimonio, è necessaria una competenza allargata agli strumenti anche giuridici, come il fondo patrimoniale (a tutela delle famiglie); l’ atto di destinazione (a tutela di coppie di fatto e soggetti deboli); l’affidamento fiduciario (per attuare programmi meritevoli di tutela); le polizze vita (per l’impignorabilità e l’insequestrabilità) che sono punti di forza per la tutela del patrimonio; e non ultimi i fondi pensione (per l’intangibilità dei contributi e per la loro limitata aggredibilità); il testamento e le donazioni (per le necessità successorie e di trasferimento generazionale dei patrimoni). In particolare, il passaggio generazionale presenta forti criticità che soprattutto gli imprenditori devono affrontare. E’ stato previsto che tale questione nei prossimi 5 anni interesserà quasi un’impresa su 5. E purtroppo a proposito di ciò le statistiche descrivono un quadro della situazione delle imprese italiane preoccupante: solo il 25% delle imprese familiari sopravvive al fondatore e questa percentuale scende al 13% per le imprese che arrivano alla terza generazione per ridursi al 4% della quarta generazione e oltre. Il fenomeno è tanto più rilevante, in quanto la maggioranza delle imprese italiane sono a conduzione e familiare!  E’ dunque un problema non solo di rilevanza economica, ma anche sociale! Il consulente finanziario che si trovi in questa prospettiva dovrebbe, quindi, essere in grado di guidare l’imprenditore nella scelta degli strumenti più adeguati alla situazione familiare, valutando se ci sono le condizioni per il patto di famiglia, la holding di famiglia o il trust, per esempio. Anche la strumentazione da utilizzare viene a spostarsi sul piano assicurativo, piuttosto che su quello prettamente finanziario: quindi prendono posto strumenti che aiutano la continuità di un’impresa come la Polizza key man (per la tutela dal rischio di perdere una risorsa chiave per l’impresa); la Polizza TFM (trattamento fine mandato, forma di retribuzione differita per i quadri e i dirigenti aziendali, che come tale gode di un trattamento fiscale favorevole previsto dal TUIR); la Polizza vita (che con l’accettazione del beneficio di polizza, deroga ai patti successori); il Fondo pensione (per l’intangibilità delle contribuzioni). Il consulente finanziario deve quindi ampliare le proprie competenze, senza per questo diventare tuttologo, ma espandendo il focus anche in ambiti più trascurati, integrando tutti gli asset di cui è composto il patrimonio in una progettualità univoca in cui tutte le varie attività (fisiche, immobiliari e finanziarie) trovino la giusta collocazione.

Continua a leggere

Condividi