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QUANTO DURERÀ L’INFLAZIONE?
Scritto il 06.12.2022In un articolo del gennaio 2021 avevo indicato come vi fossero 3 motivi principali per cui avremmo potuto avere un aumento dell’inflazione: politiche fiscali globali fortemente espansive di portata storica, riduzione di alcuni fattori disinflattivi presenti negli ultimi decenni, volume degli interventi delle banche centrali senza precedenti. L’inflazione è poi effettivamente arrivata ma con una rapidità e una forza oltre le previsioni e il necessario. Se da un lato, infatti, i livelli d’inflazione intorno al 2% annuo sono auspicabili (non a caso sono spesso citati come i target di politica monetaria delle banche centrali), soprattutto per i paesi con un elevato debito pubblico, dall’altro livelli eccessivi, come gli attuali a doppia cifra, rappresentano una tassazione occulta e fortemente regressiva in quanto colpiscono maggiormente le fasce meno abbienti della popolazione, creando forti problematiche di consenso politico per i governi e, nei casi estremi, disordini sociali come quelli registratisi in diverse occasioni storiche nei paesi del Nord Africa. A che punto siamo quindi nel percorso di riduzione dei livelli d’inflazione e cosa possiamo attenderci per i prossimi anni? Il trend di breve dell’inflazione I dati più recenti mostrano i primi segnali di rallentamento dell’inflazione negli Stati Uniti. Il dato, pubblicato il 10 novembre, con un’inflazione su base annua al +7,7% contro le attese del 7,9%, ha subito messo il turbo ai mercati azionari facendo leva su maggiori speranze che la Fed possa iniziare a limitare i rialzi sui tassi. Anche in Europa si è visto un primo segnale incoraggiante di discesa dell’inflazione, dal 10,6% di ottobre al 10% di novembre, registrando la prima riduzione dopo 17 aumenti consecutivi. Il trend di discesa è stato, indubbiamente, favorito da un calo delle quotazioni del petrolio, passato dai quasi 100 dollari d’inizio novembre agli 80-85 attuali. Questo è anche in linea con l’avvicinarsi del rallentamento economico globale, poiché in periodi di recessione i prezzi del petrolio raggiungono i 65-70 dollari al barile. Tuttavia, da questo punto di vista, la potenziale riapertura delle attività in Cina, con un abbandono della politica zero Covid, sempre più osteggiata dalla popolazione, potrebbe sostenere i prezzi del greggio e quindi rallentare non poco la discesa dell’inflazione dai suoi picchi. Le stesse politiche monetarie di rialzo dei tassi d’interesse proprio per combattere l’inflazione possono a loro volta, paradossalmente, rallentare la discesa dell’inflazione. Negli USA, ad esempio, uno dei maggiori contributi all’inflazione nel 2022 è stato il costo degli affitti, che tuttavia sono stati spinti in alto da coloro che, dopo il forte aumento dei costi dei mutui, sono stati costretti ad abbandonare eventuali piani di acquisto di un alloggio, ripiegando sulla locazione. Un fattore importante è anche svolto dal ruolo delle aspettative: più a lungo l’inflazione rimane elevata, più a lungo sia aziende sia consumatori si aspettano che possa continuare a rimanere elevata in futuro, generando quindi richieste di adeguamenti contrattuali e salariali e creando una pericolosa spirale di prezzi, salari e aspettative crescenti. Analisi storiche Un recente studio di Deutsche Bank, che ha preso in considerazione 318 osservazioni, a partire dal 1920, su mercati sviluppati e mercati emergenti, conclude che una volta che il tasso d’inflazione ha superato l’8%, in media ci vogliono almeno 2 anni per farlo scendere sotto il 6%, livello intorno al quale tende a stabilizzarsi fino a 5 anni dopo lo shock iniziale, un valore mediamente più elevato di 200 punti base rispetto alla mediana del 4% di inflazione pre-shock. Se dovessimo traslare queste considerazioni sulla situazione italiana, ad esempio, anche considerando valori iniziali eccezionalmente bassi, come un’inflazione media sotto 1% nel quinquennio 2021-2017, difficilmente potremmo ipotizzare un’inflazione sotto il 3% nei prossimi anni. Questi dati sembrano essere confermati da un’analisi della Bank of England secondo la quale, negli ultimi 5 secoli, quando la core inflation (l’inflazione al netto delle componenti più volatili quali il costo dell’energia e degli alimentari) su mercati sviluppati ha superato il 5% per oltre 12 mesi, ci sono voluti almeno 10 anni per riportarla