Capita spesso che i clienti rivolgano al proprio consulente domande per cercare di capire il perché di certe scelte sui loro investimenti, che diventano sempre un utile segnale di interesse verso il lavoro svolto da chi li aiuta a gestire il loro capitale. Proprio per questo non posso esimermi dal dire che la consulenza finanziaria non può che passare attraverso la condivisione di obiettivi tra consulente e cliente. In tempi ormai lontani era facile trovare chi era orientato alla strategia del “faccia lei che mi fido”, salvo poi abbandonarne il percorso quando il risultato, sebbene non negativo, risultasse difforme da quanto ipotizzato.
I tempi oggi sono molto cambiati: i rendimenti obbligazionari a tasso negativo indotti dalle politiche delle banche centrali, le tempeste finanziarie causate dalla pandemia, l’inflazione galoppante, la preoccupazione per gli interventi futuri delle banche centrali, i grandi rincari dell’energia e le tensioni geopolitiche, con i marcati in fibrillazione a tendenza negativa lontani dal normalizzarsi e i rendimenti azionari che oscillano in alto e in basso a doppia cifra, sono tutti fattori di tensione sul mercato. Che belli erano i tempi in cui comprare un BTP o una obbligazione a tasso fisso consegnava all’investitore ritorni stellari senza troppa fatica. Purtroppo o per fortuna ormai da anni questa situazione è mutata. La pianificazione finanziaria è diventata necessaria, soppiantando definitivamente quella facile ricerca del rendimento dato da titoli apparentemente facili da gestire in un portafoglio.
Oggi invece il fattore rischio non solo è cresciuto ma è diventato inevitabile, con una ridotta possibilità di costringerlo dentro stretti paletti di volatilità mediante l’uso della diversificazione e della de correlazione. Tutti coloro che oggi vogliono investire (non speculare) non possono non assumerne un sovradosaggio, facendo ben attenzione a utilizzare tempo e diversificazione per attenuare il pericolo di perdite. Capita però che se non ben consigliato l’investitore si dimentichi dell’obiettivo per cui quel denaro è stato investito. In particolare mai dovrebbe essere considerato come un deposito temporaneo, utilizzabile in ogni momento senza vincoli quando se ne presenta l’opportunità. Ma questo modo di fare conduce alla perdita solo quando si liquida per paura, non quando la moltiplicazione tra valore e numero quote da un ritorno negativo. Fateci caso, quando i mercati scendono il pensiero unico diventa quello di salvare il salvabile, come se la fine del mondo stesse per avvicinarsi ad una velocità impressionante. Quei momenti dovrebbero invece essere considerati come la miglior condizione per fare affari, comprando a saldo titoli che poi risaliranno ai livelli precedenti per poi superarli. Insomma quelli sono momenti magici dei quali approfittare.
Quando poi i mercati puntano verso l’alto il rischio percepito invece tende a diminuire e la bramosia di un guadagno maggiore prende il sopravvento sulla paura di perdere, trasformandosi in avidità. Solo così per molti investitori il rischio diventa un fattore accettabile con la loro trasformazione in leoni quando tutto sale e in pecorelle smarrite nel caso opposto. Nessuno è in grado di conoscere in anticipo la propria reazione al verificarsi di un pesante ribasso, soprattutto se è la prima volta che lo vive. Ma solo in questo caso la paura può essere consentita, non nel caso in cui una esperienza di ribasso è stata già vissuta. Qui sta il compito fondamentale del consulente, che deve essere il primo ad intervenire affiancando il cliente per trasmettere l’esperienza e la conoscenza dei processi di investimento necessari per affrontare il momento, stimolando la sua resistenza alla tentazione di vendere. Non ci sono per questo motivo momenti giusti o sbagliati per investire, ma solo tempi da rispettare e rischi da assumere in modo consapevole. Per questo la loro accettazione dovrebbe essere misurata non a cuore rilassato e con il mercato in crescita ma, piuttosto, sotto sforzo, ogni qual volta un cigno nero scuota i listini. E tutto questo proprio per testare la resistenza e la resilienza allo stress di ogni singolo cliente, per preparalo ad eventi futuri, rendendolo pronto ad approfittare di ogni opportunità che si possa presentare lungo il percorso tracciato.
Ecco allora evidenziato lo scopo di una pianificazione finanziaria basata principalmente sulle preferenze e sul grado di rischio tollerabile dal cliente. I sacri testi insegnano che il 90% del rendimento di portafoglio dipende dalla sua costruzione strategica, operata secondo rispetto di rigorosi processi di investimento, non dagli interventi tattici, che contribuiscono solo per il 10% del risultato. A questo riguardo il giusto compromesso tra avidità e paura dovrebbe diventare un fattore di stabilità del portafoglio, in modo da non accettare troppo o troppo poco rischio quando si investe.
A questo riguardo concludo la mia riflessione con la frase attribuita a Sir John Marks Templeton, famoso investitore e banchiere americano, entrato nel 1954 nel mercato dei fondi comuni di investimento con la creazione del famoso Templeton Growth Fund, che ha registrato una crescita media di oltre il 15% all'anno per ben 38 anni di fila: “il bull market nasce nel pessimismo, cresce nello scetticismo, matura nell’ottimismo e muore nell’euforia”. Il senso di questa frase è che quando nessuno vuole comprare e i prezzi scendono, è invece il momento di investire. E chi ha sperimentato questa verità nel tempo ve ne confermerà l’efficacia.