Per la maggior parte degli investitori e degli operatori professionali in Italia, gli indici di mercato sono probabilmente un “ qualcosa “ di cui tutti hanno sentito parlare e che ricorre giornalmente alla fine dei telegiornali televisivi con un numero accanto ad una percentuale negativa o positiva, oppure sono tracciati con un grafico per confrontare l’andamento di un fondo comune, di un ETF o di qualche altro investimento, ma probabilmente pochi ne conoscono altre caratteristiche oltre al nome.
In realtà, conoscere la storia e le caratteristiche principali degli indici dei mercati azionari (e degli indici finanziari in genere) permette di avere una visione maggiore di molteplici aspetti tra loro correlati e, soprattutto, aiuta a formarsi un proprio punto di vista obiettivo che può risultare utile agli investitori in diverse situazioni: ad esempio, nel momento in cui un operatore del settore utilizza un grafico per dimostrare i vantaggi di un determinato investimento finanziario, conoscere alcuni dettagli circa l’indice utilizzato per realizzare il confronto può consentire maggiormente di valutare l’operazione proposta con cognizione di causa.
Dal momento in cui non è possibile comprare - e vendere - direttamente un indice - fondamentalmente un numero espresso da una formula - poca attenzione viene normalmente dedicata a conoscerli meglio, con il rischio di formarsi una vaga idea sull’argomento, o, peggio ancora, dei preconcetti basati sulla scarsa conoscenza.
Faccio questa necessaria premessa, perché mi è capitato più volte nei quasi trent’anni di attività in qualità di promotore finanziario prima e di consulente finanziario autonomo negli ultimi 14 anni, di partecipare ad incontri organizzati da società di gestione e operatori del settore finanziario per presentare alcuni loro servizi di investimento, tipicamente fondi comuni, alla platea degli operatori professionali che successivamente consigliano i clienti investitori.
In alcuni di questi incontri, sono stati presentati a supporto dell’argomentazione diversi grafici per dimostrare la validità di questo o di quell’altro strumento finanziario, e immancabilmente il fondo comune presentato in quell’occasione nel confronto grafico risultava nel periodo precedente superiore per risultati ad un determinato indice. In centinaia di questi incontri per operatori professionali a cui ho partecipato direttamente nel corso degli anni, non ricordo di aver mai sentito dire dalle varie società di gestione che un determinato fondo fosse sconsigliabile; ricordo invece moltissimi grafici costruiti in varia maniera, ognuno dei quali dimostrava come quel determinato fondo avesse superato un determinato indice di mercato. In altre parole, solo consigli per gli acquisti.
Queste presentazioni terminano sempre con numerosi applausi da parte del pubblico in platea, composto esclusivamente dai consulenti e dagli operatori che lavorano giornalmente a contatto col pubblico degli investitori, consigliando su cosa investire: a volte, in queste situazioni, risulta “ complicato “ analizzare bene quanto appena presentato ma in seguito, una volta tornati in ufficio, è possibile per i più “ curiosi “ analizzare in maggior dettaglio i prodotti che sono stati consigliati e verificare, come a volte accade, che un determinato grafico è stato realizzato su un ben preciso arco temporale (piuttosto che un altro periodo) oppure con un confronto con un indice di mercato poco “ coerente “ con quanto effettivamente il fondo realizza.
Volendo fare un esempio molto banale, prendere una nuova varietà di mele confrontandola con diverse varietà di pere potrebbe non essere il confronto più coerente e più oggettivo possibile …. a meno di avere solo mele da vendere ….
Un criterio fondamentale per comprendere se quel determinato strumento finanziario che ci viene presentato in modo così convincente sia davvero valido o meno, può essere quello di considerare un confronto con un indice di mercato coerente e per riuscire a farlo la conoscenza degli indici di mercato può essere un valido aiuto.
