Finita la spinta propulsiva delle anticipazioni sull'andamento futuro dei mercati nel 2021, che certamente fa vendere più copie dei giornali finanziari, la ricerca dell'esatto vaticinio si sposta ora verso un altro importante argomento: scoppierà (finalmente) quest'anno la tanto pronosticata bolla sul mercato azionario americano, cresciuto nonostante la pandemia? A questo riguardo su Milano Finanza del sabato appena trascorso, in un articolo dal titolo “È un Toro Esagerato?” Francesco Bertolino, scomodando l’anormalità di periodo dell'indice di Buffet, che misura il rapporto tra la capitalizzazione totale di Wall Street e il Pil Usa, si è posto il dilemma se questa anormalità sia deciso segno premonitore di un crollo del Nasdaq. Per rafforzare questa tesi viene rivelata la previsione di un importante guru di mercato americano, gestore di un performante hedge fund, che ci rivela che tra la primavera e l'estate ci sarà lo scoppio di una bolla epocale. Per stupirci sempre più ci anticipa anche che questo crollo sarà a lungo annoverato fra i maggiori della storia finanziaria, con una perdita quantificata nell’ 82% del listino. Da qui emerge la preoccupata domanda del lettore che si chiede se sia meglio liquidare tutte le sue posizioni azionarie o mantenerle, senza per altro nemmeno prima chiedersi se i suoi investimenti contemplino quel mercato. Poche righe sotto e l'articolo ci lancia un segnale tranquillizzante: con rendimenti sotto zero di gran parte del reddito fisso, le azioni resteranno molto probabilmente ancora per lungo tempo il naturale sbocco per tutti quei fiumi di liquidità alimentati dalle banche centrali. A questo punto la confusione aumenta e il lettore comincia a dare ancora più segni di nervosismo: meglio vendere tutto oppure tenere invariato l’asset? Fateci caso ma questo processo ansiogeno si ripercuote sulla psiche dell’investitore sempre, ogni volta cioè che il mercato comincia a dare segni di volatilità negativa.
Pensate quindi per un momento a come possa sentirsi un investitore confuso dalle sempre più pressanti notizie contraddittorie, che sono per lui come spilli sottopelle, specialmente quando gli inducono l'idea di perdere il denaro investito. A questo riguardo, il più sbagliato tra i suggerimenti è quello che, nella gestione di un investimento, è sempre opportuno uscire all'inizio di una crisi riducendo le perdite, per essere poi pronti a rientrare al momento opportuno. Ma quando è il momento opportuno per uscire e quando quello per rientrare? Il problema è che, come abbiamo avuto modo di vedere, fare sempre le scelte giuste è impossibile. Quando si sbaglia il market timing gli errori si pagano. Il vero punto nevralgico per un investitore non sta però nella performance mancata o nel rischio di perdere, ma soprattutto nella continua pressione psicologica che subisce quando cioè cresce la paura di perdere quanto guadagnato sino a quel momento oppure, peggio, quanto investito.
Ecco dunque che sarebbe invece necessario aiutare l’investitore a metabolizzare una diversa chiave di lettura delle informazioni che acquisisce nel tempo, specialmente nei momenti di crisi. Queste infatti dovrebbero essere elaborate più razionalmente per non amplificare la naturale paura ma, piuttosto, per trarne invece utili spunti operativi volti alla ricerca del valore presente nei momenti di crisi, proprio quando tutti vogliono vendere. Queste pressioni negative sono tanto più pesanti e insopportabili quanto è più alta l’inconsapevolezza di quello che l'investitore sta facendo, spesso perché ne è inconsapevole non essendo nemmeno stato coinvolto nel necessario processo di condivisione nella scelta strategica del suo portafoglio. Quante volte vengono realmente spiegate le dinamiche che regolano l'andamento dei mercati sui quali si investe? Se il mondo della consulenza si impegnasse di più nell’attività di coinvolgimento formativo dell’investitore, riducendo sempre più le esistenti asimmetrie informative che di fatto esistono, facendolo cioè partecipe della semplice verità che, il vero motore della performance, è proprio quel rischio che in molti erroneamente identificano nella possibilità di perdere. Sappiamo infatti come i migliori guadagni si realizzano durante le fasi di crollo dei mercati; altresì sappiamo che più passa il tempo e meno sono le possibilità di perdere, arrivando addirittura ad azzerarle se il tempo è ben impiegato. Oltre che alla performance questo gioverebbe anche alla riduzione dello stress da investimento che coinvolge, seppure con modalità diverse, sia chi investe che chi consiglia l’investimento.
Pertanto ai guru che pronosticano futuri crolli di mercato dovremmo essere grati, non tanto per quel loro inaffidabile avvertimento di essere pronti a liquidare per evitare eventuali perdite, quanto piuttosto perché da quei ribassi se ben sfruttati, si amplifica la possibilità di incrementare la performance. Non dimentichiamo mai che i veri e duraturi guadagni sono generati dal time e non dal market timing.