Bruno Mazzola - AD MoneyController Srl

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Le azioni del settore dell'abbigliamento hanno prezzi da non sottovalutare

Scritto il 29.05.2023

Secondo un’analisi di Mornignstar, il settore dell’abbigliamento offre oggi delle opportunità, anche in ragione delle notevoli correzioni al ribasso subite finora dalle azioni. Il 2022 è stato un anno di contrazione per le vendite Dopo la grande ripresa nel 2021, il settore dell’abbigliamento e delle calzature ha registrato una contrazione delle vendite nel corso del 2022 e ha abbassato le aspettative per quest’anno dopo i risultati delle prime trimestrali del 2023. Come spiega Francesco Lavecchia su “Morningstar”, la contrazione dei consumi è dovuta anche all’inflazione, che in generale frena le abitudini di spesa dei consumatori, ma che comporta anche un problema per il margine operativo delle aziende. Le difficoltà del settore dell’abbigliamento Le aziende del settore dell’abbigliamento hanno dovuto affrontare due difficoltà nel corso del 2022. La prima difficoltà ha riguardato un’eccedenza delle rimanenze di magazzino, che sono state superiori a quelle dell’anno prima. La seconda difficoltà ha riguardato il prezzo delle materie prime, tra le quali una importantissima come il cotone: il prezzo delle materie prime infatti è rimasto alto anche dopo le fasi più difficili della pandemia, a causa della guerra tra la Russia e l’Ucraina. Prospettive di ripresa Gli analisti di Morningstar però ritengono che il settore dell’abbigliamento sia in grado di tornare a crescere (il confronto con il 2022, anno di contrazione del settore, può dunque costituire un vantaggio). Da una parte, dovrebbero infatti ridursi i problemi legati alle catene di approvvigionamento. Dall’altra parte, la domanda di abbigliamenti dei consumatori resta piuttosto elevata (negli Stati Uniti, ad esempio, è ancora superiore ai livelli pre-pandemici). Potere di determinazione dei prezzi e titoli al di sotto del fair value Nel settore dell’abbigliamento esistono altresì delle aziende che possono contare sul potere di determinazione dei prezzi; in altre parole, molti clienti sono disposti a pagare “premium price” elevati. Queste aziende, dunque, scrive Lavecchia, vengono scambiate anche al di sopra del loro “fair value”. Le aziende invece che invece si sono trovate più in difficoltà hanno subito delle correzioni al ribasso. Nonostante la prospettiva sul breve termine resti problematica, Morningstar ritiene che queste aziende offrano comunque dei potenziali di cui gli investitori non si sono accorti, come dimostrano i prezzi bassi.    Ti potrebbero interessare anche: Investire in azioni: che cosa sono le azioni societarie Inflazione, stagflazione e deflazione

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Debito USA, accordo raggiunto ma downgrade sfiorato: quali conseguenze?

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  • Obbligazioni - investimenti obbligaz
Scritto il 29.05.2023

L’accordo raggiunto sul debito USA è stato preceduto dal rischio di declassamento del debito statunitense: che conseguenze ha un downgrade? Biden e McCarthy hanno raggiunto un accordo Il Presidente americano Joe Biden e il Presidente della Camera  Kevin McCarthy hanno trovato un accordo che dovrebbe portare a fare salire il tetto del debito americano. Le tensioni che hanno preceduto questo accordo hanno portato qualcuno a parlare persino di un possibile default. Sebbene l’ipotesi del default fosse tutto sommato poco probabile, più probabile sarebbe stata quella di un declassamento dei titoli di debito statunitense. Il declassamento di un titolo e i tassi Il declassamento di un titolo finanziario viene compiuto dalle agenzie di rating. Tra le più conosciute a livello internazionale ci sono Fitch, Standard & Poor’s e Moody’s. Nel caso delle obbligazioni, queste agenzie assegnano una valutazione ai titoli finanziari, sulla base della solidità dell’emittente. Il downgrade di un titolo, ossia il declassamento, avviene dunque quando le condizioni di un emittente peggiorano. Ciò significa che aumentano le probabilità che quell’emittente non riesca a rimborsare le sue obbligazioni. Per compensare a questo rischio, gli investitori chiedono di vedersi corrispondere degli interessi più elevati. Falling angels e prezzi in discesa Il rating che indica la solidità creditizia è di solito quel rating superiore o pari alla tripla B: in quel caso, l’obbligazione viene detta “investment-grade”. I titoli di debito che subiscono un downgrade e perdono il titolo di investment-grade sono detti anche “falling angel”. Il declassamento di un titolo ha delle conseguenze anche per gli investitori: se è vero che il tasso di interesse dell’obbligazione aumenta, il suo prezzo tende a diminuire, come conseguenze dell’aumento del valore degli interessi (ma anche in seguito a delle potenziali svendite di quel titolo). L’eventuale declassamento del debito americano Il caso di un eventuale declassamento del debito americano che cosa avrebbe potuto comportare? Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, come ricorda anche Diccon Hyatt su “Investopedia”, quando Standard & Poor’s nel 2011 abbassò il rating, i rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine calarono. Ciò era dovuto al fatto che la prospettiva di un aumento dei tassi dei titoli di debito americano – che continuavano a essere considerati un investimento solido – avevano fatto aumentare la domanda, con la conseguenza di farne abbassare i rendimenti. Il caso dei titoli di Stato americani, poi, è ancora più complicato, dal momento che esistono tassi e asset legati all’andamento di quei titoli. Ti potrebbero interessare anche: Che cosa sono e come funzionano le obbligazioni?