sotto il 2%: a volte sono stati necessari fino a 30 anni, e solo in una circostanza, nel secolo scorso, ci sono voluti meno di 5 anni. Persistenza delle cause strutturali In sintesi, queste riflessioni e analisi vogliono sottolineare come non sia semplice e veloce riportare l’inflazione sotto controllo una volta che questa è sfuggita di mano. Se, infatti, torniamo ai 3 fattori chiave che hanno generato inflazione negli ultimi 2 anni, possiamo notare come permangano ancora gli effetti della maggior parte di loro. La politica fiscale fortemente espansiva tramite trasferimenti diretti a famiglie e imprese di risorse pubbliche, insieme all’impossibilità di spesa durante il Covid, ha creato riserve di liquidità che ancora sostengono i consumi sul mercato americano, in aggiunta ad un mercato del lavoro che non accenna a rallentare. Ai fenomeni del reshoring, del decoupling delle catene produttive, della transizione verde, ossia tutti fenomeni inflattivi, si sono aggiunti quelli delle difficoltà delle catene produttive e degli shock energetici legati al conflitto in Ucraina con conseguenze, non solo nel breve periodo ma soprattutto nel lungo, in quanto i nuovi assetti geopolitici richiederanno una maggiore autarchia in campo energetico, alimentare e tecnologico da parte di molti paesi, riducendo quindi la globalizzazione e contribuendo a sostenere l’inflazione. L’unica inversione si è registrata sulla politica monetaria con un forte rialzo dei tassi di interesse, non ancora terminato, e una riduzione dei bilanci delle banche centrali, azioni che comunque richiedono del tempo per potersi tradurre in effetti sull’economia reale e che porteranno ad una probabile recessione nel 2023. Come ha commentato Davide Serra, fondatore di Algebris, il mondo è fatto per avere un’inflazione del 2-3% annuo, in media. Avendo avuto un’inflazione quasi zero negli ultimi 10 anni, un 3-4% annuo per il prossimo decennio non farebbe che riequilibrare la media del lungo periodo. In sostanza, un’inflazione così bassa e così a lungo è stata un’anomalia che dovrebbe essere riassorbita nei prossimi anni. Analisi grafica dei mercati Obbligazionario Dal 23 ottobre, data dell’ultimo articolo in cui consigliavo acquisti sui ribassi dell’obbligazionario, si è avuto un forte rimbalzo del prezzi del BTP che hanno reso il 10% in poco più di un mese. Azionario Anche l’azionario ha performato molto bene dal 23 ottobre, con un rialzo massimo del 9% andando anche oltre l’area di probabile sosta indicata a 3900-4000 punti. Come si nota dal grafico settimanale, tuttavia, il trend al ribasso rimane ancora in essere mentre rappresentano un forte ostacolo i livelli 4100-4150 che invitano all’apertura di posizioni ribassiste o prese di profitto per chi ha comprato di recente e predilige un’ottica di breve periodo. Lo stesso indice Vstoxx50, che misura la volatilità sull’azionario europeo, è di nuovo nella fascia tra 25 e 20, che durante tutto il 2022, ha coinciso con massimi relativi di mercato, portando a ribassi importanti partiti in aprile e agosto. Preoccupa anche il fatto che il vvstoxx, ossia la volatilità del vstoxx, è vicino ai minimi annuali, ad indicare una probabile accelerazione della volatilità nelle prossime settimane, più probabilmente a partire da gennaio, e un calo dei corsi azionari. Conclusioni e strategie Le analisi storiche mostrano che l’inflazione ha un carattere, potremmo dire, viscoso, difficile quindi da moderare in tempi brevi e nella quantità desiderata. Questo spinge a pensare che saremo di fronte, per alcuni anni ad un’inflazione media annua più alta di quella auspicata da sempre dalle banche centrali e fissata al 2%. In questo mutato scenario le strategie di portafoglio dovranno tenere in maggiore considerazione strumenti atti a performare meglio in un contesto inflattivo. Da un punto di vista operativo, su un piano tattico di breve periodo, sia il rally obbligazionario, e soprattutto quello azionario, possono essere già venduti in attesa di nuove turbolenze che potranno manifestarsi molto probabilmente all’inizio del 2023, in quanto stagionalmente il mese di dicembre difficilmente sarà negativo. Su un piano più di lungo termine rimangono validi gli acquisti sulla debolezza, qualora si ripresentassero i prezzi interessanti visti in ottobre sulle obbligazioni in particolare, un po’ meno sull’azionario dove è più probabile attendersi nuovi minimi rispetto a quelli di ottobre.
