E’ vicenda di questi giorni la notizia delle vendite “truffa “ di diamanti tramite le banche.
Il riferimento è fatto, in questa sede, unicamente per cercare di realizzare un parallelo concreto tra alcuni aspetti psicologici certamente connaturati all’acquisto di diamanti e altri aspetti che caratterizzano la ricerca e le proposte di altre tipologie di investimento finanziario.
Ciò che sappiamo, ascoltando le notizie trasmesse in radio o leggendole sui giornali, è che nel nostro paese, negli ultimi anni, molti investitori hanno acquistato diamanti tramite canali di acquisto che nell’immaginario collettivo godono ancora, evidentemente, di ampia fiducia (in questo caso certamente mal riposta): la notizia certa è che le banche vendevano con lo scopo di intascare enormi provvigioni, a fronte dei prezzi medi di vendita notevolmente superiori al reale valore di mercato. I diamanti erano, in questo caso, certamente autentici ma il meccanismo si reggeva da un lato, sull’autorevolezza del venditore, dall’altro sull’incapacità del compratore di valutare il valore reale di ciò che stava acquistando.
Consideriamo il dato oggettivo: il diamante è un cristallo trasparente composto da atomi di carbonio; dal punto di vista termodinamico si tratta di un oggetto instabile che, in teoria, per la seconda legge della termodinamica, dovrebbe trasformarsi interamente in grafite, cosa che non avviene poiché impedita cineticamente ed è per questo che si tratta di un materiale metastabile.
Quanti investitori, nel momento in cui decidono di acquistare un diamante, anche solo per un attimo riescono a pensare che, in fondo, si tratta di grafite, uno stato del carbonio, guarda caso proprio lo stesso materiale che consente al venditore della banca di scrivere su un foglio bianco con la matita quali siano i vantaggi miracolosi di quell’acquisto.
In realtà, il diamante è da sempre associato al concetto di rarità: i produttori mondiali di diamanti sono pochi, le pietre si vanno esaurendo e l’80% della produzione è destinato a scopi industriali, solo un quinto del prodotto si destina alle gemme, e solo il 2% presenta caratteristiche qualitative adatte all’investimento. Queste erano le argomentazioni principali a sostegno della vendita ma sappiamo bene che il diamante da sempre viene utilizzato nella produzione di gioielli e il suo acquisto è legato a fattori strettamente emotivi che trovano terreno fertile nelle caratteristiche intrinseche: la longevità, la bellezza scintillante e la purezza. L’acquisto di un gioiello con diamanti è sempre legato a motivazioni psicologiche, culturali ed economiche; “io valgo “, “ce l’ho fatta “, “festeggiamo “, “voglio fare impressione “, “è una promessa “.
In sintesi, aspetti psicologici e culturali ben radicati come terreno fertile da coltivare con ragionamenti concreti circa l’aspetto di rarità, che associa facilmente un valore che aumenta al diminuire dell’offerta.
Un messaggio facile e concreto per un’ampia platea di investitori certamente poco preparati e molto propensi ad investire il proprio denaro in qualcosa di tangibile e facilmente, in apparenza, comprensibile.
Purtroppo, la cruda realtà dei fatti ha ampiamente dimostrato che l’investimento semplice, comprensibile, realizzabile con minimo dispendio di tempo e di energie mentali, spesso conduce a perdite economiche parziali o totali difficilmente recuperabili.
In altre parole, possiamo affermare che l’investimento di denaro in modo semplice, facilmente comprensibile, che non richiede particolari sforzi culturali e dispendio di tempo ed energie, è qualcosa oggi che appartiene più alla mitologia che alla realtà.
E, sempre alla mitologia, appartengono gli unicorni, creature fantastiche dotate di poteri magici. I ritrovamenti, nei secoli, di tracce, quali fossili o corni di animali, hanno alimentato la leggenda.
Anche in questo caso, l’aspetto psicologico è fondamentale: vorremmo trovare davvero un unicorno, simbolo di purezza e strumento per rendere innocui i veleni, peccato che fino ad oggi nessuno li abbia davvero incontrati, salvo continuare a credere che esistano (questo quantomeno accadeva in passato), incontrando “ prove “ della loro esistenza: reperti fossili o corni di narvalo o di orice.