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Inflazione ed energia spingono la Germania in recessione

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 26.05.2023

Ci si aspettava una stagnazione e, invece, dopo il primo trimestre di quest’anno, la Germania ha registrato una cosiddetta “recessione tecnica”: ma di che cosa si tratta? È un problema anche per l’Europa?  La Germania entra in recessione tecnica Una recessione tecnica si verifica quando il PIL di un Paese si contrae per due trimestri consecutivi. È quanto accaduto in Germania. Nel quarto trimestre del 2022, la contrazione era stata dello 0,5%, in questo primo trimestre del 2023 è stata dello 0,3%. Negli ultimi mesi, l’economia tedesca è stata messa sotto pressione dall’inflazione (che sta colpendo ora anche il mercato immobiliare) e soprattutto dalla crescita dei prezzi dell’energia. Nel mese di aprile, l’inflazione si è attestata al 7,2% e la persistenza della perdita di potere di acquisto del denaro è probabilmente la causa del calo dei consumi delle famiglie, scesi nel T1 2023 dell’1,2%.  Il calo dei consumi delle famiglie Come scrive Alexander Hagelüken sulla Süddeutsche Zeitung, il calo dei consumi ha riguardato un’ampia gamma merceologica: alimenti, bevande, vestiti, scarpe, arredamento e anche automobili, un calo quest’ultimo che può essere dovuto alla diminuzione degli incentivi per le auto elettriche e lo stop a quelli per i veicoli ibridi plug-in. Fiducia in diminuzione sulle prospettive dell’economia tedesca Che l’economia tedesca si trovi oggi in una situazione di incertezza, lo dimostra anche il primo calo negli ultimi sei mesi dell’indice Ifo sul clima di fiducia nell’economia. In particolare, c’è pessimismo per quanto riguarda la crescita delle esportazioni: l’inasprimento delle condizioni del credito abbassa i consumi anche a livello internazionale e l’economia tedesca sembra non sia abbastanza dinamica e competitiva per superare questa fase in modo indolore. Le stime peggiori parlano di una recessione che potrebbe protrarsi anche nella seconda metà dell’anno. La recessione tecnica della Germania è un problema anche per l’Europa Il cancelliere Olaf Scholz e il ministro dell’Economia Robert Habeck hanno ricordato che la produzione industriale tedesca resta solida e gli investimenti si prospettano in crescita, così come il fatto che questa crisi è dovuta soprattutto a fattori di breve termine, come l’inflazione e i costi dell’energia (Habeck, tra l’altro, si è detto più preoccupato per fattori di medio e lungo termine, come l’invecchiamento della popolazione e la mancanza di forza lavoro). Certo, la recessione dell’economia tedesca, l’economia maggiore in Europa, rischia di mettere in discussione le prospettive di ripresa dell’intera Europa. Ti potrebbero interessare anche: I tassi frenano la domanda di mutui e ora l'inflazione può colpire anche l'immobiliare L'inflazione torna a colpire: ora il rialzo dei tassi appare inevitabile

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Nvidia stravince in borsa (+24%) spinta dalla domanda di chip per l'intelligenza artificiale

