Si specula in politica, in filosofia, sul mercato immobiliare e anche sul mercato finanziario. In finanza, il significato è abbastanza preciso: speculare vuol dire acquistare per poi rivendere, o vendere per poi ricomprare, beni finanziari, con la prospettiva di guadagnare dalla variazione dei prezzi. Per quanto una parte dell’opinione pubblica lo ritenga un atto immorale e predatorio (forse per assonanza con altre forme di speculazione: vedi quella politica), la speculazione è un’operazione di per sé non solo legale, ma anche molto comune nel mondo del trading. Certo, alcune sue spettacolarizzazioni ed esasperazioni, magari condite con una buona dose di cinismo, ne hanno fatto una pessima pubblicità. Eccone un celebre esempio.
Il 16 settembre 1992, il celebre Black wednesday della Borsa londinese, George Soros vendette allo scoperto dieci miliardi di dollari di sterline, scommettendo su una fase ribassista della valuta inglese. L’idea che il valore della sterlina fosse destinato a diminuire – perché venderne così tante, altrimenti? – diffuse anche in molti altri investitori la convinzione che la divisa inglese fosse sopravvalutata e provocò un’ondata di vendite a catena. Per scongiurare il peggio, la Banca Centrale inglese fu costretta a un massiccio riacquisto di sterline, senza però poter evitare che quelle ancora in circolazione venissero svalutate. Lo stesso copione fu seguito da Soros nei confronti dell’Italia: nel caso italiano, a seguito della vendita contagiosa di grandi capitali di lire, la valuta perse il 25% del suo valore e fu necessario da parte della Banca Centrale italiana il ricorso a 48 miliardi di dollari di riserva. L’operazione speculativa fu tutt’altro che indolore, tanto da costringere entrambi i paesi a uscire dal Sistema Monetario Europeo e a varare impegnative manovre finanziarie.
Il gesto di Soros, che fruttò al finanziere qualche miliardo di dollari, divenne un caso di scuola di speculazione. Si trattava, infatti, di una tipica azione di trading, detta in gergo “andare short”, cioè una speculazione ribassista: vendere sui massimi di alcuni beni, per ricomprare poi sui minimi degli stessi, fatto salvo l’avverarsi della previsione di una discesa dei prezzi. Al contrario, se la previsione di Soros fosse stata quella di un apprezzamento della valuta, la strategia sarebbe stata rialzista, cioè di acquisto sui minimi e vendita sui massimi. Del resto, dal punto di vista legale, tutto fu regolare; e lo stesso businessman di origini ungheresi ha sempre rivendicato la sua operazione come legittima: “Mi ero basato sulle dichiarazioni della Bundesbank, che dicevano che la banca tedesca non avrebbe sostenuto la valuta italiana. Bastava saperle leggere”. Soros, dunque, avrebbe soltanto anticipato, ancorché in modo traumatico, un inevitabile cambio di passo nella valutazione dell’effettivo valore di alcune divise sul mercato.
Simili forme di previsioni, e le operazioni finanziarie che ne conseguono, hanno alle spalle una tradizione antica. “L’arte della speculazione” è il titolo di un libro dell’analista finanziario Massimo Intropido, nel quale viene raccontato il funzionamento del mercato del riso in Giappone tra XVIII e XIX secolo. Il mercato del riso, il Dojima, aveva la sua sede a Osaka, centro di scambio e di immagazzinamento del riso proveniente dalle campagne. L’importanza di questo mercato è evidente, se si pensa che proprio il prezzo del riso fosse il riferimento valutario del Giappone di allora. Il Dojima si configurava come una vera e propria sede di contrattazione: partendo da un prezzo di riferimento iniziale, i commercianti si scambiavano ricevute che corrispondevano a partite di riso (diremmo noi: dei titoli), cercando di arrivare a un prezzo condiviso. Se il prezzo raggiungeva una cifra concorde, il giorno dopo il mercato sarebbe ripartito da quel prezzo, altrimenti si sarebbe tenuto conto del prezzo di partenza della seduta.