Continua a leggereCOME INVESTIRE IN UNO SCENARIO MACROECONOMICO COMPLESSO
Scritto il 24.10.2022Il crollo contemporaneo del mercato azionario e obbligazionario degli ultimi mesi ha creato una situazione assai rara che può disorientare molti investitori. Partiamo quindi dall’analisi di ciò che è accaduto per capire come muoversi da qui in poi. Il flop del portafoglio 60/40 Uno degli elementi cardine di un investimento di successo nel lungo termine è la diversificazione, che molto spesso viene implementata con un classico portafoglio 60/40, ovvero il 60% investito in obbligazioni e il 40% in azioni. Dai dati storici sul mercato americano degli ultimi 100 anni, solo nel 1931, 1941, 1969 si erano avuti rendimenti negativi su entrambi i comparti a fine anno. In aggiunta, la performance finale del portafoglio bilanciato (-29% nel 1931, -8% nel 1941, -7% del 1969) era dovuta principalmente alla componente più rischiosa, quella azionaria, mentre la componente obbligazionaria non era andata oltre il -5% (nel 1969), assolvendo alla sua funzione storica di riduzione del rischio/volatilità. Il 2022, a poco più di due mesi circa dalla sua conclusione, si presenta invece come un unicum degli ultimi 100 anni, con una performance della parte obbligazionaria di -17%, mai verificatasi in precedenza, accompagnata da -23% della componente azionario. Era tutto ciò prevedibile? Premesso che nessuno prevede il futuro, tutto ciò era sicuramente probabile ed evitabile per un investitore, come avevo scritto in un precedente articolo ( “Portafoglio 60/40? No Grazie. Troppo rischio e poco rendimento” del 2 ottobre 2020) mettendo in guardia dal rischio sulla componente obbligazionaria. Infatti, il 2021 si è poi concluso con oltre un -4% sul comparto del reddito fisso, cosa già rara, mentre la performance del portafoglio è stata salvata solo dall’ottima performance dell’azionario, spinto ancora dagli impulsi eccezionali sul piano fiscale e monetario post covid, premesse, tuttavia, dell’esplosione dell’inflazione che ha portato le banche centrali, oggi, a fare marcia indietro sulla politica monetaria, innescando vendite massicce sulle obbligazioni. Il rialzo repentino dei rendimenti ha quindi generato una correzione anche sul lato azionario, soprattutto sulla parte azionaria dei titoli growth, più sensibili ai tassi di interesse (ad oggi il Nasdaq è sceso del 33% contro il 23% dell’S&P500), affossando completamente la performance del classico portafoglio 60/40 che, non a caso, registra la peggiore performance degli ultimi 100 anni. Dove va l’inflazione Appare quindi evidente che tutto ruota intorno al dato dell’inflazione. Cosa possiamo dire a riguardo? Secondo la casa di investimento Algebris il calo dell’inflazione in US non tarderà ad arrivare. I dati del periodo estivo mostrano una riduzione dei colli di bottiglia dal lato dell’offerta mentre l’inflazione sul lato degli affitti sembrerebbe aver toccato il picco. A livello globale si assiste a una riduzione dei prezzi, su base trimestrale, delle materie prime (eccetto il gas) mentre il petrolio è sceso di circa il 30% dal picco di giugno. La società si attende un 7% d’inflazione a fine anno, con l’inflazione core al 5,5%. Attualmente i mercati prezzano dei tassi d’interesse terminali del 5% per la FED e del 3% per la BCE. Se il rallentamento della crescita inflattiva fosse confermato dai dati delle prossime settimane/mesi i tassi terminali non sarebbero superati. In Europa la situazione è più complessa in quanto una larga parte dell’inflazione è legata al costo del gas. L’ipotesi di base è che il rallentamento dell’inflazione possa essere più lento in Europa anche se va notato, da un lato, il forte calo dei prezzi del gas dal picco di agosto, dall’ altro il recente accordo a livello europeo sul tetto al suo prezzo, l’ultima vittoria di Draghi in UE, che potrebbe contribuire a ridurre ulteriormente l’elemento speculativo e calmierare la spinta inflazionistica. La quasi certa recessione in Europa (il Fondo Monetario Internazionale ha già stimato per il 2023 una contrazione del PIL in Italia dello 0,2% e dello 0,3% in Germania) e il rallentamento/recessione negli USA nel 2023 dovrebbero dare il contributo finale alla lotta all’inflazione, permettendo alle banche centrali di fermare la corsa al rialzo dei tassi d’interesse, cioè quello che sarebbe il vero elemento positivo sia per il mercato obbligazionario sia per quello azionario. Pazienza e lucidità Un’interessante analisi della casa di investimento T.Rowe Price indica come, con riferimento al mercato azionario, in questa particolare fase di mercato, potrebbe pagare avere maggiore pazienza. Dalla loro analisi delle precedenti flessioni di oltre il 15% dai massimi del mercato azionario americano dal 1928, gli investitori avrebbero potuto migliorare i rendimenti del proprio portafoglio nei 12 mesi successivi sia che si fosse entrati 3 mesi prima o dopo il punto di minimo del mercato. Questa è una conclusione che molti addetti ai lavori conosco: quando ci sono cali importanti sull’azionario inutile cercare di individuare il minimo ma iniziare a comprare premia sempre successivamente, anche se lo si fa con un po’ di anticipo o ritardo. Tuttavia, andando a selezionare storicamente quelle situazioni di mercato passate più simili