Un esempio concreto potrà chiarire questo punto e tengo a specificare subito che non si tratta di idee personali, quanto piuttosto di dati pubblici ampiamente dibattuti sulla stampa specializzata italiana negli ultimi anni:
l'Euribor (acronimo di EURo Inter Bank Offered Rate, tasso interbancario di offerta in euro) è un tasso di riferimento, calcolato giornalmente, che indica il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in Euro tra le principali banche europee; per effetto delle politiche economiche realizzate dalla BCE negli ultimi anni per rilanciare l’economia dell’Eurozona, questo valore da diverso tempo risulta particolarmente basso, addirittura negativo;
alcune banche italiane hanno proposto e stanno tuttora proponendo alla maggior parte dei loro clienti dei fondi comuni oppure dei comparti SICAV, costituiti in Irlanda o in Lussemburgo (essendo in Italia certe modalità di calcolo delle commissioni di performances vietate da alcuni anni);
da più di 15 anni a questa parte, questi fondi presentano delle commissioni di performance calcolate su base inferiore all’anno, ad esempio base mensile, con riferimento al tasso Euribor;
gli stessi fondi possono poi presentare commissioni di ingresso e/o commissioni di uscita, oltre alle commissioni di gestione e alle commissioni di transazione interne;
la commissione di performance dovrebbe servire a pagare di più la società di gestione nel momento in cui è riuscita a realizzare un profitto superiore ad un determinato parametro e nel caso dei fondi azionari infatti questo parametro dovrebbe essere ragionevolmente rappresentato da un indice di mercato coerente;
se questo parametro viene invece rappresentato da un indice o da un tasso che non c’entra nulla con la gestione di quel fondo, potrebbe accadere, come è affettivamente accaduto negli ultimi 15 anni, che vengano trattenute a carico dei clienti commissioni aggiuntive per importi superiori a molti milioni di euro all’anno, come riportato nelle rispettive relazioni annuali delle società di gestione interessate;
in sintesi, se questi confronti fossero stati realizzati utilizzando come parametro un indice di mercato coerente (e una formula di calcolo altrettanto oggettiva), le commissioni aggiuntive trattenute a carico dei clienti, anziché essere state pari negli ultimi 15 anni ad alcune centinaia di milioni di euro, sarebbero state molto probabilmente pari a zero e i clienti avrebbero ovviamente guadagnato molto di più, dal momento in cui non avrebbero dovuto sopportare maggiori costi;
trattenere commissioni di performance utilizzando come parametro di confronto indici poco coerenti o addirittura il tasso Euribor, equivale sostanzialmente a tirare un rigore a porta vuota dalla distanza di pochi centimetri; il cliente è il portiere della squadra avversaria che si è fidato e non ha parato il calcio di rigore perché gli hanno detto che le regole sono quelle, ma di fatto non le ha neppure capite e perde ovviamente tutte le gare.
Conoscere e capire le caratteristiche e il funzionamento dei principali indici di mercato può quindi risultare molto utile in questa e in altre situazioni ma anche per comprendere maggiormente come strutturare il proprio portafoglio di investimenti utilizzando ETF a capitalizzazione piuttosto che ETF smart-beta.
Un indice del mercato azionario si usa per monitorare il comportamento di un gruppo di azioni. Analizzando il comportamento medio di un gruppo di azioni, gli investitori sono in grado di avere maggior visione sul modo in cui un vasto gruppo di azioni potrebbe essersi comportato. Diversi indici di mercato azionario vengono calcolati per fornire agli investitori un’indicazione della performance di differenti gruppi di titoli azionari.
L’indice più famoso del mondo è probabilmente il Dow Jones Industrial Average (DJIA), conosciuto in Italia semplicemente come indice Dow Jones. Si tratta di un indice che misura la performance di 30 società statunitensi.
Il Dow Jones Industrial Average è quindi un indice composto da 30 società industriali “ blue-chip”.
Venne calcolato per la prima volta da Charles H. Dow il 26 maggio del 1896, sommando i prezzi delle 12 azioni più conosciute dell’epoca e dividendo il risultato per il numero delle azioni; molto banalmente, la somma dei loro prezzi diviso 12.
Charles Henry Dow (Sterling, 6 novembre 1851 – Brooklyn, 4 dicembre 1902), giornalista statunitense, è stato il cofondatore della società Dow Jones and Company con Edward Jones e Charles Bergstresser. Dow ha fondato anche il Wall Street Journal, che si affermò nel tempo come uno dei più importanti quotidiani finanziari del mondo. Sviluppò una serie di principi per capire e analizzare il comportamento del mercato che in seguito divennero noti come “Teoria di Dow”, e furono la base dell'analisi tecnica.
Per calcolare il Dow Jones, viene divisa la somma di tutti i prezzi delle azioni che lo compongono per un apposito divisore (divisore Dow). Questo divisore viene adeguato in modo da tener conto di cambi della composizione delle azioni, aumenti di capitale, scissioni, fusioni, ecc. in modo da assicurare che questi eventi non alterino il valore dell’indice; questo divisore era semplicemente all’inizio pari al numero delle società componenti mentre attualmente, a seguito di numerosi aggiustamenti, è addirittura inferiore a uno (0,14748071991788 al 26 giugno 2018) il che significa che il valore dell’indice è oggi maggiore della somma dei suoi componenti.
Nello stesso anno della prima realizzazione dell’indice Dow Jones, il 1896, in Italia Giacomo Puccini presentava La Boheme e usciva il primo numero della La Gazzetta dello Sport mentre ad Atene si teneva la prima edizione delle Olimpiadi moderne.
Nessuna delle 12 società originarie è rimasta nell’indice Dow Jones odierno.
Nel 1916 furono aggiunte altre otto società portando il Dow Jones al numero di 20; in Europa la morte dell’imperatore Francesco Giuseppe è il preludio alla Prima guerra mondiale.