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 26.05.2023

La corsa ai chip necessari per l’intelligenza artificiale (IA) ha spinto così in alto il valore in borsa di Nvidia, da consentire all’azienda produttrice di chip di poter raggiungere il gruppo delle big tech USA. Ne scrive, tra gli altri, anche Gerrit De Vynck sul “Washington Post”. Nvidia segna quasi +24% in borsa in un giorno soltanto La fortuna di Nvidia, di fatto, consiste nel produrre da tempo dei chip in grado di supportare dei videogiochi dalla grafica particolarmente pesante. Una delle specialità dell’azienda sono stati, in particolare, i processori grafici (GPU, Graphics Processing Unit). Come spiega De Vynck, i chip dedicati alla grafica dei videogiochi si sono rivelati utilissimi per fare funzionare gli algoritmi messi a punto dai ricercatori dell’IA. La fortissima crescita della domanda di chip, di cui l’azienda ha parlato presentando i propri guadagni, ha spinto allora Nvidia a crescere in una sola seduta di borsa quasi del 24%, raggiungendo una capitalizzazione che sfiora i 940 miliardi di dollari e che ha superato la capitalizzazione di giganti come Meta e Tesla. Azioni che sfiorano ciascuna i 380 dollari Dall’inizio dell’anno, l’incremento del valore in borsa dell’azienda produttrice di chip è stato del 107%. Oggi, un’azione di Nvidia vale quasi 380 dollari, contro il prezzo unitario di 252 dollari di un’azione Meta e di 184 dollari di un’azione Tesla. E sebbene la capitalizzazione resti ancora inferiore ad Apple, Microsoft e Alphabet (Google), il prezzo di una singola azione di Nvidia è persino più alto del prezzo unitario ad azione di questi colossi. Processori grafici di ultima generazione Il “Washington Post” menziona, a tale proposito, il fondatore della piattaforma Akash Network, Greg Osuri, il quale spiega che al momento Nvidia sia l’unica azienda in grado di fornire i processori grafici che servono alle aziende per i loro progetti di IA. Per rendersi conto di cosa si significa questo, De Vynck scrive che un set di otto chip di ultima generazione può arrivare a costare 300 mila dollari e che – stando a quanto scrive “Insider” – Elon Musk avrebbe comprato 10 mila processori per sviluppare una sua personale azienda di IA. Nvidia resterà incontrastata? Ma quanto potrà durare il dominio di Nvidia sui mercati? Come scrive ancora De Vynck sul “Washingston Post”, le maggiori aziende tech stanno investendo per cominciare a sviluppare chip in proprio ed emanciparsi dai produttori leader di mercato come Nvidia. L’analista di Evercore Inc. CJ Muse ritiene tuttavia che le esigenze delle grandi aziende non potranno essere soddisfatte dallo produzione in proprio di chip: il ruolo di Nvidia, dunque, secondo l’analista, resterà predominante.   Ti potrebbero interessare anche: Intelligenza artificiale: tecnologia dal futuro che fa oscillare i mercati Semiconduttori: cala la domanda, ma il settore resta promettente

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Record per le azioni che distribuiscono dividendi: quanto durerà il trend?

Scritto il 25.05.2023

Il segmento delle azioni che distribuiscono dividendi ha registrato nel primo trimestre del 2023 dei risultati notevoli: la distribuzione dei dividendi non era mai così alta da nove anni a questa parte. Come cambiano, allora, le prospettive del settore per quest’anno?   Primo trimestre del 2023 da record per le azioni che distribuiscono dividendi Chi ha investito sulle azioni che distribuiscono dividendi si è probabilmente trovato a registrare delle performance migliori alle proprie aspettative. Nel primo trimestre, questo segmento di investimento ha registrato il migliore risultato dal 2014, distribuendo agli investitori dividendi per un totale di 326,7 miliardi di dollari (+12%). Stando allo Janus Henderson Global Dividend Index, ciò è dovuto soprattutto alle distribuzioni speciali dei dividendi (cioè quelli distribuiti una tantum): complessivamente, si tratta di 28,8 miliardi di dollari. I dividendi speciali distribuiti dal settore automobilistico spingono i risultati verso l’alto Poco meno di un terzo dei dividendi speciali sono stati distribuiti da due aziende automobilistiche, Ford e Volkswagen: ciò ha portato, nel giro di un anno, a decuplicare la crescita del segmento dei dividendi legato al settore automobilistico. Hanno fornito un contributo notevole anche i settori automobilistico, del petrolio, bancario e dei software. La distribuzione dei dividendi si concentra negli Stati Uniti: nonostante la crescita dei dividendi non speciali sia rallentata, se si considerano i dividendi distribuiti una tantum, la cifra dei dividendi distribuiti negli USA nel primo trimestre del 2023 è di 153,4 miliardi di dollari. Il calo dei dividendi distribuiti dal settore minerario Il settore minerario, invece, ha registrato un calo significativo, in ragione della diminuzione dei prezzi delle materie prime. Le prospettive di debolezza di questo settore frenano le aspettative sulla crescita dei dividendi nel resto del 2023. A livello geografico, questo rallentamento si percepisce soprattutto in Australia, nel Regno Unito e in alcuni Paesi emergenti. Le prospettive per i titoli che distribuiscono dividendi Nonostante il rallentamento previsto per la restante parte dell’anno, la distribuzione dei dividendi crescerà del 5,2% (il settore sottostante del 5%), arrivando a distribuire 1640 miliardi di dollari, 40 miliardi in più rispetto alle stime di gennaio. Lo head of global equity income di Janus Henderson, Ben Lofthouse, fa notare come questo settore si dimostri in generale meno volatile rispetto all’andamento degli utili. Lofthouse ricorda che anche sul segmento dei dividendi peseranno quest’anno le condizioni difficili dell’economia (dalla guerra ai rischi di recessione); e però i dividendi sembra continueranno a essere caratterizzati da un trend di crescita. Ti potrebbero interessare anche: Investire in azioni: che cosa sono le azioni societarie