a quella attuale, ossia cali del mercato azionario con inflazione e tassi di interesse in aumento, in particolare nel 1970, 1974, 1982, 1987 e 1990, si nota come permanga il miglioramento dei rendimenti futuri di un portafoglio bilanciato (passaggio da 60/40 a 70/30) per coloro che fossero entrati 3 mesi dopo il minimo di mercato mentre sia presente una riduzione per coloro che fossero entrati 3 mesi prima. In una parola: in situazioni storiche più vicine a quella attuale, conviene attendere più del solito prima di incrementare le posizioni sull’azionario. Anche un broker come Beremberg conferma questo approccio indicando che una recessione non è ancora prezzata e che un valido segnale di timing sul mercato azionario globale negli ultimi 50 anni si è avuto con rapporti prezzo/utili sotto le 10 volte, contro un valore attuale di 11,3. Analisi grafica L’analisi grafica su S&P500 (sebbene manchi ancora una settimana alla conclusione del mese) mostra il tentativo di recuperare i minimi di giugno/luglio. Era facile prevedere la rottura di questi minimi in quanto a inizio estate non si parlava più di tanto di recessione e l’inflazione non sembrava così persistente. Da notare come i valori minimi toccati a fine settembre e ottobre siano nella fascia 3500-3600, quella che avevo indicato in un articolo di febbraio (“Mercato azionario: cosa e quando comprare”) come un valido punto d’ingresso. La correzione dai massimi ad oggi è meno del 30%, che si confronta con media storica dei drawdown del 35% nelle fasi di recessione. Alla luce di questo è possibile stimare un potenziale minimo successivo in area 3250, in cui si avrebbe una correzione dai massimi di oltre il 30%. L’ipotesi più pessimistica, di cui attualmente non si vedono segnali ma che può essere considerata a livello statistico, sarebbe di un calo massimo del 50%, come nel 2008 o nel 1974, con l’indice che potrebbe andare proprio in area 2400, a ritestare i minimi grafici del 2018 e 2020. Riguardo al rialzo/rimbalzo delle ultime settimane, che sembra essere guidato molto da prese di profitto di chi ha scommesso al ribasso, difficilmente potrà andare oltre i 3900-4000, ossia un altro +5% dai prezzi attuali. Strategie di acquisto Azionario: come abbiamo visto nel grafico sui drawdown storici, situazioni di calo dei mercati intorno al 25/30% capitano raramente sui mercati e bisogna saperne approfittare. Coloro che sono già nell’azionario o che utilizzano PAC da diversi anni possono incrementare gli acquisti o, per i più prudenti, attendere altri cali. Per coloro che invece avessero iniziato un PAC da pochi mesi, quindi in un mercato in discesa, non rimane che pazientare e seguire il piano di acquisto, in particolare sulle estremizzazioni dei ribassi. A coloro che invece fossero entrati con larga parte o la quasi totalità del capitale sull’azionario a inizio anno…magari consigliati anche da qualche consulente…consiglio di armarsi di grandissima pazienza e provare a contattare persone di maggiore professionalità. Obbligazionario: è possibile un’ulteriore riduzione delle quotazioni nelle prossime settimane/mesi ma un tetto ai rendimenti, e quindi alla riduzione dei prezzi, sembra più vicino sia temporalmente sia in termini di valore finale rispetto al mercato azionario. Opportuni quindi gli acquisti sui ribassi con la possibilità che l’innesco di una recessione nel primo trimestre del 2023 possa comportare un’inversione dei prezzi al rialzo entro i prossimi 5-6 mesi al massimo. Rischi all’orizzonte Il principale fattore d’imprevedibilità sul quadro macroeconomico rimane il conflitto in Ucraina. La recente riconferma di Xi Jinping quale leader cinese e l’impegno ad apportare delle modifiche alla Costituzione del partito per opporsi formalmente all’indipendenza di Taiwan potrebbero portare novità nelle prossime settimane riguardo al conflitto: la Cina appoggerà maggiormente la Russia nel conflitto in Ucraina, al fine di distrarre il più possibile gli Stati Uniti sul versante europeo e renderli meno pronti sul lato del pacifico, oppure Xi sarà più conciliante e diplomatico al fine di salvaguardare i rapporti commerciali con il resto del mondo, cruciali come non mai considerando il rallentamento dell’economia cinese dovuto, tra l’altro, alla politica di tolleranza zero sul covid e i problemi del mercato immobiliare? Anche il meteo sarà una variabile da monitorare nei prossimi mesi: un inverno molto rigido potrebbe creare razionamenti del gas in alcuni paesi con tensioni sociali e politiche accompagnate da maggiori costi a livello economico. Guardando più a livello nazionale, ci sarà l’esordio di un nuovo governo in Italia con novità storiche, sia nella collocazione politica che nella leadership. Eventuali mosse incaute sia a livello nazionale che europeo non potranno non avere effetti su economia e coesione all’interno della UE. In questo senso quanto accaduto pochi giorni fa in UK, dove una clamorosamente errata iniziativa di politica economica ha costretto la nuova premier alle dimissioni, sarà sicuramente di insegnamento per il nuovo governo al fine di adottare misure ben ponderate e ragionate e prive di ideologie, in particolare considerando quanto l’Italia sia un sorvegliato speciale da parte della BCE per il suo alto livello di debito pubblico.
