Alcuni lettori mi sottopongono sovente domande sul tema ETF che mi inducono a ritenere che su questo argomento ci siano parecchie idee “sbagliate“ in circolazione; proverò pertanto a spiegare alcuni aspetti che dovrebbero chiarire meglio i singoli temi.
Le più autorevoli fonti informative in merito a questi strumenti di investimento sono rappresentate dai siti Internet delle diverse società di gestione che emettono queste tipologie di prodotti: esiste on-line una vasta letteratura in materia, in alcuni casi purtroppo scritta in modo approssimativo e con frequenti errori.
È fondamentale su questi temi, così come molto spesso anche su altri, fare riferimento alle fonti ufficiali o comunque a fonti attendibili.
Nel corso degli ultimi 14 anni della mia professione, in qualità di consulente finanziario autonomo, ho frequentato numerosi corsi di formazione e partecipato a numerosi convegni in merito a ETF – ETC -ETN e l’idea che mi sono fatto è che, a fronte di un’estrema semplicità operativa per la realizzazione delle operazioni di investimento o disinvestimento, esiste in realtà “dietro le quinte” una costruzione tecnica e legislativa notevolmente complessa.
Risulta quindi estremamente facile correre il rischio di semplificare troppo la questione oppure di fare riferimento a fonti informative che creano una falsa idea in merito ad alcuni aspetti di questa tipologia di strumenti: i risultati potrebbero alla fine essere estremamente negativi per gli investitori poco preparati in materia.
1° errore: credere che tutti gli strumenti quotati nel segmento ETF Plus di Borsa Italiana siano ETF
In questo particolare mercato sono infatti trattati anche altri strumenti tecnicamente e legalmente molto diversi dagli ETF, come ETN – Exchange Traded Notes, in pratica obbligazioni quotate negoziate sul mercato (i termini “Exchange Traded” significano semplicemente “negoziato in borsa”).
Gli ETF sono infatti legalmente fondi comuni di investimento o comparti di SICAV, identici quindi come forma giuridica ai fondi comuni di investimento o ai comparti di SICAV normalmente acquistati in banca, con la particolarità aggiuntiva di poter essere negoziati sul mercato in tempo reale.
Le ETN sono invece sostanzialmente delle obbligazioni emesse da una società di gestione, con la particolarità di essere negoziate sul mercato in tempo reale, come gli ETF, ma con struttura giuridica completamente diversa.
Gli ETF offrono agli investitori la tutela del patrimonio separato mentre le ETN offrirebbero agli investitori una tutela notevolmente inferiore, essendoci il cosiddetto “ rischio emittente “ (compreso quello degli emittenti dei derivati su cui sono costruite), se non venissero opportunamente “ rafforzate “ tramite il cosiddetto “ collaterale “ che può essere rappresentato da un portafoglio di titoli (ad es. Titoli di stato americani o giapponesi) oppure può essere rappresentato da un deposito “ certificato “ di materie prime - in particolare metalli preziosi: oro, argento, platino, palladio.
2° errore: credere che le ETC siano strumenti diversi dalle ETN
Le ETC – Exchange Traded Commodities, che possiamo tradurre con “materie prime negoziate in borsa” - sono sostanzialmente obbligazioni emesse dalle società emittenti, in cui il valore è indicizzato all’andamento di una o più materie prime, che in alcuni casi possono avere come collaterale a garanzia una pari quantità certificata della stessa materia prima di cui rappresentano la quotazione sul mercato.
Trattandosi di obbligazioni quotate collateralizzate, è possibile considerare le ETC come ETN riferite alle materie prime: non esiste una struttura giuridica particolarmente diversa per il solo fatto di essere indicizzate alle materie prime.
Molto semplicemente, le prime ETN emesse erano riferite alle materie prime e sono state chiamate ETC; in seguito sono state emesse ETN indicizzate a valute o ad indici diversi dalle materie prime ma il termine ETC è rimasto nell’uso comune.
3° errore: credere che esistano ETF contenenti oro o altre materie prime come il petrolio
Un ETF è come abbiamo visto sostanzialmente un fondo di investimento e la normativa europea a questo proposito vieta ai fondi di investimento di avere in portafoglio materie prime fisiche, possibilità invece realizzabile dagli ETF di diritto statunitense.
