Eppure i gufi dei mercati erano già pronti a rispondere alla mia provocazione lanciata dal mio post della scorsa settimana. Al primo rintocco di campane a morto, scatenato dalla “ben arrivata” crisi finanziaria innescata dalla crisi del big immobiliare cinese Evergrande, le borse mondiali avevano cominciato a lasciare sul terreno percentuali importanti (Hong Kong -3,3%, Nasdaq -2,2%, Milano -2,6% e Francoforte -2,3%, bitcoin - 7%). Purtroppo però, ancora un nulla di fatto, per i nostri amici pessimisti. Infatti già dal giorno dopo le borse hanno cominciato il loro recupero, ancorché in ordine sparso. Pazienza, sarà per la prossima volta, cari gufi dei mercati, il vostro momento di vittoria non è ancora arrivato.
Naturalmente i più colpiti da questa nuova crisi sono stati gli investitori, i finanziatori e i fornitori, oltre che naturalmente tutti gli acquirenti degli immobili costruiti da Evergrande. Tutti loro, certamente ciascuno con le proprie posizioni ed esposizioni, non passeranno indenni da questa crisi. Tuttavia, come infatti abbiamo potuto leggere nell’articolo di spalla a pag. 8 del Sole 24 Ore del 24 settembre scorso, dal titolo Domande & Risposte, <<a differenza della banca statunitense (Lehman Brothers) il rating della società cinese è inferiore alla categoria “sicura” definita “investment grade”. Quindi chi vi ha investito ha deciso in partenza di imbarcarsi un rischio più elevato. Se il fallimento di Lehman - che fino al 15 settembre 2008 continuava ad avere un rating “A” - per certi verso è stato un fulmine a ciel sereno, le attuali difficoltà di Evergrande erano in un certo qual modo già prezzate dagli elevati tassi delle obbligazioni>>. Alcuni fondi comuni e sicav distribuiti nel nostro paese, avevano in pancia questi titoli, ma la loro esposizione percentuale non ha superato l’1 o il 2% del portafoglio totale investito. In particolare i più esposti sono stati Ubs, Hsbc, Pimco, Blackrock, Allianz e Fidelity, con perdite che non faranno certamente pentire gli investitori pazienti di averli comunque sottoscritti, tante sono ancora le opportunità che offrono questi prodotti. Qui sta la forza della diversificazione, attività capace di fare cogliere ad ogni investitore le occasioni offerte dai mercati, senza il rischio di perdere molto o troppo di quanto investito. Per coloro che sanno aspettare, dando il giusto tempo agli investimenti per produrre risultati, le lievi perdite saranno certamente sanate, ricompensando ampiamente l’investitore che sa attendere il giusto momento per consolidare i risultati ottenuti.
Questo perché, come abbiamo spiegato più volte, le crisi offrono sempre delle grandi opportunità. Il caso di cui stiamo discutendo non è che la conferma della regola sopra esposta. Il sito InvestireOggi, nell’ articolo del 16 settembre scorso dal titolo “Bond Evergrande a rischio default e i rendimenti arrivano al 1.300%”, metteva infatti in grande evidenza che << il bond Evergrande con scadenza aprile 2022 e cedola 9,5%, la cui quotazione è scesa a soli 22 centesimi e poco più, sfiora il rendimento del 1.300%. La scadenza di giugno 2023, invece, scende a un più pacato (si fa per dire) 200%. E se estendiamo lo sguardo al bond giugno 2025, il rendimento si attesta al 75%. In ogni caso, parliamo di numeri compatibili con uno scenario atteso di forte stress finanziario>>. Da qui l’idea che, anche in questo, caso il coraggio potrebbe riservare gioie a chi sa assumere un rischio in modo consapevole diversificando, pur sembrando oggi quei titoli una pura operazione da speculatore, più che un calcolo ponderato. Che curiosa che è la natura umana quando rende noi investitori protagonisti di opposti atteggiamenti verso il medesimo fatto oggettivo: da una parte chi vuole svendere quei titoli poiché li considera una vera sciagura da cui allontanarsi a qualsiasi costo il prima possibile, dall’altra invece chi li vorrebbe acquistare perché li ritiene una grandissima opportunità da non lasciarsi sfuggire
. A noi non interessa qui parteggiare per l’una o per l’altra posizione poiché sarà il futuro a rivelare chi avrà avuto ragione. Quello che ci preme invece è dire che la diversificazione insegna a non concentrare tutte le risorse disponibili sullo stesso titolo, poiché il rischio di rimanerne pesantemente colpiti in caso di default, diventa molto alto quando vengono concentrate troppo le risorse disponibili per investire. Non mi stancherò mai di ripetere che la diversificazione non ha la funzione di moltiplicare i guadagni ma, invero, di diminuire il rischio di perdita o default.
E dopo avere pontificato sulla sempre necessaria e provvidenziale diversificazione, resto in attesa del prossimo tentativo dei gufi dei mercati di indicarmi al pubblico ludibrio, per non avere saputo salvare i clienti che seguo il prossimo tracollo di mercato, confidando io non sui loro insensati e inutili vaticini, ma, piuttosto, sul fedele aiutante chiamato TEMPO, figlio legittimo della pazienza e della pianificazione finanziaria.