Intropido racconta a questo punto di un libro, piuttosto diffuso allora, chiamato “La fontana dell’oro”, che impartiva autentiche lezioni di speculazione e trading, con tanto di strategie di accumulo e di vendita, sulla base dell’andamento dei prezzi del mercato del riso. Insomma, già allora la speculazione veniva considerata come una legittima fonte di guadagno e degna di essere tramandata. Ma anche l’Occidente, in fondo, ha lasciato traccia di simili lezioni: maestro dell’arte della speculazione fu senz’altro, infatti, il filosofo Talete. Il filosofo è noto per due episodi: il primo, nel quale si racconta che cadde in una buca, passeggiando, mentre guardava il cielo; il secondo (basandosi forse proprio su quelle osservazioni stellari), per aver previsto un abbondante raccolto di olive, aver affittato a noleggio molti frantoi e aver ricavato un gran guadagno dalla spremitura. La storia di Talete riannoda senza dubbio il significato di speculazione con il suo etimo latino, cioè quello di “guardarsi attorno”, “esplorare”.
Una parte della teoria economica, del resto, si è spinta ancora più in là, in un autentico apologo della speculazione, dichiarandone apertamente il ruolo sociale, ovvero quello di permettere l’emersione dei prezzi nascosti. Per Ludwig von Mises, la speculazione non farebbe altro, infatti, che anticipare i futuri cambiamenti dei prezzi. Di più: per l’economista austriaco, la speculazione sarebbe il vero motore di tutta l’attività economica, proprio perché essa è strutturalmente basata su un futuro incerto.
Del resto, una netta distinzione tra investimento e speculazione è difficile da tracciare: quale investitore non spera di poter ricavare un guadagno dalla variazione favorevole dei prezzi dei propri investimenti sul mercato? Investopedia prova a inquadrare il concetto di speculazione, differenziandolo da quello di investimento, servendosi di tre caratteristiche fondamentali: la tipologia di asset, che devono poter essere facilmente scambiati e ricomprati (tipicamente nell’arco di pochi giorni o ore); la breve durata dell’operazione, che si associa anche all’alto livello di rischio (che diminuirebbe con investimenti su lungo periodo); e infine l’alto livello di leva finanziaria, cioè il ricorso a mirati strumenti finanziari, capaci di muovere voluminosi asset sottostanti con relativa facilità. Più in generale, si potrebbe dire che la speculazione è un’attività finanziaria, rapida e rischiosa, con una forte componente di previsione soggettiva.
Un problema della speculazione è senz’altro connesso alla sua naturale capacita di sollevare in modo relativamente facile grandi quantità di investimenti; in altre parole, alla sua naturale propensione alla creazione di bolle speculative, alle quali seguono inevitabili crolli, eventi traumatici che portano con sé il rischio di produrre effetti sistemici, nonché danni economici collaterali. Sebbene sia un’attività fisiologica del mercato, non va dimenticato, infatti, che la speculazione resta un’attività rischiosa: sulla base della propria avversione al rischio, è giusto quindi prendere forme di precauzione. Non a caso, sia a livello istituzionale, sia al livello degli investitori privati, si è sviluppata una precisa strategia di immunizzazione: l’introduzione di limiti agli eccessi di ribasso e di rialzo degli asset. Questi possono essere fissati in automatico dalla società di gestione della Borsa – in Italia i limiti di variazione dei titoli sono +/- 10% –; o decise in modo estemporaneo dall’Autorità di settore. Nell’attività degli investitori sono ben note, invece, le formule di stop-loss e di take profit, la cui funzione è la medesima: fermare le perdite o il guadagno eccessivo, cioè bloccare sul nascere il formarsi di pericolose bolle speculative.
Più che di cinismo, uno speculatore ha bisogno, quindi, di una grande dose di propensione al rischio, allettata dalla prospettiva di ingenti guadagni, dietro cui si cela la corrispondente prospettiva di forti perdite. Nulla di più però: non tocca a lui capire gli effetti del suo operato. Il compito di porre limitazioni dovrebbe spettare, più coerentemente, alle strategie di investimento dei singoli risparmiatori, ma soprattutto agli estensori delle norme messe a garanzia degli investitori. Norme che, in alcuni casi, trascurano proprio gli effetti sistemici e collaterali della speculazione. Insomma, per citare George Soros: “Gli speculatori fanno il loro lavoro, non hanno colpe. Queste semmai competono ai legislatori che permettono che le speculazioni avvengano. Gli speculatori sono solo i messaggeri di cattive notizie”.