Da anni, nella mia attività di consulente finanziario autonomo, leggo sui giornali e su internet e ascolto sovente investitori e consulenti che sono convinti dell’esistenza dell’unicorno, quantomeno in campo finanziario: il gestore di fondi attivi, capace di realizzare costantemente risultati significativamente superiori a quelli dei suoi diretti concorrenti e anche alla media del mercato in cui investe il denaro dei clienti.
Purtroppo, parlare di indici di mercato e di valori medi di riferimento, è in genere poco attraente dal punto di vista della narrazione. L’immaginario collettivo dell’investitore è ancora convinto, soprattutto in Italia, che possano esistere persone dotate di informazioni privilegiate o di capacità particolarmente superiori alla media, in grado di “ far crescere “ i soldi velocemente, senza grandi rischi e, soprattutto, di beneficiare di quell’insieme di caratteristiche “ magiche “ che, in quanto tali, consentirebbero a chi affida a loro i propri investimenti, di entrare in una sorta di “ cerchio magico “, una specie di ambito elitario costituito da pochi privilegiati che, guarda caso, hanno avuto proprio loro la fortuna di incontrare la “ persona giusta “.
Se così non fosse, non assisteremmo, periodicamente, a vere e proprie truffe finanziarie a cui abboccano purtroppo per loro ancora troppe persone.
La complessità del sistema finanziario e del sistema politico-economico, la numerosità degli strumenti in cui investire, la numerosità delle normative di riferimento e la loro variabilità nel tempo nonché la numerosità degli operatori, amplificano la difficoltà per l’investitore medio di ragionare efficacemente su basi oggettive, da qui la ricerca di “mitologia finanziaria”, la ricerca di unicorni: soluzioni semplici e veloci che consentono di mettere da parte il ragionamento e la logica, troppo faticosi, per “credere “ nella soluzione di investimento miracolosa.
Il problema però, non si trova solo dal lato degli investitori, cosa abbastanza comprensibile e ragionevole anche se non condivisibile ma, purtroppo, anche sovente dal lato degli operatori professionali, proprio le persone che dovrebbero consigliare al meglio i loro clienti.
Oggi affrontiamo uno di questi miti in campo finanziario: la ricerca di risultati superiori alla media tramite la combinazione di fondi attivi di gestori professionali che hanno dimostrato, NEL PASSATO, caratteristiche superiori alla media dei loro concorrenti. Questo tipo di impostazione può, in alcuni casi, nascondere delle insidie e portare il cliente a comporre portafogli di investimento caratterizzati da aspetti tecnici quantomeno discutibili.
Un concetto fondamentale, mai sufficientemente ripetuto ed argomentato, è costituito dal principio della diversificazione: un investimento concentrato su pochi strumenti finanziari degli stessi emittenti presenta, in linea di principio maggiori rischi rispetto ad un investimento diversificato su molti strumenti finanziari di emittenti diversi, banalmente espresso con la classica frase “mai mettere tutte le uova nello stesso paniere “.
Una tipologia di strumenti finanziari particolarmente efficace ed efficiente per realizzare questo principio è costituita dagli ETF, fondi comuni scambiati in Borsa, che al loro interno acquistano molti titoli di emittenti diversi, copiando un determinato indice in modalità passiva, quindi senza intervento di gestori che decidono cosa e quanto comprare in un certo momento rispetto a varie scelte possibili.
E, proprio su questo punto, si innesta una prima “ leggenda metropolitana” che da anni sento ripetere: se un investimento copia un indice di mercato in modo passivo, sarà un investimento più rischioso, dal momento in cui non esiste un gestore attivo che possa vendere al momento opportuno i titoli e, allo stesso tempo, sarà un investimento meno remunerativo nel tempo, dal momento in cui non beneficia della capacità del gestore attivo professionale di scegliere i titoli più performanti rispetto al resto del mercato.
In realtà, l’attività di un gestore attivo, introduce elementi discrezionali di scelta, più o meno ampi in base a vari fattori, che possono certo portare a risultati nel tempo migliori, ma anche che possono ottenere il risultato opposto, cioè di perdere più denaro, in parte anche a causa dei costi dei fondi attivi, notevolmente superiori a quelli dei fondi passivi.
