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Il rapporto fondamentale fra investitori e promotori finanziari
Scritto il 26.06.2015In Italia il livello di consulenza non è ancora decollato, ma affidarsi al puro fai-da-te è pericoloso: soprattutto in questo periodo di mercati azionari in continua crescita, dove il rischio bolla potrebbe essere dietro l’angolo, e di mercati obbligazionari, caratterizzati da titoli di Stato che presentano tassi pressoché nulli. In questo scenario di fondo, quindi, l’aiuto di un promotore finanziario o di un consulente è fondamentale per permettere a un investitore di non ritrovarsi con il cerino in mano. Per un piccolo azionista, il rischio di fondo è di entrare in Borsa troppo tardi, quando i listini, arrivando da un lungo ciclo di rialzo, presentano prezzi molto elevati. Non sapendo diversificare e, soprattutto, non avendo il coraggio di vendere in caso di perdite, il piccolo risparmiatore si troverebbe in difficoltà di fronte a un mercato completamente ribaltato. Affidandosi a un professionista, invece, il privato potrebbe dormire sonni tranquilli, perché sa che i suoi risparmi sono in mano a un esperto del settore, capace di affrontare al meglio tutti i diversi scenari che si possono presentare. Secondo quanto risulta dalla Relazione della Consob per l’anno 2014, nel corso dello scorso anno il livello di partecipazione ai mercati finanziari delle famiglie italiane è aumentato, passando al 48% dal 41 del 2013. L’incremento è ascrivibile principalmente alla crescita della quota di investitori retail che detengono almeno un’attività rischiosa (azioni, obbligazioni, risparmio gestito e polizze vita) che si è collocata al 32% a fine 2014, rispetto al 26% dell’anno prima, pur continuando a rimanere al di sotto dei valori registrati nel 2007 (38%). Ma cosa cercano i privati e come può intervenire il consulente? Come si vede nella Relazione, circa il 70% delle famiglie italiane sembra disposto a investire i propri risparmi in prodotti finanziari a condizione che essi garantiscano la protezione del capitale o un rendimento minimo; la seconda condizione, indicata da circa il 40% delle famiglie, è che la commissione da sostenere sia bassa. “La fiducia nel consulente, poi, è tra le motivazioni principali per il 37% circa degli investitori retail, sebbene solo il 24% circa si dichiari interessato alla consulenza”, si legge nel documento. Nonostante venga riconosciuta da tutti l’importanza della consulenza, in Italia il rapporto investitore-promotore è ancora basso. Proprio qui, quindi, si deve intervenire. E gli spazi di crescita sono ampi se si considera che, nel nostro Paese, la quota di famiglie che lo scorso anno ha ricevuto proposte di investimento personalizzate è stata pari al 18% circa degli investitori retail con diploma di laurea. Qualora vogliate approfondire l'argomento contattatemi tramite telefono o email.
Continua a leggereCrescono i bisogni di consulenza
Scritto il 15.06.2015Cresce la consapevolezza degli italiani sui propri investimenti, ma aumenta anche il bisogno di consulenza in uno scenario economico sempre più complesso che sta generando una nuova domanda di assistenza. Secondo la ricerca “Banche e consulenza finanziaria: il ruolo di oggi e nell’Italia di domani” cheGfK Eurisko ha realizzato per Assoreti, gli italiani che si dichiarano competenti in materia d’investimenti finanziari sono diminuiti dall’inizio della crisi, passando dal 40% del 2008 al 30% del 2015. Ma cosa chiedono gli italiani e quali sono gli spazi più scoperti? Analizzando la graduatoria dei bisogni degli italiani in materia di consulenza, al primo posto si colloca la consulenza fiscale, già molto coperta dal punto di vista dei servizi offerti: in questo campo, infatti, a fronte di una utilità percepita del 68%, la copertura risulta essere del 52%. Dalla ricerca emergono, invece, grandi spazi di crescita soprattutto nella consulenza per la costruzione della pensione (61% di utilità percepita, coperta oggi solo per il 26%), nella consulenza per la gestione del risparmio (58% di utilità percepita e con una copertura del 35%), nell’educazione finanziaria (55% e 22%) e nella gestione dei finanziamenti (54% e 30%). E proprio in questi ultimi campi serve l’aiuto di un esperto che accompagni gli investitori a destreggiarsi in mercati sempre più complessi. I risparmiatori sono infatti sotto pressione e sempre più esposti alla potenziale volatilità dei mercati. Una ricerca di State Street Global Advisors mette in luce le contraddizioni nei comportamenti degli investitori nella ricerca di un equilibrio tra rendimenti e rischi di ribasso. A causa di una pressione sulla sostenibilità delle prestazioni, cresce l’allocation sull’azionario, nonostante la convinzione di una correzione. Dalla ricerca emerge infatti che il 63% degli investitori a livello globale ha aumentato gli investimenti in azioni dei mercati sviluppati, ma anche che il 60% degli intervistati si aspetta una correzione negativa dei mercati azionari compresa tra il 10 e il 20% nel breve termine. Inoltre quasi la metà del campione (44%) ritiene che il mercato sia sopravvalutato. Cresce quindi la necessità di adeguate strategie di protezione dei ribassi. Ecco allora che, anche in questi casi, i professionisti devono aiutare gli investitori a comprendere meglio quali sono le possibili opzioni per proteggersi dai ribassi.
