La domanda più interessante della settimana mi è stata rivolta da un cliente preoccupato dalla situazione che ha compromesso tutti gli asset obbligazionari in portafoglio: “vale la pena liquidare l’intera posizione per aspettare un momento migliore per investire a più alto rendimento, dato che sappiamo che le obbligazioni scendono in modo proporzionale al rialzo dei tassi di interesse, oppure è meglio acquistare titoli indicizzati all’inflazione?”. A questo riguardo ogni domanda diventa interessante e stimolante se non fosse che non sono solito addentrarmi nel campo delle previsioni sul futuro. Tuttavia posso dire che acquistare titoli indicizzati all’inflazione oggi potrebbe anche essere una tra le soluzioni possibili, ma la valutazione dipende da troppi fattori per poterne discutere qui in poche righe. Partiamo allora dal presupposto che la domanda sia più specifica per rendimenti a tasso fisso e concentriamoci qui solo su questi.
Cominciamo con il dire che anticipare gli andamenti del mercato con il rischio di sbagliare i tempi di uscita ed entrata, violando la costruzione strategica di portafoglio mediante una serie di radicali modifiche tattiche, potrebbe incrementare le perdite in caso di errore. Tuttavia mi rendo perfettamente conto che vedere il capitale scendere di diversi punti in poco tempo possa amplificare il senso di paura, in particolare per l’investitore obbligazionario. L'attuale contesto sta infatti ponendo sempre maggiori sfide nella gestione della componente obbligazionaria dei portafogli: siamo da poco usciti da una fase di mercato con rendimenti pressoché negativi per entrare in un’altra di forte irripidimento della curva dei tassi, volta a raffreddare l’economia a causa dell’innalzamento dell’inflazione. Il vero problema è che questa situazione genera rendimenti negativi non solo in termini di rendimenti nominali ma anche e soprattutto reali.Il primo trimestre dell’anno è stato per il mercato obbligazionario globale il peggiore negli ultimi 20 anni, caratterizzato principalmente da un ribasso generalizzato ed improvvisto dei rendimenti, come ci evidenzia il grafico fornito da TRowePrice.
Detto ciò, per dare risposta alla domanda devo partire da una premessa necessaria: ogni portafoglio necessita di un intervento specifico quindi le indicazioni che seguono sono solo spunti di riflessione e non modifiche da attuare tout court. Inoltre bisogna precisare che per fondi e sicav in particolare, prima di effettuare qualsiasi cambiamento, è sempre necessario valutare anche l’impatto fiscale. Come infatti ho evidenziato nell’editoriale del febbraio scorso dal titolo “UN BREVE SGUARDO ALLA TASSAZIONE DELLE RENDITE FINANZIARIE”, liquidare una posizione in perdita su fondi o sicav, genera una minusvalenza il cui recupero richiede un aumento del rischio di portafoglio, perché solo la generazione di capital gain derivante da cessione di contratti produttivi di redditi da capitale ne permette la compensazione.
Per questo la prima cosa da valutare sarà quella di una riduzione della durata media finanziaria dei titoli o dei fondi in portafoglio, e proprio perché ad un'elevata duration corrisponde un'elevata sensibilità del prezzo del titolo al variare dei tassi determinati dalle banche centrali. Ecco il motivo per cui detenere questi titoli comporta un più elevato rischio di portafoglio in fasi di rialzo dei tassi, con la conseguente diminuzione del valore del capitale investito in modo direttamente proporzionale alla durata. Se si desidera quindi rimanere nell’area di investimenti obbligazionari l’altra valutazione da fare è quella di focalizzare l’attenzione su quei mercati dove il differenziale di rendimento è ancora elevato, il che comporta comunque anche qui un aumento del rischio di portafoglio. Questo è quanto evidenzia la tabella successiva della società americana TRowePrice, dove si evince che solo obbligazioni Paesi Emergenti e High Yield globali riescono oggi parzialmente a calmierare l’effetto inflazione nel tempo, purtroppo però non ad eliminarlo.
Ciò dimostra che ormai bassi rendimenti o liquidità non riescono più, a questi livelli di inflazione, a restituire rendimenti reali positivi. Per questo tutti gli investitori che prediligono il mercato dei bond o che per paura preferiscono la liquidità al rischio, dovranno decidere cosa fare poiché anche la liquidità comporta nel tempo la certezza di perdere in potere d’acquisto. Ciò elimina definitivamente il discrimine tra investimento rischioso e non rischioso. Nel grafico successivo sempre offerto da TRowePrice, è possibile valutare visivamente l’impatto dell’inflazione sul capitale investito nel tempo. Lo studio evidenzia una crescita inflattiva sino al 4% (immaginiamo dunque l’impatto sul capitale per importi più elevati!!!). La speranza è che le manovre sui tassi riescano a contenere i rialzi inflattivi, impedendone il più possibile la crescita.
La considerazione finale è che per l’investitore questa situazione deve diventare uno stimolo alla propria proattività, in modo che ogni eventuale intervento di manutenzione tattica della componente obbligazionaria sia valutata con selettività e flessibilità, usando il tempo come fattore determinante di successo, come già sappiamo che deve essere fatto per il mercato azionario.
Per qualsiasi approfondimento a riguardo potete contattarmi