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Infrastrutture idriche, un'opportunità per l'ambiente, l'economia e per i portafogli

Scritto il 25.05.2023

Un rapporto di AllianceBernstein, realizzato da due specialisti di investimenti tematici sostenibili, David Wheeler e Daniel C. Roarty (lo riporta anche la rivista "investrends), pone al centro dell’attenzione la questione delle infrastrutture idriche, tema centrale per lo sviluppo economico e l’ambiente, ma anche opportunità per gli investitori, soprattutto coloro che guardano al lungo termine e alla sostenibilità. Il problema idrico nel mondo Le recenti e catastrofiche alluvioni in Emilia Romagna sono arrivate dopo un lungo periodo di siccità che, secondo gli esperti, ha contribuito al disastro che è seguito, in quanto ha reso il terreno meno permeabile. La questione della scarsità dell’acqua è centrale in larga parte del mondo: secondo l’OMS, l’anno scorso ha causato 43 mila morti soltanto in Somalia; in Asia, la scarsità d’acqua è un problema per un miliardo di persone; negli dagli Stati Uniti, sta facendo calare il livello dell’acqua del fiume Colorado, mettendo a rischio l’approvvigionamento idrico di milioni di persone; in Francia, sta mettendo in difficoltà la produzione di energia nucleare (l’acqua serve per raffreddare gli impianti), in Norvegia, la produzione di energia idroelettrica. Scarsità, qualità e gestione efficiente dell’acqua La scarsità e la qualità dell’acqua sono due questioni cruciali. Ma anche la gestione dell’acqua è un tema centrale, sia per Paesi sviluppati, dove le infrastrutture hanno bisogno di costante manutenzione e rinnovamento, sia per Paesi in via di sviluppo e per quelli più poveri, dove devono ancora essere realizzate molte infrastrutture idriche per trasportare e distribuire l’acqua in modo efficace. La collaborazione tra capitale pubblico, capitale privato e tecnologia Come spiega il rapporto, lo sviluppo delle infrastrutture idriche può ricevere un contributo decisivo grazie alla combinazione di capitale pubblico e di capitale privato: Wheeler e Roarty portano come esempio le misure USA contenute nell’Inflation Reduction Act, misure che si occupano anche del trattamento e del riciclo delle acque. Anche la tecnologia, spiegano nel rapporto, può portare un contributo importante: basta pensare ai sensori che rilevano le perdite d’acqua degli acquedotti, o alle migliorie che l’agricoltura di precisione può portare all’irrigazione. Ambiente, economia e investimenti Come si legge su “investrends”, Wheeler e Roarty parlano di un superciclo degli investimenti nelle infrastrutture idriche che può offrire delle opportunità di investimento di lungo termine. La questione dell’acqua risulta centrale infatti sia nell’ambito della crescita e dello sviluppo economico, sia nell’ambito del benessere degli esseri umani, della preservazione della biodiversità e della lotta al cambiamento climatico.   Ti potrebbero interessare anche: Combattere la volatilità con gli investimenti tematici Investimenti ESG, che cosa sono

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Mercati emergenti: un investimento di breve o di lungo termine?

