Bruno Mazzola - AD MoneyController Srl

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Perchè le famiglie vogliono Piazza Affari = Liberiamo i risparmi

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 25.04.2015

MILANO FINANZA a pag. 23 di Roberta Paola Risparmio: Perché le famiglie vogliono Piazza Affari – La ricchezza finanziaria degli italiani torna a crescere superando quota 4 mila miliardi, ma manca un ponte verso le aziende. Serve un’offerta capace di catturare l’interesse degli investitori a caccia di rendimenti più sostenuti… L’economia italiana si presenta all’appuntamento con la festa dei 70 anni dalla fine della seconda guerra Mondiale indebolita da una crisi che ha portato in pochi anni a una contrazione del pil del 10%. Oggi si vedono però i primi segnali di recupero, merito anche di una congiuntura particolarmente favorevole tra bassi tassi d’interesse, basso costo del petrolio e debolezza dell’euro. Tutto ciò ha reso Piazza Affari regina dei listini da inizio anno. L’analisi degli esperti parte proprio da questo contesto particolarmente favorevole, se a questo si associa una politica fiscale più favorevole alla crescita e una ripresa dell’attività economica, dal Paese potranno arrivare sorprese positive si legge nel report. Alcuni nodi restano però da risolvere dal punto di vista delle riforme strutturali. Gli esperti ricordano infatti che pur essendo positivi sulle prospettive dell’Italia, la malattia della bassa crescita non è stata ancora curata. Secondo gli analisti poi è necessario proteggere la ricchezza finanziaria delle famiglie dalla “repressione finanziaria”, che durerà ancora per anni. La repressione finanziaria è un modo silenzioso per ridurre il debito pubblico. Può concretizzarsi con rendimenti reali negativi degli asset, con un aumento delle imposte oppure con entrambi. Di fatto gli Stati o le banche centrali promuovono una politica economica e monetaria che permetta di utilizzare la ricchezza privata per ridurre i debiti pubblici. Il tutto con una certezza saranno i risparmiatori a pagare il conto, che sarà tanto più alto quanto più il Paese risulta indebitato. Non deve quindi stupire che il fenomeno sia così evidente in Italia, dove il debito è al 133% del pil. Oltre alle tasse sulla casa, che ormai rappresentano un prelievo annuo di 30 miliardi, è stata introdotta l’imposta di bollo sugli investimenti finanziari, il capital gain è al 26%. Infine nell’ultima legge di stabilità sono stati messi nel mirino il Tfr e i fondi pensione, l’unica forma di risparmio che finora era rimasta indenne.

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Druckenmiller attacca la Fed: "I pericoli dei bassi tassi"

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 20.04.2015

AFFARI E FINANZA a pag. 16 di Arturo Zampagliene Stanley Druckenmiller è stato per 12 anni il braccio destro di Geroge Soros e oggi a 61 anni è uno dei money manager più ascoltati (e più ricchi) di Wall Street. A sorpresa ha lanciato un attacco alla politica della Federal Reserve, la ragione? La politica dei tassi di interesse vicino allo zero che ha aiutato l’economia americana a uscire dalla crisi ma che ormai – a suo dire- crea più problemi di quanti non ne risolva. “L’abbondanza del credito a buon mercato – ha detto Druckenmiller in un’intervista a Bloomberg- spinge le imprese a indebitarsi, ma invece di usare quei soldi per potenziare le loro attività produttive, se ne servono per finanziare nuove acquisizioni, per ricomprare titoli sul mercato a quotazioni da record per operazioni di leveraged buyout: tutte attività che alla fine riducono l’occupazione, invece di accrescerla”. Il rischio qual è? “Che tuto questo finisca molto male”, dice Druckenmiller, che ammette di provare le stesse inquietudini di prima della tempesta finanziaria, perché l’indebitamento continua a lievitare, imprese e banche si assumono rischi crescenti e la Fed non mostra segni di ripensamento. Per quanto riguarda il rialzo dei tassi, lui non crede che se ne parlerà prima di un anno o un anno e mezzo e se pur vero che ogni manovra al rialzo comporta dei rischi, ce ne sarebbero di meno avviando subito la manovra piuttosto che ritardandola. Oltre ai giudizi severe sulla Federarl Reserve, non certo condivisi dalla maggioranza dei suoi colleghi di Walla Sreet, Druckenmiller ha anche una serie di opinioni controcorrente sulla Cina e sul petrolio. Anche se le proiezioni sul pil cinese si limitano a un +7 per cento ne 2015, il finanziere è convinto che Pechino vedrà un forte progresso economico, con effetti sulla borsa di Shanghai, sulle esportazioni europee e sul prezzo del petrolio. Quest’ultimo a suo avviso salirà, tant’è vero che ha cominciato ad investire in titoli che beneficiano dell’aumento del barile, come Lyondell Bassell Industies, maggiore produttore mondiale di propilene.