Gli ETF di diritto statunitense sono per il fisco italiano OICR non armonizzati: è possibile per un investitore fiscalmente residente in Italia acquistarli, ma comportano una tassazione complicata dal fatto di dover essere realizzata in sede di dichiarazione dei redditi, in base alla aliquota di tassazione personale. Per questo motivo storicamente sono pochissimi gli investitori italiani interessati. Inoltre, con la recente applicazione delle disposizioni europee in materia di PRIIPS (strumenti di investimento pre-assemblati), è diventato praticamente impossibile acquistarli per un cittadino italiano, in quanto gli ETF non armonizzati non hanno la necessaria documentazione richiesta dalla nuova normativa europea.
Ne deriva che un ETF armonizzato non può contenere al suo interno oro fisico.
Per investire in metalli preziosi - oro, argento, palladio, platino - si ricorre sempre a ETC indicizzate alle quotazioni di queste materie prime, che possono avere come collaterale un deposito certificato nella stessa materia prima. In ogni caso non si tratta di ETF. Potrebbero anche essere realizzate ETC indicizzate a metalli preziosi senza collaterale, di fatto realizzate unicamente tramite strumenti derivati; in realtà, il mercato degli investitori ha negli ultimi anni decretato il successo dei prodotti collateralizzati, in quanto oggettivamente molto più sicuri.
Esistono però ETF armonizzati che nel nome riportano “ gold” : si tratta di ETF che acquistano al loro interno azioni di società minerarie prevalentemente indirizzate verso la ricerca e l’estrazione dell’oro. In questi casi, vanno considerati altri aspetti specificamente legati alle dinamiche delle singole aziende: in estrema sintesi, una società mineraria che estrae oro potrebbe fallire azzerando il valore delle proprie azioni, magari per politiche aziendali errate, nonostante nello stesso periodo il prezzo dell’oro sia magari aumentato notevolmente.
Gli ETF specializzati nelle azioni di società minerarie (ad esempio, RandGold o Barrick) presentano andamenti solo in parte legati alle dinamiche di prezzo dell’oro e costituiscono di fatto strumenti di investimento di nicchia per molti aspetti notevolmente diversi dalle ETC physically-backed, che come abbiamo visto sono obbligazioni indicizzate al prezzo dell’oro con un deposito di oro fisico come collaterale.
Nel caso del petrolio, gli strumenti acquistabili da un investitore italiano sul mercato ETF Plus sono ETC indicizzate al prezzo del petrolio - sia il Brent, sia il WTI - di fatto obbligazioni con sottostanti strumenti derivati: in ogni caso non si tratta di ETF.
Esistono però ETF costruiti tramite strumenti derivati che investono in indici globali sulle materie prime, ma in questo caso non abbiamo la possibilità di selezionare la specifica materia prima su cui investire.
4° errore: investire in ETF limitandosi a leggere la descrizione con il nome del prodotto
Esistono casi in cui il nome dello strumento quotato sul segmento ETF Plus non riesce a definire i dettagli della specifica operatività e arriviamo addirittura ad avere successivamente intermediari e relative piattaforme on-line che semplificano ulteriormente il nome dello strumento con abbreviazioni incomprensibili.
È indispensabile investire in questi strumenti solo dopo aver letto attentamente quantomeno il relativo KIID (che verrà sostituito tra pochi mesi dal KID, un documento costruito per specificare le caratteristiche di ciascuno strumento di investimento assemblato) ma l’unica vera fonte informativa è la documentazione che ogni emittente di questi strumenti realizza nel proprio sito proprietario.
Nel caso in cui non sia del tutto chiaro quanto riportato nel KIID, è ovviamente opportuno chiedere maggiori chiarimenti o alla società emittente o a un consulente finanziario sufficientemente preparato in materia.
Purtroppo, esistono ormai numerose pubblicazioni sia on-line sia su carta stampata, che spiegano le caratteristiche di ETF – ETC – ETN con numerosi errori: è opportuno per un investitore evitare di riferirsi a pubblicazioni non attendibili.