Continua a leggereLO SHOCK DEI TASSI D’INTERESSE E COME BENEFICIARNE
Scritto il 13.06.2022L’annuncio della BCE, che la scorsa settimana ha fortemente scosso i mercati obbligazionari e azionari, di una politica di rialzo dei tassi di interesse in maniera graduale ma sostenuta in Europa a partire da luglio non è altro che il finale di un romanzo i cui primi capitoli potevano già essere letti un paio di anni fa. In un precedente articolo dell’ottobre 2020 sui rischi di un portafoglio 60% azionario/40% obbligazionario scrivevo: “E’ indubbia, a mio parere, la trasformazione della componente obbligazionaria da mitigatrice ad amplificatrice del rischio (inteso in questo caso come massimo drawdown) e volatilità dell’intero portafoglio, sia esso un 60/40 e ancor di più un risk parity.” Nell’articolo riportavo anche la valutazione della società di investimento Algebris secondo cui “una delle cose più pericolose da avere in portafoglio in questo momento sono le obbligazioni governative a lunga scadenza sia per un rischio inflazione sia per un possibile modifica delle aspettative macroeconomiche”. La Santa Barbara era piena di esplosivo, mancava solo la miccia per far esplodere il tutto, che si è dimostrata essere poi l’inflazione. In un successivo articolo del gennaio 2021 mettevo in guardia sul fatto che l’inflazione, ormai un desaparecido da anni, potesse questa volta palesarsi: “Perché quindi, ci si chiede, questa volta dovrebbe essere diverso? Per tre motivi principali: le politiche fiscali ampiamente espansive a livello globale che in passato non abbiamo avuto, la possibile riduzione di alcuni fattori disinflattivi presenti negli ultimi decenni, il volume degli interventi delle banche centrali che non ha precedenti, nemmeno nella crisi del 2008-2009”. L’azione delle banche centrali Attualmente la BCE si sta accodando alla politica di rialzi dei tassi della Federal Reserve, già partita mesi fa, che ha portato ad una correzione dei prezzi delle obbligazioni governative USA del 12%, il maggiore crollo di sempre nel primo semestre. Nel giro di pochi mesi la percentuale di obbligazioni a livello globale con rendimenti negativi è passata dal 20% al 4%. Nello specifico, se da un lato la BCE ha annunciato un rialzo di 25 punti base a luglio (probabilmente 50 bps a settembre), un’inflazione stimata a quasi il 7% nel 2022 (3,5% nel 2023 e 2,1% nel 2024) e tassi di crescita del PIL rivisti al ribasso (2,8% nel 2022 e 2,1% nel 2023), dall’altro l’assenza di dettagli su uno scudo antispread per i paesi periferici ha diffuso il panico tra gli investitori, riportando al centro dell’attenzione il grande debito pubblico italiano e la sua sostenibilità. Le analisi delle case di investimento sui rialzi dei tassi Gli investitori, infatti, temono il perdurare di alti tassi di inflazione e il dover rincorrere della BCE fa temere per rialzi del costo del danaro anche oltre le attuali previsioni. Gli analisti di Goldman Sachs (“GS”), ad esempio, ipotizzano un possibile punto di arrivo del rialzo dei tassi a quota 1,5% nel giugno del 2023 che potrebbe spingersi, eventualmente, fino al 2%. Secondo le analisi dell’investment house Schroders di sono 3 motivazioni per il perdurare dell’inflazione: 1) Il perseguimento della politica zero covid in Cina, i cui pesanti lockdown hanno generato colli di bottiglia nelle catene globali di approvvigionamento creando riduzioni dal lato dell’offerta; 2) I prezzi delle materie prime di energia, alimentari e fertilizzanti rimangono elevati in seguito al conflitto in Ucraina; 3) L’inflazione nel settore dei servizi continua a crescere in seguito alle riaperture post covid e la sua alta intensità di manodopera rischia di essere il motore nella spirale di rialzo salari-prezzi. L’approccio seguito dalle banche centrali quindi è quello di sacrificare la crescita economica pur di riportare sotto controllo l’inflazione. Seppure i rischi di una fase recessiva siano in aumento, le aspettative di crescita del PIL rimangono del 3,3% a livello globale mentre, come evidenzia un’analisi di GS, delle 12 fasi di mercato ribassista verificatesi dopo la seconda guerra mondiale, 4 di queste non hanno coinciso con una recessione, registrando un drawdown (escursione dai massimi ai minimi) del 28% (il 35% mediano nelle fasi in cui, al contrario, c’è stata una recessione). Lo scenario di base di GS prevede una fase di mercato ribassista di breve durata senza il verificarsi di una recessione. Secondo Algebris, nonostante i mercati del credito e azionario sembrino prezzare una recessione nel breve periodo, la probabilità di recessione, calcolata ad aprile in base ai loro modelli, si attestava al 30%, in linea con la probabilità di qualsiasi altro mese, mentre era maggiore nel medio periodo, ossia il 60%-65% sui 24-36 mesi. Questo fa loro concludere che il principale rischio sui mercati obbligazionari e azionari sia l’inflazione e non la recessione che, al contrario, solo un distacco dal gas russo nei prossimi mesi potrebbe anticipasi al 2022-2023. Riguardo alla loro analisi del debito pubblico italiano, si ricorda