L’evidenza empirica di numerose ricerche ci dice che, in particolare in alcuni mercati come quello statunitense, solo una piccolissima parte dei gestori attivi riesce a battere gli indici di mercato nel tempo e, particolare fondamentale, coloro che ci riescono non sono sempre gli stessi gestori ma variano nel tempo.
A fronte di questa evidenza, alcuni operatori del settore ritengono di poter consigliare al meglio i loro clienti consigliando unicamente i “migliori gestori” e realizzando una apparente diversificazione dividendo il patrimonio affidato loro dai clienti su diversi fondi comuni attivi di diverse società di gestione, utilizzando il criterio della selezione dei “migliori fondi” che, nella maggior parte dei casi, consiste nel valutare in maniera superficiale ed approssimativa i fondi consigliati, scegliendoli nella gamma di strumenti per i quali la banca per cui lavorano ha realizzato accordi di distribuzione.
La seconda “leggenda metropolitana“ è proprio questa: pensare di poter realizzare un portafoglio efficace e ben diversificato utilizzando unicamente fondi attivi scelti sulla base delle maggiori performances passate piuttosto che sulla loro reale operatività prospettica e sulla loro effettiva composizione (cose facili da sapere solo per gli stessi gestori).
Spesso, infatti, uno dei problemi principali nell’utilizzo dei fondi di gestori attivi è costituito dalla possibilità di conoscere in tempo reale cosa il gestore stia realmente facendo all’interno del fondo e quali siano i titoli contenuti nello stesso.
A dimostrazione di questo concetto, ho considerato cinque diversi fondi azionari di cinque diverse società di gestione tra le più conosciute al mondo con le seguenti caratteristiche:
• hanno ottenuto tutti e cinque valutazioni molto elevate da parte di Morningstar;
• ciascuno di loro ha superato l’indice di categoria e la media dei concorrenti nei 36 mesi precedenti;
• appartengono a settori diversi e a regioni geografiche diverse.
Consideriamo quindi un investitore con un patrimonio finanziario complessivo pari a € 300.000, con un orizzonte temporale sufficientemente ampio, disponibile ad accettare oscillazioni di una certa ampiezza del proprio patrimonio, a cui sia stato prospettato di dedicare € 100.000 al mercato azionario acquistando:
€ 40.000 fondo azionario globale
€ 30.000 fondo azionario Stati Uniti
€ 10.000 fondo azionario Cina
€ 10.000 fondo azionario settore tecnologia
€ 10.000 fondo azionario settore beni e servizi di consumo
In apparenza, si tratta di una ampia diversificazione e l’idea di dedicare soltanto il 10% del portafoglio azionario al mercato cinese potrebbe apparire molto rassicurante: si tratta di un’economia vivace e in forte crescita ma vari fattori portano alla decisione di dedicarci solo una parte limitata del totale.
Se però cerchiamo di realizzare una analisi più approfondita, nel caso specifico favorita dalla disponibilità dei dati precisi, cosa assai rara per i fondi con una gestione attiva, arriviamo a scoprire che nel fondo azionario cinese le maggiori posizioni sono costituite dalle società Tencent, Alibaba e TAL con importi particolarmente rilevanti pari a circa € 1000 di azioni Tencent, € 1000 di azioni Alibaba e € 900 di azioni TAL (nel periodo immediatamente precedente alla realizzazione di questo articolo, sulla base dei dati più recenti forniti dalle società di gestione). Si tratta evidentemente di un fondo concentrato su un numero limitato di titoli ma questo potrebbe essere ragionevole per il nostro cliente, nella misura in cui è stato deciso di investire un importo relativamente limitato sulle azioni.
Andando però nel dettaglio degli altri quattro fondi, scopriamo che:
• nel fondo azionario Stati Uniti abbiamo investito, indirettamente, oltre € 1000 in azioni Alibaba e poco meno in azioni Tencent
• nel fondo azionario globale abbiamo investito circa € 2700 in azioni TAL
• nel fondo azionario del settore tecnologia abbiamo investito altri € 500 in azioni Tencent e € 300 circa in azioni Alibaba
• nel fondo azionario settore beni e servizi di consumo abbiamo investito oltre € 500 in azioni Alibaba
In totale, € 2800 circa in azioni Alibaba, € 2500 circa in azioni Tencent e € 3600 circa in azioni TAL.