5° errore: investire in ETF o ETC a leva senza aver attentamente capito le caratteristiche degli strumenti
Investire a leva significa utilizzare strumenti o tecniche che permettono di amplificare l’esposizione ad un determinato indice o strumento finanziario: investire a leva 1 è la normalità degli investimenti mentre investire a leva 2 significa amplificare il risultato di pari misura.
Ad esempio, se acquisto per 100 euro un ETF indicizzato al Dax tedesco, potrò beneficiare della crescita del Dax (costituito dai 30 maggiori titoli azionari della borsa tedesca) in pari misura: se in un dato periodo il Dax cresce del 10% il mio investimento salirà a 110 €, se nello stesso periodo il Dax scende del 10% mi ritroverò con 90 €.
Se invece acquisto un ETF a leva 2X sul Dax, raddoppierò la performance sia al rialzo, sia al ribasso: a fronte di un incremento dell’indice pari al 10%, mi ritroverò con un capitale di 120 €; nel caso di perdita pari al 10% mi ritroverò con un capitale pari a 80 €.
Esistono anche ETF a leva inversa, cioè strumenti costruiti per permettere di andare “short” cioè di puntare verso il ribasso di un indice o di un titolo: in questo caso la leva -1x porta a guadagnare in pari misura nel caso in cui l’indice scenda: questo è il caso classico di un ETF short che non riporta l’indicazione “-1x” (che viene quindi sottintesa) e serve sostanzialmente ad investire al ribasso senza dover aprire appositi “conti derivati” e senza dover fornire margini di garanzia all’intermediario.
Se invece la leva è -2x potrò guadagnare due volte tanto rispetto alla perdita di un determinato indice di mercato. Ovviamente se l’indice sale sopporterò una perdita doppia.
Dal momento in cui gli ETF sono fondi di investimento, a livello normativo europeo non è concesso andare oltre la leva 2: ne consegue che gli strumenti quotati, anche su ETF Plus, con una leva superiore a 2 (sia long, sia short) non sono ETF bensì ETN.
Si tratta quindi di strumenti che, come scritto in precedenza, presentano caratteristiche strutturali e giuridiche completamente differenti da quelle degli ETF.
Quindi, non possiamo avere ETF a leva 3x o a leva 4x o superiori.
Nel caso in cui si voglia ricorrere a strumenti con leve particolarmente elevate, ad esempio allo scopo di difendere sul brevissimo periodo, poche ore o pochi giorni, un portafoglio azionario Long utilizzando lo strumento short a copertura con un piccolo importo, dovremo obbligatoriamente ricorrere a strumenti diversi, come ad esempio certificati di investimento a leva dinamica o derivati.
Gli strumenti a leva vanno in ogni caso utilizzati per periodi brevissimi: in particolare sia gli ETF sia le ETN a leva sono costruiti con utilizzo di derivati che presentano costi e un sostanziale “decadimento strutturale” che vanificano in gran parte il risultato sperato se mantenuti per periodi lunghi: in ogni caso, qualora non si ritenga sufficientemente chiaro la loro operatività, risulta sempre opportuno il ricorso ad un consulente finanziario particolarmente preparato su questi argomenti. La definizione “daily” nel nome dello strumento aiuta a capire che l’orizzonte temporale corretto è al massimo una giornata di contrattazione.
Ci sono stati casi di strumenti ricompresi in queste tipologie che, a fronte di eventi particolari, hanno visto completamente azzerato il loro valore in pochi secondi.
In altre circostanze, un loro utilizzo ragionato e oculato, può invece presentare parecchi vantaggi per un investitore, di conseguenza non avrebbe senso scartare a priori questa categoria quanto piuttosto ha senso conoscerne sufficientemente bene le caratteristiche fondamentali.
6° errore: investire unicamente in ETF con grandi volumi di scambio
Un ETF non è un titolo come gli altri, non è un’azione e non è un’obbligazione o un titolo di Stato. Presenta caratteristiche specifiche e come tale andrebbe considerato.
Come ho avuto modo di scrivere in un precedente articolo, la specifica modalità di creazione e rimborso degli ETF, garantisce in ogni caso la loro liquidabilità (intesa come possibilità di essere acquistati o venduti) indipendentemente dal fatto che sul mercato secondario siano presenti o meno numerosi scambi.