Scritto il 24.05.2023

I rendimenti elevati hanno accresciuto l’interesse degli investitori per i titoli dei mercati emergenti, in particolare per il reddito fisso (alcuni bond sono spinti anche da un dollaro debole) e per i fondi indicizzati. Sulle potenzialità e i rischi legati ai titoli degli emergenti riportiamo qui alcune delle considerazioni fatte da Polina Kurdyavko, Head of Emerging Markets di BlueBay Asset Management. Gli interessanti rendimenti del reddito fisso dei mercati emergenti I due miliardi di dollari di afflussi nel segmento del reddito fisso dei mercati emergenti mostra un interesse crescente da parte degli investitori. Come spiega Kurdyavko, ciò che spinge gli investitori a guardare con interesse il mercato dei Paesi emergenti sono certamente, tra le altre cose, i rendimenti che offrono, i quali in certi casi arrivano anche a raggiungere la doppia cifra. Il passaggio da un’allocazione tattica a una strategica Secondo la manager, il posizionamento degli investitori potrebbe assumere un carattere strutturale, nel senso che i titoli dei mercati emergenti potrebbero inserirsi in una strategia di portafoglio orientata sul medio e lungo termine. Tuttavia, non vanno sottovalutati i rischi tradizionalmente legati a questi investimenti, che certamente rendono meno facile il passaggio da un’allocazione tattica (di breve termine) a una strategica (di medio/lungo termine). Le opportunità offerte da alcuni Paesi emergenti Le dinamiche geopolitiche, che hanno portato a un riassetto delle alleanze internazionali, oggi giocano in favore dei Paesi emergenti: il loro allineamento coi Paesi occidentali, spiega Kurdyavko, ad esempio, potrebbe portare a dei vantaggiosi accordi commerciali. Alcuni degli emergenti possono altresì contare su tassi di interesse molto elevati, derivanti da politiche monetarie restrittive: è il caso del Brasile (menzionato dalla manger), dove il costo del denaro è del 13,75%. Nei Paesi più poveri, soprattutto, la domanda di infrastrutture è forte e gli investitori potrebbero trovare delle soluzioni alternative per venirle incontro. Alcuni rischi importanti legati agli investimenti nei mercati emergenti Uno dei problemi centrali di molti dei Paesi emergenti è l’affidabilità delle loro istituzioni, condizione che molti investitori vedono come inderogabile. Ciò vale a maggior ragione nel caso dei mercati privati, dove la scarsa liquidità risulta scoraggiante se non è compensata da altre forme di garanzia. Le politiche monetarie restrittive, poi, fa notare Kurdyavko, hanno sì dei lati positivi, ma devono risultare sostenibili alla luce della crescita: i tassi brasiliani, si diceva, sono al 13,75%, ma la crescita del PIL, sebbene elevata, è dell’8,5%. Insomma, garanzie e affidabilità, qualora saranno mostrate, potrebbero dare un carattere strategico e non più tattico agli investimenti nei Paesi emergenti.    Ti potrebbero interessare anche: È boom degli ETF sui mercati emergenti I bond degli emergenti cresceranno con un dollaro debole, ma restano i rischi

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Inflazione e Fed frenano l'entusiasmo degli investitori su un possibile taglio dei tassi

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  • Titoli di Stato, Spread e Tassi di i
Scritto il 24.05.2023

Tra gli operatori di mercato, le aspettative di un allentamento della politica monetaria restrittiva della Federal Reserve sono in diminuzione. Ne scrivono sul “Financial Times” Kate Duguid e Mary McDougall. Ecco, di seguito, alcune delle loro considerazioni. Scendono le aspettative su un taglio dei tassi di interesse Un modo per considerare alcune previsioni degli operatori di mercato in materia di rialzo dei tassi di interesse è guardare al mercato dei futures sui titoli si Stato americani: come si legge sul “Times”, fino a due settimane fa, l’aspettativa era di quattro tagli dei tassi, che sarebbero arrivati al 4,2%; oggi, invece, la prospettiva è di due tagli dei tassi e una percentuale del 4,7%. Come scrive l’analista Dario Perkins di TS Lombard, le previsioni economiche, del resto, restano confuse. Perché molti investitori si aspettavano un taglio dei tassi nel breve termine? Il fatto è che, si legge sempre sul “Times”, gli investitori avevano ipotizzato che a) un rallentamento dell’inflazione USA, scesa ad aprile sotto il 5%, e b) il fallimento della Silicon Valley Bank, che ha fatto tremare il sistema bancario americano medio piccolo (ma anche l'high-yield) e aumentato i rischi di recessione, fossero elementi sufficienti per fare credere che la Fed avrebbe non solo fermato il ciclo rialzista, ma cominciato a tagliare i tassi nel giro di qualche mese. L’inflazione resta alta e il mercato del lavoro solido I messaggi che arrivano dai funzionari della Fed però fanno emergere uno scenario diverso: l’inflazione è ancora lontana dall’essere condotta a livelli ritenuti come adeguati. Inoltre, il mercato del lavoro statunitense si sta dimostrando resistente, con livelli di disoccupazione mai così bassi negli ultimi 54 anni. Eppure, venerdì scorso, ricorda il “Times” proprio Jerome Powell ha affermare che la stretta al credito che si attende in seguito alla crisi delle banche regionali potrebbe limitare le possibilità di rialzo dei tassi della Fed.   Le banche centrali considerano l’inflazione una priorità La situazione, dunque, resta di incertezza. Gli analisti di BlackRock, però, ritengono che l’obbiettivo principale della Fed resti il contrasto all’inflazione, che si sta dimostrando particolarmente “ostinata”, scrivono. Le banche centrali, dunque, correranno il rischio di una recessione (gli analisti di BlackRock, almeno negli USA, la vedono in arrivo). In altre parole, non interverranno, come accaduto in passato, a sostegno dell’economia, dal momento che gli obbiettivi di politica monetaria con lo scopo di abbassare l'inflazione restano una priorità. Ti potrebbero interessare anche La Fed e la Bce alzano di un quarto di punto i tassi di interesse: pro e contro per gli investitori Obbligazioni: l'alto rendimento USA rischia di diventare presto spazzatura

