È un peccato che il valore e la forza della diversificazione siano dimostrabili solo quando si presentino ipotesi di pesanti default di paesi sovrani, come quello paventato in questi giorni a causa del conflitto che ha colpito l’Europa. Sui media finanziari rimbalzano infatti le notizie sul probabile mancato pagamento di cedole in dollari di obbligazioni russe, con il rischio di un default tecnico causato dal rimborso in rubli anziché in dollari o altra valuta forte, a seguito di un decreto del Cremlino quale ritorsione contro le sanzioni occidentali.
Già nel 1998 la Russia era stata sull’orlo del fallimento a causa di un improvviso calo della produttività interna dovuto a problemi finanziari sorti in seguito all’adozione di misure neoliberiste, adottate nel tentativo di spingere il paese verso una veloce transizione al capitalismo. Colpita per questo da una forte fuga di capitali e sottoposta alla pressione finanziaria dovuta alla crisi del fondo americano Long Term Capital Management, che gestiva a leva una quota consistente del suo debito pubblico, la Russia fu costretta a imporre tramite la Banca Centrale limiti alla svalutazione del rublo, ricorrendo a ad un prestito da 22,6 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale. Il 17 agosto 1998, non riuscendo a mantenere i suoi impegni, dichiarò in via definitiva il default. Da questi fatti si vennero a determinare i presupposti per la fine del periodo del governo post comunista di Boris Eltsin. Nell'agosto del 1999, iniziata la seconda guerra in Cecenia, Eltsin nominò Vladimir Putin quale nuovo primo ministro, segnando così il suo destino che lo porterà a diventare il Presidente della Federazione Russa per quasi 4 mandati successivi.
L’attuale esposizione debitoria della Russia è in verità ben peggiore della precedente, anche e soprattutto a causa del conflitto in corso, ma il sistema finanziario globalizzato difficilmente consentirebbe un suo default tecnico, per le conseguenze negative che questo potrebbe comportare. Oggi la federazione russa ha circa 310 miliardi di dollari di debiti verso l'estero di aziende statali o controllate dallo Stato, 75 miliardi di passivo delle banche e 67 miliardi di bond governativi: si stima che il debito totale sia appunto intorno ai 500 miliardi di dollari. La protezione dal default è data principalmente dagli incassi dell’export di energia e materie prime, che le sanzioni mirano ad indebolire ma non a far collassare. La Banca Centrale russa non può nemmeno attingere alle riserve internazionali, impedendo di fatto la difesa del rublo, che ha subito una significativa svalutazione con il progressivo aumento dell’inflazione ormai difficilmente controllabile. Le sanzioni hanno anche bloccato di fatto la circolazione del rublo e dei capitali russi fuori dai confini del paese. Se a ciò aggiungiamo che dal 25 febbraio scorso, giorno dell’invasione dell’Ucraina, la Borsa di Mosca è ferma comprendiamo quanto la situazione sia estremamente grave. Infatti tutti gli investitori che hanno in portafoglio azioni russe possiedono oggi titoli illiquidi perché non negoziabili.
Per gli obbligazionisti invece c’è lo spettro del mancato pagamento degli interessi e del rimborso dei titoli a scadenza, con la teorica possibilità del definitivo default del sistema finanziario russo, che potrebbe innescare una forte crisi finanziaria internazionale. Nelle prossime settimane vedremo come si evolverà la situazione. Intanto gli strumenti finanziari russi, fondi ed Etf compresi, non sono oggi negoziabili per la mancanza di prezzo di riferimento. E lo rimarranno sino a quando la Borsa riaprirà. Per quanto attiene alla categoria dei paesi emergenti la Russia ha un peso intorno al 4%, ben lontano da quel 10% del periodo pre crisi finanziaria del sub prime e Lehman. Per la quantificazione delle perdite eventualmente subite dagli investitori dovremo quindi aspettare la riapertura del mercato locale anche se in questo caso gli strumenti sono liquidabili, sebbene quei titoli vengano esclusi dalla quotazione.
Nella speranza che la guerra finisca presto per evitare l’inutile spargimento di sangue e per limitare il più possibile le conseguenze economiche del conflitto, voglio ricordare l’importanza della diversificazione quale elemento fondamentale per un processo d’investimento volto a protegge l’investitore, soprattutto quando si verificano eventi imprevedibili ed improvvisi che possono mettere in grave crisi l’intero sistema, così come abbiamo potuto recentemente sperimentare anche in occasione della pandemia.