Se la finanza non ha regole, come li spiegate i 52 procedimenti sanzionatori, i 54 provvedimenti di sospensione e le 28 radiazioni dall’Albo consulenti finanziari, avvenuti in Italia soltanto nel 2017? I dati sono di Paolo Ciocca, commissario Consob, resi pubblici da una sua relazione che illustra il lavoro dell’autorità di vigilanza, avvenuta in sinergia con l’Organismo (anch’esso di vigilanza) Consulenti Finanziari (OCF). Di più: «nel 2017 gli intermediari sanzionati dalla Consob per violazioni inerenti i servizi di investimento – ha scritto Mario Monti sul Sole 24 Ore – sono stati 15 a fronte dei 10 del 2016, i manager coinvolti sono stati 282 rispetto agli 80 del 2016. Infine, le sanzioni irrogate sono state 11,8 milioni di euro a fronte dei 0,8 milioni nel 2016». Non da ultimo, per quanto riguarda la vicenda dei derivati Alexandria e Santorini, ancora una volta Consob ha, da poco più di una settimana, comminato una multa da 2,3 milioni a Mps e ai suoi ex vertici, senza risparmiare gli operatori coinvolti di Nomura e Deutsche Bank.
Se in economia, fidarsi è bene, sui mercati finanziari poterlo fare è fondamentale. Per dirla con Kennteh Arrow, Premio Nobel per l’economia nel 1972: «La fiducia è estremamente efficiente; fa risparmiare la fatica di dover attestare l’affidabilità delle parole di qualcuno. Purtroppo, però, è un bene che non si compra facilmente. E se lo devi comprare, già sorgono dei dubbi su quello che hai comprato». La premessa è necessaria per ricordare che dietro ogni transazione c’è un atto fiduciario. E ciò vale, a maggior ragione, se ci si trova sul mercato finanziario, dove il denaro è scambiato con promesse: di possibile o probabile guadagno, certo, ma comunque promesse. Per prima cosa, serve quindi avere fiducia nel sistema. Come ottenerla? Semplice: se il sistema ha delle regole, deve dare prova di saperle far rispettare. E il ruolo delle autorità di vigilanza è proprio questo.
In Italia, il mercato finanziario è regolato dal Testo unico della finanza (Tuf). Il testo stabilisce il ruolo degli arbitri nazionali del mercato finanziario e fissa i loro i macro-obiettivi: la trasparenza del mercato, la tutela degli investitori e l’ordinato svolgimento delle negoziazioni. Gli attori in questione sono la Banca d’Italia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e, naturalmente, la Consob (Commissione nazionale per le società e la borsa). Partiamo da quest’ultima: alla Consob spetta il compito di controllare la trasparenza e la correttezza dei comportamenti degli operatori. La Banca d’Italia vigila sulla stabilità patrimoniale degli operatori. Al MEF spettano invece competenze in materia di Mercati all’Ingrosso di Titoli di Stato. Per completare il quadro, vanno citate anche l’Ivass, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo, e Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione.
Per ammissione delle autorità di vigilanza stesse, la stratificazione normativa impedisce tuttavia una netta distinzione dei loro compiti: le Sgr, per esempio, sanno bene di dover essere autorizzate dalla Consob e di dover ricevere da questa i propri profili organizzativi essenziali; allo stesso modo, i soggetti che fungono da controparti centrali devono ricevere l’imprimatur da parte della Banca d’Italia. A complicare la faccenda, si aggiunge l’ESMA, l’autorità di vigilanza europea, che redige le linee guida comunitarie in materia di sorveglianza finanziaria. Inoltre, prerogativa dell’ESMA è anche quella di valutare i rischi e la stabilità di alcuni mercati, ma anche di mettere sotto la propria lente specifici enti finanziari. Nell’ambito della vigilanza sui mercati, in Italia, regna quindi un certo disordine e non manca chi rimprovera alle autorità una mancata definizione chiara dei profili operativi: in Inghilterra, per fare un esempio, la Prudential regulation Authority controlla esclusivamente il “polso” agli intermediari finanziari, cioè la loro salute patrimoniale; la Financial Conduct Authority ne verifica il corretto comportamento sui mercati.
Le inefficienze dovute alla mancata separazione sembrerebbero però avviarsi a una prossima risoluzione: attraverso un nuovo accordo quadro, è stata istituita un’intesa tra la Consob e la Banca d’Italia (i maggiori player della vigilanza) «per la collaborazione e il coordinamento nell’esercizio delle funzioni di vigilanza e di risoluzione». Il che significa anche, per dirla in modo un po’ tranchant, evitare di pestarsi i piedi nello svolgimento delle proprie attività. L’idea principale è quella di operare in un quadro di riferimento comune (evidentemente ancora da definire), mettere in condivisione banche dati e modelli operativi, nonché l’idea di aprire le porte ai Comitati di contatto, che consentirebbero un processo di razionalizzazione grazie alle comunitarie Istituzioni superiori di controllo e la Corte dei conti UE.
D’altro canto, le novità più rilevanti riguardanti le autorità di vigilanza risalgono a Mifid 2. E si tratta, per la verità, di aspetti molto rilevanti: Esma, Banca d’Italia e Consob possono infatti intervenire su un punto delicato e centrale, quale è l’assegnazione ai risparmiatori di titoli ad alto rischio, bloccando alcuni prodotti finanziari prima della loro immissione sul mercato. Un’arma non da poco (definita “bazooka”) nelle mani delle autorità di vigilanza, che – a tutela dei risparmiatori – hanno cominciato a imporre il proprio veto su prodotti valutati non solo come tossici, ma anche opachi, poco trasparenti, e che sfruttano quell’asimmetria informativa che tanto caratterizza gli abusi di mercato (leggi alla voce: insider trading).
Si è detto che la fiducia passa attraverso la capacità di un sistema di far rispettare le proprie regole. Se è vero, non meno importante è la necessità di conoscerle, queste regole. E non solo, si badi bene, da parte di chi svolge le attività di controllo, che è scontato: ma anche e soprattutto da parte dei risparmiatori. Che senso ha, del resto, imporre la massima trasparenza nelle attività finanziarie, se in Italia regna, nel settore, un alto livello di analfabetismo? Per Consob il 40% degli investitori non sa valutare con consapevolezza le sue scelte, solo il 30% capisce il valore di un portafoglio diversificato e meno del 20% della popolazione saprebbe dire cos’è il rischio di mercato. Come ha ricordato Mario Nava, presidente Consob, c’è molto da fare e il compito, in parte, spetta ancora e proprio alle autorità di vigilanza: armandosi in questo caso non di sanzioni, ma di pazienza e vestendo i panni non di “sceriffi”, ma di affidabili divulgatori.