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I tassi frenano la domanda di mutui e ora l'inflazione può colpire anche l'immobiliare

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  • Mercato immobiliare
Scritto il 23.05.2023

Gli investimenti immobiliari sono stati finora considerati un investimento in grado di conservare valore, grazie al tendenziale aumento dei prezzi; la politica monetaria restrittiva sta portando però a una frenata della crescita e in certi casi a un calo del prezzo delle case. Il rialzo dei tassi fa calare la domanda di mutui L’aumento dei tassi di interesse da parte della BCE ha avuto come conseguenza la contrazione della domanda dei mutui; in un rapporto sul mercato del credito bancario, proprio la BCE, del resto, ha registrato il calo più consistente della richiesta di mutui dal 2003, anno delle prime misurazioni. A fronte di un calo o di una stagnazione dei prezzi delle case – è ciò che alcuni analisti prevedono – è possibile perciò che gli investimenti immobiliari non saranno in grado di fronteggiare l’erosione del valore provocata dall’inflazione.   I prezzi dell’immobiliare non si muovono allo stesso modo in Europa Va detto che i prezzi del mercato immobiliare non si stanno muovendo tutti allo stesso modo in Europa: in particolare, stando a uno studio condotto da Bnl/Bnp Paribas, dal titolo “Immobiliare, tra crescita e inflazione”, la contrazione più forte è stata registrata in Germania, dove i prezzi delle case nel IV trimestre del 2022 sono scesi del 5% rispetto al III trimestre dello stesso anno. Prezzi fermi e incidenza dei mutui in calo Nel presentare questo rapporto, Simona Costagli di Bnl Economy Research ha spiegato che il valore degli immobili nel IV trimestre del 2022 era comunque ancora superiori ai valori del 2015. Stando alle aspettative per il 2023, i prezzi dovrebbero restare fermi. Certo, la contrazione della domanda di mutui è percepibile: come fa notare Costagli, l’incidenza dei mutui sulle compravendite è passata dal I al IV trimestre del 2022 dal 51,9% al 42,8%. Le società immobiliari possono contare sui prezzi degli affitti e sulle riserve di capitale Il mercato immobiliare europeo è certamente sotto pressione: stando alle previsioni del direttore esecutivo dell’agenzia di rating europea Scope Ratings, Philipp Wass (le riporta, tra gli altri, anche il portale “idealista.it”), il valore delle società immobiliari residenziali europee è destinato a calare del 10% entro la fine del 2024. Nonostante ciò, la domanda di alloggi resta costante e questo può continuare a sostenere la crescita dei prezzi degli affitti; si prevede, in tale senso, una crescita tra il 2 e il 5% tra il 2023 e il 2025 . A questo si aggiunge poi, come spiega Wass, che le buone riserve di capitali delle società immobiliari fanno pensare che saranno in grado di resistere alle condizioni avverse del mercato. Ti potrebbero interessare anche: Crisi dell’immobiliare: in Europa non tutti i Paesi rischiano allo stesso modo

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Sui mercati, il ritorno alla media è un concetto chiave ma non assoluto