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Tra gli operatori cresce il timore di «bolle» sui bond

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 16.04.2015

SOLE 24 ORE a pag. 5 di Andrea Franceschi Effetti collaterali del Qe. Nonostante le parole di Draghi, secondo un sondaggio Bofa, l’84% degli operatori ritiene che il mercato obbligazionario abbia superato i limiti. Un operatore finanziario su quattro è convinto che il mercato azionario globale sia sopravalutato. I risultati del sondaggio Bofa, da sempre monitorato con attenzione dagli addetti ai lavori, rappresentano un segnale importante di come sui mercati stia crescendo la consapevolezza dei rischi connessi alle politiche monetarie ultraespansive. Particolarmente evidenti nel caso dei titoli di Stato dell’area euro le cui quotazioni sono talmente inflazionate che una consistente fetta di titoli sul mercato (duemila miliardi di euro il controvalore stimato) oggi tratta a tassi sotto zero. Un paradosso per cui l’investitore invece che ricevere una remunerazione (interesse) sul proprio investimento finisce in realtà per pagare una penale. Se le banche, i maggiori detentori di bond governativi, hanno di che festeggiare viste le laute plusvalenze che incassano vendendo alla Bce titoli che in questi anni si sono fortemente rivalutati, lo stesso non può dirsi per altri soggetti come i fondi pensione che vedono sparire qualsiasi interesse sul denaro investito. Secondo Domenico Rizzuto di Dr Finance consulting il più preoccupante è il segmento delle obbligazioni societarie, dove gli investitori hanno cercato un’alternativa più redditizia. Ciò ne ha inflazionato esageratamente le quotazioni. Ma se per i titoli di Stato c’è il paracadute del Qe, per i corporate (che sono un mercato assai meno liquido) non c’è una rete di sicurezza altrettanto valida. Secondo gli analisti di Ubs, finchè l’inflazione nell’area euro resterà bassa i rischi sono contenuti, ma quando i prezzi inizieranno a salire (e in prospettiva anche i tassi di interesse) le obbligazioni societarie rischiano di subire pesanti contraccolpi. Un rialzo dei tassi entro quest’anno è dato scontato dall’85% degli intervistati.

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Se le banche riscoprono il valore del risparmio

Scritto il 10.04.2015

SOLE 24 ORE a pag. 27 di Morya Longo I titoli di Stato, che le banche italiane hanno nei bilanci per 463 miliardi di euro, ormai rendono poco. I tassi d’interesse sempre più bassi in Europa hanno eroso anche la tradizionale fonte di ricavi degli istituti d credito: dal 2012 al 2014 le prime 7 banche italiane hanno infatti ridotto il margine di interesse (cioè la differenza tra il tasso a cui le banche raccolgono fondi e quello a cui finanziano famiglie e imprese) di 3,8 miliardi di euro. Così le banche devono puntare sul più grande “tesoro” esistente in Italia: il risparmio privato, pari a 3.848 miliardi di euro (escludendo gli immobili). Intercettare fette sempre maggiori di questi risparmi e gestirli è per le banche una necessità. Insomma: le famiglie sono sempre più “galline dalle uova d’oro” per le banche. Tutti cercano di valorizzare e di sviluppare questo settore, perché-nell’era del tassi a zero-da qui vengono i ricavi. Sono i bilanci delle banche ad evidenziarlo, dal 2012 al 2014 le commissioni (in gran parte derivanti proprio dal risparmio gestito) sono aumentate per le prime 7 banche italiane di circa un miliardo di euro: dai 18.305 del 2012 ai 19.214 miliardi del 2014. Mentre il margine d’interesse diminuiva di 3,8 miliardi, le commissioni compensavano in parte il calo. Il trend è chiaro. Eclatante il caso di Intesa Sanpaolo: nel 2014 le commissioni hanno raggiunto il massimo dal 2007, trainate proprio dal +20,6% dalle attività di gestione, intermediazione e consulenza. Inoltre se i gestori di questi risparmi useranno le loro enormi disponibilità almeno in parte per finanziare o ricapitalizzare le imprese italiane, il risparmio delle famiglie andrebbe a sostenere, anche attraverso un canale non bancario, il made in Italy.