Nel 1928 in Italia si tiene la prima trasmissione in radiocronaca di una partita di calcio, Italia contro Ungheria e negli Stati Uniti d’America l’indice Dow Jones viene calcolato per la prima volta su 30 società, e tale numero rimarrà invariato fino ad oggi.
Attualmente, S&P Dow Jones Indices è una società che fa parte del gruppo S&P Global, e le azioni che compongono il Dow Jones Industrial vengono decise non soltanto dai giornalisti del Wall Street Journal come è stato per circa un secolo, ma intervengono nella decisione anche professionisti della società che lo calcola giornalmente e in tempo reale.
Questo collegio di esperti si basa su un’ampia visione del tipo di società che viene considerato “ industriale “: praticamente, quasi tutte le società che non facciano parte dei “ trasporti “ o delle “ utilities “, dal momento che esistono per queste tipologie di business altri due specifici indici Dow Jones: il Dow Jones Utility Average ed il Dow Jones Transportation Average.
Per poter inserire una nuova società all’interno del classico Dow Jones Industrial, questo gruppo di esperti analizza le società industriali americane con una storia di crescita di successo e che nutrono un ampio interesse della platea degli investitori. Le componenti del Dow Jones Industrial vengono cambiate periodicamente; ad esempio, recentemente ATT e Bank of America sono state sostituite con Apple e Nike e nel 2018 Walgreens Boots Alliance è stata l’ultima società inserita.
Molti osservatori pensano che il Dow Jones Industrial non sia il miglior indicatore della performance giornaliera di tutto il mercato azionario americano, anche se nel tempo ha sostanzialmente perso la caratteristica iniziale di dover misurare l’andamento del settore azionario dell’industria pesante. Continua però ad essere seguito principalmente per via del fatto che si tratta dell’indice più vecchio ed il primo per il quale siano state pubblicate delle quotazioni regolari. Continua quindi ad essere considerato perché è probabilmente l’indice che misura meglio lo sviluppo storico del mercato azionario statunitense nel lungo periodo.
Tutte le 30 società comprese nel Dow Jones Industrial sono comprese anche nel famoso Standard & Poor’s 500 Index e certamente in indici ancora più estesi come il Wilshire 5000.
Le società che compongono attualmente il Dow Jones Industrial sono quotate sia sul New York Stock Exchange, sia sul NASDAQ.
Per poter investire nel Dow Jones Industrial è possibile acquistare degli specifici ETF che replicano questo indice, alcuni dei quali presenti anche sul mercato italiano; in alternativa è possibile acquistare delle opzioni o dei contratti futures.
Uno dei problemi principali dell’indice Dow Jones Industrial nel panorama odierno è rappresentato dal fatto di includere soltanto 30 titoli azionari. Una seconda critica deriva dal fatto di essere costruito sulla media pesata in base ai prezzi che fornisce più influenza alle azioni che hanno un prezzo individuale più alto rispetto alla media piuttosto che alle azioni presente nell’indice con un prezzo singolo più basso, senza tener conto in alcun modo della relativa dimensione industriale e neppure della capitalizzazione di mercato.
Ad esempio, un dollaro di incremento nel prezzo dell’azione col prezzo più basso può essere più che compensato da una diminuzione di un dollaro nel prezzo dell’azione col prezzo più alto nonostante il fatto che il primo titolo, quello che presenta un prezzo nominale più basso, possa aver maturato quel dollaro in più di valutazione a fronte di una performance molto maggiore rispetto all’altro titolo che ha un prezzo nominale più alto.
Esempi di problemi in questo senso si sono avuti ad esempio durante i mesi di settembre e ottobre 2008 quando una delle precedenti società componenti, la grande compagnia assicuratrice statunitense AIG vide scendere il suo prezzo da 22,76 dollari dell’8 settembre 2008 a 1,35 $ del 27 ottobre 2008: a seguito di questa discesa dovuta anche ad uno split azionario, l’indice Dow Jones Industrial cadde di circa 3000 punti.
A marzo 2019, le società Boeing e United Health sono quelle con i prezzi azionari più alti all’interno della media del Dow Jones Industrial e pertanto hanno su di esso la maggior influenza. Al contrario, Pfizer e Coca-Cola sono i titoli con il prezzo più basso nella media e hanno pertanto la minor influenza sull’andamento dell’indice Dow Jones.
Al di là degli aspetti storici relativi all’indice Dow Jones Industrial, preferisco personalmente suggerire ai clienti (qualora opportuni in base alla valutazione della singola posizione personale) posizionamenti basati invece sull’indice S&P500 o sul Wilshire 5000, che sono indici calcolati in base alla valorizzazione di mercato dei titoli che li compongono, oltre ovviamente al fatto di essere indici costituiti da un numero estremamente più ampio di titoli, ma di questi indici tratterò nei successivi articoli.
Il Dow Jones Industrial, quotato per la prima volta il 26 maggio 1896 al prezzo di 40,94, in data 25 aprile 2019 è arrivato al valore di 26.462,08.