La società emittente l’ETF impegna infatti contrattualmente i soggetti che garantiscono la liquidità giornaliera a fornire prezzi d’acquisto e di vendita in via continuativa, subordinando la liquidabilità unitamente alla liquidabilità dei titoli sottostanti.
È quindi possibile acquistare un ETF con volumi di scambio inesistenti o molto scarsi e avere la tranquillità di poterlo rivendere in ogni momento: nella peggiore ipotesi andremo ad acquistarlo e a rivenderlo al Market Maker, cioè all’operatore o agli operatori specializzati che ne garantiscono la negoziabilità sul mercato secondario. Se la quantità richiesta o venduta fosse elevata rispetto a quanto in circolazione sul mercato secondario (ETF Plus o altri), scatterebbe la creation-in-kind o la redemption-in-kind, cioè la creazione o il rimborso di quote in tempo reale, caratteristica peculiare degli ETF.
È certamente vero che un ETF con scambi particolarmente numerosi permette di ridurre il cosiddetto costo bid-ask, cioè la differenza tra il miglior prezzo di vendita e il miglior prezzo in acquisto, ma si tratta di aspetti che hanno oggettivamente senso solo per negoziazioni di cifre elevate oppure per negoziazioni molto frequenti.
Nel caso in cui un investitore costruisca un portafoglio per seguire una determinata strategia e vada ad acquistare un ETF con l’intenzione di mantenerlo per un periodo di tempo sufficientemente lungo, così come magari farebbe con un fondo comune di investimento tradizionale, l’eventuale bid-ask più elevato di un ETF senza scambi numerosi potrebbe rappresentare un elemento da tenere in considerazione solo nel caso di importi particolarmente elevati, diversamente si tratta di solito di pochi centesimi di euro di differenza, a volte ampiamente giustificati nella ricerca di particolari ETF (ad esempio uno smart Beta) che si intendono mantenere in portafoglio per lungo tempo.
7° errore: considerare lo spread bid-ask degli ETF come un elemento fondamentale e prioritario
Il cosiddetto spread bid-ask, cioè la differenza di prezzo presente nel book di negoziazione di un titolo tra la migliore offerta di acquisto e la migliore offerta in vendita, rappresenta indubbiamente un costo nella misura in cui acquisto un determinato titolo o ETF e lo rivendo istantaneamente subito dopo: si tratta di una eventualità non certamente frequente nella realtà di un investitore tradizionale.
È ovvio che a fronte di due diversi ETF che replicano lo stesso identico indice con lo stesso identico livello di costi interni annuali e lo stesso tracking-error, sia preferibile investire in quello con lo spread bid-ask più basso, ma va considerato che tale differenza di prezzi esiste di fatto in ogni negoziazione e quindi viene indirettamente pagato dal cliente anche nel caso di acquisto di un fondo comune di investimento o di un comparto SICAV: non è ovviamente possibile che il gestore di un fondo riesca ad evitare questo aspetto.
Lo spread bid-ask andrebbe invece considerato attentamente perché si verificano casi in cui alcuni ETF obbligazionari riescono a presentare differenziali inferiori a quelli che l’investitore avrebbe acquistando gli stessi titoli contenute nell’ETF: in questo caso un evidente vantaggio per l’investitore che ricorre allo strumento ETF.
8° errore: considerare gli ETF come stumenti facilmente confrontabili con fondi comuni e SICAV
Gli ETF andrebbero considerati alla stessa stregua dei prodotti semilavorati che vengono utilizzati nella costruzione di un edificio: alcuni ETF hanno certe caratteristiche e certe funzioni che vanno integrate con l’utilizzo di altri ETF differenti e anche con titoli singoli, come ad esempio titoli di stato, obbligazioni, certificati e fondi comuni attivi, per realizzare una costruzione complessiva che rappresenti la migliore traduzione pratica delle esigenze specifiche di ogni investitore.
Ne deriva che un confronto oggettivo è realizzabile ma complicato.
Anche alcuni validi fondi attivi possono essere utilizzati per certi scopi, addirittura possiamo arrivare ad utilizzare fondi attivi e SICAV per percentuali pari al 10%, in certi casi anche al 15% del patrimonio investito complessivo.