come circa il 30% dell’intero stock è attualmente detenuto dalla BCE e che questa interverrà con misure di contenimento degli spread solo al raggiungimento di soglie di emergenza. Quali interessanti spunti possono derivare dalle analisi fin qui fatte? Mercato obbligazionari Quanto accaduto negli ultimi mesi sui mercati obbligazionari ha finalmente riportato verso condizioni di maggiore equilibrio i prezzi delle obbligazioni alterati da anni di politiche di quantitative easing, rendendo di nuovo attraenti le obbligazioni americane IG e HY (quest’ultime con rendimenti del 7%). Guardando all’Italia, i rendimenti del BTP decennale sfiorano il 4%, mentre anche su scadenze di 2-3 anni è possibile spuntare tassi oltre il 2%. Se quindi, fino a solo un anno fa, un investimento sul BTP decennale generava un piccolo rendimento a fronte di un rischio di rialzo dei tassi elevato (e quindi di potenziali perdite in conto capitale per i titoli non portati a scadenza), attualmente i rendimenti sono molto più interessanti e compensano molto meglio per ulteriori cali dei prezzi che si avvicinano sempre più ad una soglia di intervento antispread da parte della BCE. Inoltre, lo shock inflattivo e la conseguente aggressività nel rialzo dei tassi nel breve periodo possono portare ad un appiattimento della curva dei rendimenti con maggiori rialzi dei rendimenti soprattutto sulle scadenze di breve e un minore effetto sulle scadenze di lungo penalizzate da previsioni di minore crescita prospettica, frutto delle politiche monetarie più restrittive della BCE. La maggiore attrattività del mercato obbligazionario può quindi sintetizzarsi con un passaggio da un approccio TINA “There is no alternative”, ovvero non c’è alternativa valida all’azionario, ad un approccio TARA “There are reasonable alternatives”, ovvero ci sono di nuovo delle alternative interessanti. Se, quindi, negli ultimi anni l’approccio più corretto per investire sui mercati obbligazionari era usare delle gestioni separate o fondi obbligazionari con duration molto limitata, fermo restando la loro validità, le nuovi condizioni di mercato permettono di esplorare nuove opzioni. Mercati azionari Guardando al mercato azionario notiamo come la massima correzione dai record del novembre 2021 sia stata per il Nasdaq del 30%, di circa il 21% per S&P500 e del 25% per il FTSEMIB italiano. La peggiore performance dei titoli tecnologici si spiega con il fatto che le loro quotazioni sono più sensibili ai rialzi dei tassi che, spinti dalla lotta all’inflazione, stanno guidando l’attuale correzione sui mercati obbligazionari ed azionari. Abbiamo ricordato prima come le correzioni, in media, nelle fase recessive, si attestino intorno al 30-35% dai massimi. E’ interessante notare che nel recente sondaggio di Bloomberg tra gli operatori finanziari, il gruppo più ampio di questi, circa il 30%, stima il livello di minimo dell’S&P500 nel 2022 intorno ai 3600-3400 punti, ovvero circa un 10% in meno rispetto ai livelli attuali, mentre un ulteriore 14% prevede un minimo intorno ai 3200-3400. In sintesi, potremmo concludere che oltre il 40% degli operatori farebbe acquisti sul mercato azionario, sulla base delle condizioni economiche e geopolitiche ad oggi note, su ribassi tra il 10% e il 15% rispetto ai valori attuali.Ricordo come, in un articolo di inizio febbraio, stimavo un interessante punto di acquisto sull’S&P500 a 3500-3600, ben prima di questo sondaggio…
Continua a leggerePESTE, GUERRA E CARESTIA
Scritto il 10.05.2022Peste, guerra e carestia. Sembra una frase che eravamo abituati a leggere a scuola solo sui libri di storia, invece è tornata molto attuale anche in questi giorni. Con la fine della fase emergenziale del covid e i problemi sulle catene di approvvigionamento da questo causato, la forte ripartenza dell’economia mondiale aveva già creato pressioni inflazionistiche sulle materie prime, dal petrolio, ai metalli, ai prodotti agricoli.Lo scoppio del conflitto in Ucraina sta ora amplificando l’effetto inflazionistico generale, in particolare riguardo ai prodotti agricoli, il cui forte aumento dei prezzi può avere conseguenze geopolitiche destabilizzanti, soprattutto nei paesi più poveri dell’Africa fortemente dipendenti dalle importazioni di cibo. Su questa situazione si inseriscono anche fattori climatici e congiunturali specifici non favorevoli. Durante il 2021 una forte siccità ha ridotto la produzione di grano primaverile negli USA e in Canada, mentre alluvioni da record in Cina hanno danneggiato e ritardato la semina del grano su circa un terzo della superficie coltivabile destinata, provocando un aumento dei prezzi del grano sui mercati internazionali. L’Ucraina fornisce oltre il 10% di tutte le esportazioni globali di grano, il 14% di mais, il 17% di riso e il 51% di olio di girasole. Il conflitto ha generato conseguenze nell’immediato limitando i trasporti e provocherà problematiche future sulle coltivazioni. Secondo i dati della Banca Mondiale, circa il 90% delle esportazioni di grano avvenivano tramite i porti del Mar Nero e si stima che solo meno della metà