Se, quindi, l’idea era quella di dedicare non più di € 10.000 alle azioni cinesi, nella realtà abbiamo investito, indirettamente, quasi il doppio, concentrando gli investimenti in soli tre titoli cinesi laddove il principio iniziale era quello di ottenere una ampia diversificazione.
Si tratta evidentemente di un semplice esempio reale poco approfondito, nella misura in cui la trasparenza dei fondi gestiti attivi non è certamente la loro caratteristica principale.
Un consulente finanziario autonomo, non dovendo basare la propria remunerazione sulle provvigioni derivanti dalla vendita dei fondi, può suggerire un portafoglio costruito con vari ETF, realizzando certamente una maggiore diversificazione di titoli di società diverse, ma consentendo soprattutto di conoscere in ogni momento la reale composizione interna di ciascun ETF e, di conseguenza, del portafoglio completo: ogni ETF, infatti, pubblica giornalmente la composizione precisa e completa del proprio portafoglio titoli, offrendo quindi maggior trasparenza rispetto ad un portafoglio di soli fondi attivi.
La seconda considerazione, fondamentale, è costituita dal fatto che, quasi sempre, i maggiori risultati rispetto alla media di mercato e ai concorrenti diretti viene realizzata dai fondi attivi tramite la concentrazione dell’investimenti su pochi titoli: questo da un lato consente ovviamente di ottenere risultati migliori se le scelte si riveleranno corrette, esponendo peraltro i clienti a rischi maggiori rispetto ad più semplice investimento sull’intero mercato.
Purtroppo, però, siamo tutti in grado di scegliere i fondi “migliori “ DOPO che hanno realizzato i risultati ma riuscire a scegliere i “migliori” fondi PRIMA che realizzino risultati superiori al mercato e ai concorrenti diretti, appare francamente molto più simile alla ricerca degli alchimisti medievali che giustificavano l’esistenza degli unicorni dopo aver trovato reperti fossili o altro che potesse giustificare nell’immaginario collettivo la sussistenza del mito.
Un consulente finanziario autonomo deve purtroppo fare i conti con la realtà e fa parte dei suoi obblighi evidenziare agli investitori la possibilità che un fondo comune a gestione attiva che ha ottenuto risultati superiori alla media di mercato possa in seguito ottenere risultati inferiori alla stessa media (“mean reversion”); la ricerca di risultati superiori potrebbe essere ottenuta con ETF Smartbeta o con combinazioni opportune di ETF tradizionali con la certezza dei costi complessivi più bassi nel medio lungo periodo e la massima trasparenza circa il contenuto.
E visto che siamo in tema di alchimisti e formule magiche, la terza “leggenda metropolitana” che circola nel settore della consulenza vedrebbe il consulente finanziario autonomo come un novello alchimista chiuso nel suo piccolo antro alla ricerca fantasiosa della formula magica per la trasformazione del piombo in oro, con l’argomentazione che solo le grandi società organizzate con studi e uffici in tutto il mondo potrebbero offrire rendimenti superiori grazie alla loro immensa struttura.
In realtà, il consulente finanziario autonomo è un professionista autorizzato e vigilato che non dovendo perdere tempo per incontri commerciali periodici, ha maggiori risorse per partecipare a convegni, per studiare e per spiegare nei dettagli i consigli ai suoi clienti, ma soprattutto non ha i “vincoli” che sono imposti a chi opera per conto di un intermediario: se riconosce la validità di un fondo attivo per una determinata asset-class rispetto ad un ETF potrà consigliarlo ai suoi clienti non essendo legato ad una offerta limitata definita da altri e nel contempo potrà consigliare la combinazione di ETF, fondi attivi e altri strumenti quotati che riterrà più consona alle esigenze specifiche di ciascun cliente, dal momento in cui la sua remunerazione è pagata direttamente dalla parcella definita col cliente anziché dalle commissioni generate dalla vendita degli strumenti (che non sono uguali per tutti gli strumenti e possono generare conflitti di interesse).