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 23.05.2023

Il “ritorno alla media” è un concetto che sta alla base di molte strategie finanziarie (trading compreso): ma di che cosa si tratta? Che cos’è il “ritorno alla media” o “mean reversion”? Si legge spesso che, nonostante le oscillazioni, la tendenza dei mercati è una crescita costante nel tempo. Si tratta di un’applicazione del concetto di “mean reversion”, di “ritorno alla media”, frutto di una serie di osservazioni riguardanti i mercati finanziari. In poche parole, si tratta del fenomeno che porta il valore di un titolo a oscillare con maggiore probabilità nel breve termine, ma a tornare ciclicamente, sempre con maggiore probabilità, al valore medio (che può essere anche un valore di crescita o di decrescita) nel lungo termine. Vale la pena chiarire subito che si tratta di un fenomeno empirico, che trova sì molte conferme nell’andamento dei mercati, ma che non è naturalmente una legge necessaria. Il “ritorno alla media” non è un principio assoluto Come si legge su “Investopedia”, il concetto di “ritorno alla media” non è circoscritto ai soli prezzi dei titoli finanziari, ma si estende anche ad altri valori (il prezzo/utile ad esempio) e ad altri ambiti (i rendimenti di una certa industria). Gabriele Galletta, CEO di Investimento custodito, spiega che il “ritorno alla media” per gli investitori può certamente essere un criterio utile in alcune circostanze. Tuttavia, bisogna evitare a) di considerarlo come un principio assoluto, dal momento che non è detto che l’andamento di un asset o di un settore non cambierà mai la sua traiettoria di lungo periodo, e b) si tratta di “medie mobili” e il ritorno a quelle medie può essere un processo più lungo di quanto si creda. Un principio alla base di molte strategie finanziarie Nondimeno, il “ritorno alla media” è uno dei presupposti di molte strategie finanziarie. Molti operatori pensano che sia il caso di vendere o di acquistare un titolo proprio nel momento in cui il prezzo si discosta marcatamente dalla media storica: la ragione è che, stando appunto alla tendenza del “ritorno alla media”, quel prezzo, prima o poi, tornerà ad avvicinarsi al livello medio. Queste medie, del resto, stanno alla base di alcuni dei modelli predittivi e delle analisi tecniche delle strategie di trading finanziario. “Mean reversion”: utilità e limiti Il “ritorno alla media” può essere però sfruttato anche dagli investitori orientati sul lungo termine per mantenere la calma e la disciplina nei momenti più difficili o di maggiore euforia, dal momento che possono essere considerati come semplici anomalie. Tuttavia, gli esperti ricordano che non si può garantire in modo assoluto che un asset torni al suo valore medio: non è detto infatti che alcuni eventi possano modificare il valore di quella media o invertirne la rotta. Ti potrebbero interessare anche: Quali sono gli asset ideali per investire a breve termine? Come approcciare un investimento di medio/lungo termine? Dal glossario: Varianza di portafoglio

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Afflussi dei fondi europei: mini-boom per monetari e obbligazionari

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  • Fondi Comuni di Investimento
Scritto il 22.05.2023