Continua a leggereEcco gli strumenti alternativi per finanziare le pmi
Scritto il 09.06.2015Dai minibond, al private equity e venture capital: ecco i principali strumenti alternativi che possono essere utilizzati per finanziare una impresa. I minibond, in particolare, sono titoli obbligazionari e cambiali finanziarie emessi da pmi (quotate o non quotate) il cui sviluppo è stato favorito in maniera determinante da una serie di provvedimenti legislativi, partiti dal 2012 con i Decreti Sviluppo e Sviluppo-Bis, e proseguiti nel 2013 e nel 2014. Lo scopo è stato quello di fornire alle pmi un canale addizionale di finanziamento per la crescita, vista la minore disponibilità di credito bancario. Si tratta di un mercato dai numeri ancora contenuti, ma in continua crescita. All’interno del 1° report italiano, realizzato dall’Osservatorio sui Mini-Bond (costituito nel 2014 presso la School of Management del Politecnico di Milano), risulta che complessivamente, alla fine del 2014, le imprese che avevano fatto ricorso ai minibond erano 86 e avevano effettuato 96 emissioni. Di queste, quasi tutte risultavano quotate sull’ExtraMOT PRO, il nuovo segmento aperto da Borsa Italiana nel febbraio 2013, sul quale a dicembre 2014 erano quotati 87 titoli emessi da 79 società, per un valore nominale complessivo di 4,6 miliardi di euro. Un fattore negativo di questi strumenti potrebbe essere rappresentato dai rendimenti. Secondo l’Osservatorio sui Mini-Bond, la cedola si è “concentrata’ infatti in media attorno a valori compresi fra il 5% e il 6%, più alti quindi dei tassi attuali di corporate investment grade di pari scadenze. Ma i minibond sono uno dei vari strumenti di finanziamento alternativi al prestito bancario. Lo sbarco a Piazza Affari, oppure l’ingresso di private equity e venture capital nell’azionariato societario sono altre strade alternative per sostenere la crescita di una pmi. In particolare, il venture capital è un’opportunità utile per il sostegno delle imprese durante le prime fasi del loro ciclo di vita, distinguendo tra operazioni di avvio (seed e start-up) o operazioni di early stage, a seconda che l’apporto di capitale di rischio da parte di un investitore avvenga per finanziare l’avvio o la crescita di un’attività in settori a elevato potenziale di sviluppo. In questo caso, la pmi può crescere e sviluppare il proprio business grazie al finanziamento con capitale di rischio, ovvero l’ingresso in società di un fondo di finanziamento (solitamente appunto un early stage o venture capitalist) che apporta capitale e competenze/network utili allo sviluppo del progetto. Il venture capital è quindi una categoria del più ampio settore del private equity, che è il termine utilizzato per indicare, in modo generale, l’attività dell’investitore nel capitale di rischio. Secondo i dati diffusi dall’Associazione italiana del private equity e venture capital (Aifi), al 31 dicembre 2014, gli operatori di private equity e di venture capital avevano in portafoglio 1.245 aziende, che complessivamente impiegavano 480.000 addetti e fatturavano 100 miliardi di euro. Con riferimento all’insieme degli operatori monitorati, le società di gestione del risparmio (Sgr) e gli altri investitori specificatamente dedicati all’Italia (investment company) rappresentavano quasi la metà dell’intero mercato in termini di numero (43%), seguiti a breve distanza dagli operatori internazionali (40%), il cui numero è cresciuto del 36% rispetto al 2013. Il peso dei soggetti focalizzati sull’early stage e di quelli regionali/pubblici era, invece, del 7% ciascuno, mentre le banche contavano per il restante 3%. Se vi interessa fare un analisi delle possibilità per la vostra impresa contattatemi per una valutazione personalizzata.
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