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I segreti dei maratoneti italiani di redditività = ecco i gioielli italiani

Scritto il 07.04.2015

SOLE 24 ORE a pag. 23 di Fabio Pavesi Non ci sono molti segreti in Borsa. I vecchi gestori sanno che se un titolo fa utili e li vede crescere nel tempo, allora quello è un buon titolo. Sarà un ricettario assai poco sofisticato ma rende l’idea. Certo alla capacità di avere una redditività forte e crescente devi aggiungere molte cose. Avere poco debito e in equilibrio con la struttura patrimoniale e quegli utili non devono essere frutto solo di operazioni straordinarie. In più devi fare utili con ricavi crescenti. Perché se fai profitti a fatturato calante sarai un fenomeno nel taglio dei costi, ma il barile dell’efficienza non lo puoi scavare all’infinito. E allora guardiamoli questi titoli. A Milano tra le blue chip spiccano società con ritorni sul capitale investito sempre sopra le due cifre percentuali e che hanno una continuità di redditività alta e crescente. Luxottica ha cumulato utili netti per 2,25 miliardi tra il 2009 e il 2013.. Parmalat, il brand del lusso, Prada, Tod’s. Pirelli che ha visto incrementare il Roi (ritorno sul capitale investito) dal 6 del 2009 al 16% del 2013 ha portato a casa utili netti per 1,19 miliardi..tra le società farmaceutiche, Recordati. Campari: Roi sopra il 10% e 760 milioni di utili nel quinquennio. C’è poi il manipolo delle grandi utility: Snam e Terna ed Enel. E le banche? qui la situazione è pesante. La redditività media del sistema bancario si è di fatto azzerato dalla crisi del 2008. Il forte accumulo di sofferenze e la caduta dei volumi del credito hanno mandato in rosso per più esercizi consecutivi molte banche italiane. Ora c’è il propellente della Bce e le fusioni a sostenere la corsa, ma la corsa sarà zoppa se non torneranno i profitti.

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Le risposte ai lettori - L`avidità è congenita, le bolle si evitano con le buone regole

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 01.04.2015

SOLE 24 ORE a pag. 18 di Fabrizio Galimberti Scrive il lettore:”la causa è ed è stata, sempre la stessa, unica ed evidente: la convenienza del potere al potere a lasciar dominare il mercato dai forsennati sciacalli della finanza. E, ai mercati una volta si e l’atra pure, non possono che succedere bolle e scoppi di bolle…. Galimberti: Non credo al fatto che chi è al “potere” (e il più delle volte il “potere” è una stanza dei bottoni dove uno schiaccia il bottone e non succede niente) complotta, per bieca convenienza, a lasciar via libera ai vari capi-sciacallo. Credo vi siano delle ideologie dominanti che influenzano chi è al potere e chi non lo è, e il lasciar via libera alla finanza diventa una scelta fatta in buona fede da chi credeva fosse la cosa migliore da fare. “ I mercati si aggiustano da sé”, diceva, appunto, l’ideologia dominante prima della grande recessione. “Non riesco a credere a quel che è successo”: la “confessione” è di Alan Greenspan (il mitico ex presidente della Federal Reserve), e fu resa al Congresso il 23 ottobre 2008. “Quel che è successo” fu la crisi gravissima che tutti conosciamo. Una crisi innescata in prima battuta da un sistema finanziario che ha giocato con strumenti pericolosi, giocattoli nuovi e mai usati prima, fino a che non gli sono scoppiati in faccia. Ma non c’erano scritte le avvertenze per l’uso su qui giocattoli? L’interesse stesso delle banche, il loro istinto di sopravvivenza, disse Greenspan, avrebbe dovuto essere garanzia sufficiente per non far del male, a sé e agli altri. Ma successe altrimenti. Se anche lui, il più potente banchiere centrale del mondo lungo 18 anni in cui fu a capo della Federal Reserve, è stato preso di sorpresa dalla crisi, che dire del resto di noi poveri mortali? Quel che possiamo fare è mettere delle regole, cambiare ideologia, e farle rispettare. Il che è quel che si è cercato di fare dopo la crisi. Credo che oggi il sistema bancario sia più robusto di prima, e la convinzione che “il mercato si aggiusta da solo” si è dileguata con la coda fra le gambe. Ma il nostro Dna è lo stesso di prima. E non mancherà qualche altra alzata d’ingegno per confezionare altri episodi di sciacallaggio finanziario.. Che ne pensate?