delle esportazioni ucraine annuali possa transitare via terra considerando i rallentamenti e i danni alla rete stradale e ferroviaria e comunque a costi maggiori che in passato, considerando anche gli incrementi dei premi assicurativi sui carichi. La situazione militare, inoltre, sta fortemente condizionando il raccolto per il prossimo anno. Il mais (per il quale il Dipartimento dell’Agricoltura USA (USDA) in marzo stimava una riduzione delle esportazioni del 18% nel 2022), la soia e il girasole sono piantati in aprile-maggio, mentre il grano nel periodo da settembre a metà novembre. La mancanza di forza lavoro, carburante, fertilizzanti, la distruzione di attrezzature agricole e i rischi legati alla sicurezza ridurranno la produzione agricola per la prossima stagione tra il 25% il 50% secondo i dati riportati della Banca Mondiale. In base ai dati USDA le aree di maggiore produzione di grano sono quelle di Charkiv, Dnipro, Zaporizhia e Odessa (nell’est e nel sud del paese), mentre la produzione di mais si concentra nelle regioni di Poltava, Sumy e Chernihiv (nel nord-est). Poiché si tratta quasi sempre di aree caratterizzate da un forte scontro militare, è facile immaginare quanto questo possa condizionare i raccolti per il prossimo anno. Secondo la FAO tra il 20% e il 30% della superficie ucraina coltivata a cereali invernali, mais e semi di girasole non verrà seminata o rimarrà senza raccolto durante la stagione 2022/23. Ulteriori problematiche future potrebbero derivare dalla perdita di terreno coltivabile in seguito ai bombardamenti e alla riduzione di fertilità del suolo. In aggiunta ad una ridotta produzione, bisogna considerare anche i costi aggiuntivi di quella realizzata e gli impatti anche sulle altre componenti della catena alimentare. La Russia è il più grande esportatore mondiale di fertilizzanti, i cui prezzi già fortemente cresciuti nel 2021, sono schizzati nel 2022 ai massimi storici. Sebbene a livello mondiale le importazioni dei vari paesi (con piccole eccezioni quali Serbia, Azerbaijan, Moldova, Finlandia) sono abbastanza diversificate, quindi non c’è un rischio di forniture dirette dalla Russia, prezzi assai alti produrranno un inevitabile aumento dei costi di produzione (USDA stima che i fertilizzanti rappresentino storicamente il 35% del costo marginale di produzione di grano e mais). Mais e orzo sono molto utilizzati nell’allevamento del bestiame (ad esempio, il mais rappresenta circa il 60% del costo di allevamento dei polli) e l’aumento dei loro prezzi va ad influenzare anche il costo delle carni di maiale, pollo, tacchino. Un effetto geopolitico non trascurabile di una minore disponibilità e a maggiori prezzi di prodotti agricoli è legato alle problematiche di carattere sociale nei paesi più poveri, in particolare nel Nord Africa. L’Algeria è in maggior importatore di cibo in Africa con il 75% del totale del suo fabbisogno, mentre la Tunisia è al 70% e il Marocco a oltre il 50%. In termini di maggiore dipendenza diretta dall’Ucraina, i principali paesi sono Libano, Tunisia ed Etiopia con, rispettivamente, il 64%, 49% e 31% delle loro importazioni di grano. Anche Egitto, Mauritania, Marocco, Uganda e Giordania ricevono dall’Ucraina più del 20% di tutte le loro importazioni. Tensioni sociali in queste aree, legate a un aumento del prezzo del grano, non sono una novità come ci ricordano le “rivolte del pane” in Egitto nel 1977, lo sciopero generale in Marocco nel giugno del 1981, le rivolte in Tunisia del 1983-84, senza dimenticare le primavere arabe iniziate in Tunisia a fine 2010 e allargatesi nel Medio Oriente e in Nord Africa nel 2011. Infatti, al fine di prevenire tensioni sociali, i prezzi dei principali beni alimentari sono calmierati da parte dei governi. Tuttavia, come ci ricorda l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), aumentano i timori sulla effettiva capacità di tali governi nel continuare a fornire sussidi adeguati per calmierare i prezzi nel lungo termine proprio a causa del limite ai budget pubblici, la lenta ripresa economica dopo la pandemia, l’effetto del conflitto in Ucraina, le problematiche dei cambiamenti climatici sulle produzioni agricole mondiali.I segnali di allarme sono già evidenti. In febbraio il primo ministro egiziano ha annunciato che aumenterà il prezzo del pane per la prima volta dagli anni ’80. In Algeria ci sono stati mesi di protesta da parte dei panettieri che hanno visto ridursi i propri margini di profitto mentre in Marocco migliaia hanno protestato per l’aumento dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità. Ovviamente l’effetto inflattivo sui generi alimentari coinvolge anche i paesi più ricchi: in Grecia di recente in migliaia hanno protestato per chiedere un aumento dei salari contro l’inflazione, in Francia la Le Pen ha guadagnato consensi nelle periferie proprio sul tema dell’aumento del costo della vita, nel Regno Unito il premier Johnson è stato recentemente sconfitto nelle elezioni legislative locali in presenza di un’inflazione ai massimi degli ultimi 30 anni, mentre in Italia l’ultimo decreto