I dati sugli afflussi e i deflussi dei fondi di investimento europei messi a disposizione da Morningstar riguardanti il mese di aprile indicano il persistente successo dei fondi obbligazionionari e del mercato monetario, ma anche dei fondi passivi; i fondi bilanciati e quelli azionari (e in parte anche una quota dei fondi sostenibili), invece, hanno registrato dei risultati meno positivi (leggi anche: Rendimento, rischio e costi sono tre criteri essenziali per scegliere il fondo più adatto alle proprie esigenze). I risultati positivi dei fondi del mercato monetario e dei fondi obbligazionari Uno dei risultati migliori che emerge dai dati di Morningstar sugli afflussi dei fondi di investimento ad aprile riguarda i fondi del mercato monetario: +17,24 miliardi di euro. Come fa notare Valerio Baselli, è da sei mesi che i fondi obbligazionari registrano dei dati di afflusso positivi. La crescita degli afflussi è stata di 14,76 miliardi di euro, soprattutto grazie ai titoli di Stato e alle obbligazioni che i fondi detengono fino alla loro naturale scadenza. La fine dei timori di una crisi bancaria, la prospettiva della fine del ciclo rialzista dei tassi e una prospettiva generale positiva sul mercato del credito hanno giovato sia al segmento ad alto rendimento (high yield) sia al segmento investment-grade. Deflussi per i fondi bilanciati, alternativi e azionari, ma buoni risultati per gli ETF azionari I fondi bilanciati, alternativi e azionari hanno registrato dei deflussi netti rispettivamente di 4,87, 1,50, e 1,28 miliardi di euro. Per quanto riguarda i fondi azionari, però, fa notare Baselli, c’è una sostanziale differenza tra la gestione attiva e quella passiva: la gestione attiva, ad aprile, ha registrato deflussi di 9,94 miliardi di euro; la gestione passiva che, al contrario, ha registrato degli afflussi per un totale di 8,66 miliardi di euro. Nell’ultimo anno, la percentuale dei fondi passivi sul totale è passata dal 20,5% al 21,7%. Materie prime, immobiliare e strumenti convertibili Anche il settore delle materie prime (-259 milioni di euro), dei fondi immobiliari (-573 milioni) e degli strumenti convertibili (-628 milioni) hanno subito dei deflussi significativi. I risultati dei fondi sostenibili Nell’ambito dei fondi sostenibili, Morningstar rileva che il volume di deflussi dei fondi sostenibili che ricadono nella classificazione dell’articolo 8 del regolamento europeo SFDR (-1 miliardo di euro circa) hanno pareggiato i conti con gli afflussi dei fondi sostenibili che, invece, ricadono nella classificazione dell’articolo 9 del regolamento europeo SFDR.    Ti potrebbero interessare anche: Fondi chi raccoglie di più: Azionari, obbligazionari e monetari ETF: prima di scegliere, non dimenticatevi di considerare questi aspetti Rendimento, rischio e costi sono tre criteri essenziali per scegliere il fondo più adatto alle proprie esigenze I fondi attivi perdono la sfida con gli ETF

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In Germania e Giappone borse da record: perché?

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 22.05.2023

In questi giorni i maggiori indici borsistici della Germania (DAX 30) e del Giappone (Nikkei) hanno superato i loro record storici. Che cosa c’è dietro l’ottimismo degli operatori dei mercati? Il DAX 30 supera i 16 mila punti e batte il record storico Il maggiore indice borsistico tedesco sembra avere ormai superato i momenti di difficoltà più recenti che, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, avevano portato il suo valore sotto i 12 mila punti. Il DAX 30 ha superato i 16 mila punti, superando il massimo storico del novembre del 2021, prima che la guerra, la crisi energetica, l’inflazione e l’aumento dei tassi di interesse avviassero sui mercati una lunga fase ribassista. Come si legge sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ), i risultati del DAX sono stati dovuti, in primo luogo, alle notizie di un possibile accordo sul tetto al debito negli Stati Uniti. La ripresa delle vendite in Cina Come spiega l’analista Sven Streibel di DZ Bank alla FAZ, il DAX 30 è favorito anche dalle prospettive di ripresa in Cina, che rappresenta un importante mercato di importazione per le automobili, gli articoli sportivi e i beni di lusso europei. Streibel spiega però che la notevole ripresa delle vendite in Cina del primo trimestre potrebbe non godere dello stesso slancio anche nella restante parte dell’anno (leggi anche: Debito, immobiliare e invecchiamento: le ombre sul miracolo economico cinese). Debito statunitense e semiconduttori Anche l’indice giapponese Nikkei ha raggiunto un risultato storico, superando i 30 mila punti. Non accadeva del 1990. Come spiega Giuliana Ferraino sul Corriere della Sera, anche nel caso del Giappone l’indice borsistico ha ricevuto una spinta verso l’alto anche, ma non solo, dalle prospettive di un accordo sul debito statunitense. L’altra ragione che sta giocando in favore dell’indice borsistico nipponico, spiega Ferraino, la prospettiva che il Giappone diventi un centro all’avanguardia per la produzione dei semiconduttori, anche in ragione delle crescenti tensioni tra Cina e Taiwan. Investimenti sul Giappone nel campo dei chip L’azienda americana Micron Tech, ad esempio, prevede di investire ben 3,7 miliardi di dollari nel suo impianto di Hiroshima. Inoltre, anche Samsung e Semiconductor Manufacturing Co (l’azienda taiwanese leader mondiale nella produzione di chip) hanno annunciato di volere realizzare nuovi centri di produttivi in Giappone. Nel caso del progetto di Semiconductor Manufacturing Co, si tratterebbe del secondo centro di produzione di chip sul suolo nipponico e prevede la partecipazione di investitori come Sony Group Denso Corp.   Ti potrebbero interessare anche: Semiconduttori: cala la domanda, ma il settore resta promettente Debito, immobiliare e invecchiamento: le ombre sul miracolo economico cinese

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