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La volatilità sui mercati tradisce nervosismo

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 27.03.2015

Sole24ore di Walter Riolfi Quale sia la causa di questa irrequietezza non si sa bene e all'occasione fa d'uopo attribuirla alla guerra nello Yemen che ha fatto salire di quasi tre punti il prezzo del petrolio. Se davvero i mercati fossero intimoriti dal rischio Yemen, non si capirebbe la relativa tranquillità di W.S. mentre le borse europee sembravano prendersi una naturale pausa dopo aver tanto corso (quasi il 20%) da inizio anno. Si può immaginare che quel sentore di disagio percepito dai mercati sia il risultato di valutazioni salite troppo in alto e perché rendimenti così bassi sulle obbligazioni negli USA e negativi in Eurozona non si erano mai visti. Parrà un paradosso che i rendimenti siano invece ulteriormente scesi ieri per i titoli di Stato dell'area euro, in particolare per Btp e Bonos. Ma in questo caso il mercato e' viziato da acquisti giornalieri per 3,3 miliardi da parte della Bce. A questi ritmi, la banca centrale non avrà problemi a centrare l'obiettivo dei 60 miliardi al mese. E' probabile che ne avrà ancor meno nelle prossime settimane, quando banche, assicurazioni e grandi investitori realizzeranno che più in alto di così i titoli di stato non andranno e che forse e' arrivato il tempo di vendere il più possibile al solo compratore di questo mercato. Ma un fattore vero di volatilità c'è davvero e s'è creato la scorsa settimana, quando la Fed ha rinunciato a dare una guida sul futuro dei tassi d'interesse. Per chi, da mesi, s'era abituato a comprare dollari e vendere altre valute, questa alea ha sconvolto il facile gioco della speculazione.

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Un nuovo BTp Italia con durata di 8 anni - Dal Tesoro un Bond per i risparmiatori

Scritto il 25.03.2015

SOLE 24 ORE a pag. 5 di Redazione Il Tesoro ha annunciato ieri l’emissione di un nuovo Btp Italia, per la prima volta spingendosi sulla durata degli otto anni per poter offrire un rendimento più appetibile rispetto alle scadenze corte e anche per continuare ad allungare la via media del debito pubblico. Il Tesoro ha deciso di non riservare una quota di questa emissione al solo collocamento all’ingrosso. Anzi l’investitore retail avrà la meglio e sarà soddisfatto totalmente per l’importo richiesto. Gli istituzionali, ai quali è riservata la seconda fase del collocamento, sono oggetto di eventuale riparto. La prima fase, da lunedì 13 a mercoledì 15 aprile, sarà riservata agli investitori individuali ed altri affini, mentre la seconda fase, nella sola mattinata del 16 aprile, sarà riservata agli investitori istituzionali. In tempi di rischio di deflazione e bassissima inflazione, questo BTp indicizzato all’inflazione italiana si propone come strumento pronto a catturare il ritorno di un tasso d’inflazione “normale”, o comunque vicino al target della Bce che orbita attorno al 2%. Chi acquista questo BTp Italia, insomma scommette sul successo del QE della Bce e di Mario Draghi. Secondo le stime del Tesoro questo Btp dovrebbe raccogliere 6 miliardi circa per poter sfondare la soglia dei 100 miliardi di titoli in circolazione.

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Azionari Ritorno a casa Italia e Spagna in prima fila

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  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 23.03.2015

CORRIERECONOMIA a pag. 27 di Francesca Monti Alessandro Allegri, a capo di Ambrosetti Asset Management sim, segnala un contesto particolarmente favorevole per l’indice Dax di Francoforte. “Nella zone euro i mercati periferici rappresentano un’interessante opportunità di investimento. Italia in particolare e Spagna. Dopo un lungo periodo di sottoperformance, stanno ritrovando le condizioni strutturali favorevoli a recuperare quel ritardo congiunturale che li ha penalizzate negli scorsi semestri”. Anche sul fronte di medio – lungo periodo, Allegri ritiene interessanti i mercati azionari dell’area euro. Anche il team di analisti del Global Equity Research di Credit Suisse, in uno studio pubblicato il 9 marzo, ha segnalato un sovrappeso sul mercato azionario tedesco e su quello italiano. Secondo gli esperti i prezzi delle azioni di Piazza affari, non solo non incorporano ancora a pieno la ripresa economica, l’euro debole, i prezzi dell’energia in calo, la riduzione del costo del denaro anche per le pmi, ma mostrano che la borsa italiana è la più conveniente tra tutti i mercati azionari principali in termini di rapporto prezzo / patrimonio netto.

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Il punto - I rischi occulti dei bond in dollari

Scritto il 22.03.2015

SOLE 24 ORE PLUS a pag. 9 di Luigi Guiso Il Quantitative easing sta aiutando parecchio l’economia perché ribassa i tassi d’interesse, soprattutto per i Paesi con spread elevato come l’Italia, favorisce l’afflusso di liquidità alle imprese, offre a chi detiene titoli in euro l’assicurazione che potranno uscire in qualunque momento dall’investimento perché ci sarà sempre un operatore – la Bce – pronta ad acquistare, prevenendo una crisi di fiducia. Infine perché ha permesso un forte deprezzamento del cambio favorendo l’export extraeuropeo. Delude però i risparmiatori perché la remunerazione offerta dai titoli in euro si riduce ancora. Con rendimenti così bassi ritorna prepotente la ricerca di alternative che rendono di più. La rivalutazione del dollaro ha creato immediatamente l’illusione che ci si possa rifare investendo in titoli in dollari.L’offerta di questi da parte degli intermediari non si è fatta attendere. Sono già in circolazione obbligazioni bancarie in dollari a sei anni con rendimento del 2,25%. Vengono commercializzate alla clientela più disparata giocando sul fatto che un Btp a cinque anni rende poco più della metà, lasciando intendere che sono denominate in una “valuta forte” e celando il rischio di cambio implicito, proponendo cioè l’idea che il dollaro continui a rivalutarsi. Ma per chi compra e tiene il titolo fino alla scadenza o vende solo se ha necessità, può essere un pessimo affare. Primo, è verosimile che buona parte dell’apprezzamento del dollaro abbia già avuto luogo e che nei prossimi cinque anni l’euro possa tornare a livelli 1,25-1,30 dollari per euro. Tenendo il titolo a scadenza, anche con un differenziale di tasso di un punto percentuale per sei anni, si finirebbe per perdere rispetto al Btp se l’euro recupera più del 6% del proprio valore sul dollaro. Secondo, sei tassi Usa, come si prevede, dovesse aumentare questo o il prossimo anno e si dovesse aver bisogno di vendere in anticipo, il prezzo di vendita sarebbe inferiore a quello di acquisto. L’investimento in dollari era una ottima idea quando l’euro era forte

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La Fed ridà speranza alle borse

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Scritto il 19.03.2015

MF a pag. 17 di Lucio Sironi Piazze europee timorose in attesa di indicazioni della banca centrale americana. Giornata di attesa sui mercati europei in vista dell’appuntamento serale con la Federal Reserve chiamata a decidere le proprie mosse di politica monetaria. Wall Street ha reagito bene con un rialzo dell’1,27%, al fatto, peraltro atteso, che la Banca Centrale non sia più definita “paziente” in materia di tassi di interesse, aprendo così la strada a una probabile stretta monetaria. Ma per evitare di mettere in allarme gli investitori, la Fed ha chiarito che un aumento del costo del denaro ad aprile è improbabile (in realtà i timori generali sono per un rialzo a giugno) e che “sarà appropriato alzare i tassi quando (la Fed) avrà visto un ulteriore miglioramento nel mercato del lavoro e quando sarà ragionevolmente fiduciosa che l’inflazione tornerà all’obiettivo del 2% nel medio termine”.

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Bond la caccia al l`high yield diventa meno pericolosa

Scritto il 16.03.2015

CORRIERECONOMIA a pag. 35 di Pier Emilio Gadda Nei prossimi 12 mesi, il 15% degli emittenti high yield europei sarà promosso dall’universo speculativo a quello di migliore qualità, l’investment grade. Per Iain Stealey, head of global aggregate strategies di jp-Morgan am, è soltanto una delle ragioni per essere ottimisti sulle obbligazioni ad alto rendimento del Vecchio Continente. L’euro debole rende più competitive le aziende vocate all’export. Il crollo delle quotazioni petrolifere ridà fiato all’economia dei Paesi importatori. Diversi indicatori macroeconomici segnalano un consolidamento della ripresa e il programma di allentamento monetario potrebbe favorire la riattivazione del credito. Non stupisce perciò che gli investitori internazionali stiano riposizionandosi proprio sugli High yield europei. Qualcuno fa notare però che rendimenti vicini al 3,5% sono troppo magri per essere definiti “High yield”, ma vanno, contesta Stealey, confrontati con tassi a zero. I bond Usa ad alto rendimento pagano di più circa il 6%.Ma è sbagliato metterli a confronto con gli emittenti europei, il rating medio del paniere americano, infatti è B, inferiore a quello europeo, giudicato BB.

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