del governo ha finanziato un bonus di 200 euro contro il carovita per tutte le categorie sociali con redditi sotto i 35mila euro. Negli USA la voce “cibo” contribuisce al 15% del paniere dell’inflazione (5% il carburante) e una simile composizione si riscontra nei paesi europei. L’aumento dei costi delle materie prime alimentari ed energetiche spingerà quindi l’inflazione anche per i prossimi mesi. E’ evidente che, se nei paesi maggiormente sviluppati e ricchi, il forte livello di risparmio, aumentato nel periodo pandemico, contribuirà ad attenuare gli effetti di disagio sociale sulla popolazione, con i governi focalizzati maggiormente su politiche redistributive in favore delle fasce sociali più deboli, nei paesi più poveri, i cui governi sono già gravati da restrizioni di budget (secondo la Banca Mondiale, poco prima che scoppiasse il conflitto in Ucraina, circa il 60% dei paesi più poveri erano già in difficoltà legate al debito pubblico o ad alto rischio di avere difficoltà ad esso connesso), i problemi economici e sociali saranno molto maggiori. Cosa dunque aspettarci relativamente a questa crisi alimentare nel prossimo futuro? Un report della Banca Mondiale ci ricorda come, negli ultimi 50 anni, ci siano state 2 crisi alimentari di un certo rilievo, entrambe in concomitanza di shock petroliferi. La prima nel 1972-74 (70% di aumento in termini reali del food price index della Banca Mondiale), la seconda durante gli anni 2000, all’interno di un boom dei prezzi delle materie prime (45% di incremento dell’indice tra il 2006 e il 2008). Sulla base dell’esperienza passata si andrà quindi incontro a fenomeni di sostituzione e all’arrivo sul mercato di nuovi fornitori.Alcune colture saranno sostituite con altre similari più facili ed economiche da ottenere. Prima della crisi alimentare degli anni ’70, Argentina e Brasile non avevano nessuna produzione di soia mentre oggi forniscono, rispettivamente, il 17% e il 50% della produzione mondiale. Guardando alla crisi attuale, una similitudine con le precedenti è il comune ruolo di elevati prezzi di energia e fertilizzanti nel contribuire all’aumento dei prezzi alimentari. Il fenomeno sostitutivo spiega anche le differenti variazioni dei prezzi: i prezzi dell’olio di semi di girasole sono aumentati meno rispetto a quelli del grano in quanto l’olio di semi di girasole è più facilmente sostituibile con altri prodotti simili. Relativamente alle azioni tipicamente intraprese dai governi nel passato, ovvero restrizioni al commercio e divieti di export al fine di proteggere le proprie produzioni domestiche, in questa fase sembrano essere state poco usate, anche se la Banca Mondiale ci ricorda come, maggiori restrizioni all’export dall’ Ucraina (e possibilmente dalla Russia) potrebbero portare ad un aumento di tali misure maggiormente restrittive, così come accaduto in passato. Quali sono dunque le previsioni per il 2022 e il 2023? La tabella sotto riporta le previsioni sui prezzi delle commodity da parte delle Banca Mondiale. In generale, dopo un forte aumento nel 2022 e una correzione al ribasso nel 2023, tenderanno comunque a rimanere elevati nel periodo 2023-2024 rispetto ai livelli degli ultimi 5 anni. In particolare i prezzi dei beni agricoli sono visti in aumento del 18% (il grano in particolare del 42%) nel 2022 con una riduzione di circa l’8% nel 2023 in seguito ad una maggiore produzione, soprattutto di grano, da parte di Argentina, Brasile e Stati Uniti. Sulle stime pesano ovviamente le incognite legate alla durata e agli sviluppi del conflitto in Ucraina e ai forti focolai di covid in Cina che stanno portando a estese chiusure (quali conseguenze della politica cinese di tolleranza zero nei confronti del virus) e a rallentamenti dei traffici commerciali, con centinaia di navi container bloccate davanti ai porti cinesi. In sintesi: La riduzione di forniture di grano e altri prodotti alimentari dall’Ucraina, sia quest’anno che il prossimo anno, contribuirà a mantenere elevati i prezzi dei beni agricoli di prima necessità, contribuendo a sostenere un’inflazione che avrà difficoltà a scendere, considerando anche i forti aumenti dei prezzi per le altre materie prime non alimentari. La persistenza di un’inflazione più alta e per un periodo più lungo rispetto alle aspettative complica maggiormente le scelte di politica monetaria delle banche centrali che, per lo più, stanno preferendo sacrificare parzialmente la crescita economica, vista non ancora troppo in pericolo, al fine di combattere più efficacemente l’inflazione con una politica di rialzi dei tassi. Ciò contribuisce al calo dei prezzi delle obbligazioni e a correzioni sul mercato azionario, in particolare sui titoli tecnologici (Nasdaq). Possibili tensioni sociali potranno scaturire in quei paesi del mondo più poveri, in particolare nelle zone del Nord Africa, che sono forti importatori di prodotti alimentari e i cui prezzi sono già calmierati dai governi sempre più in difficoltà sui budget nazionali a causa degli elevati prezzi dei prodotti agricoli sui mercati internazionali.
Continua a leggereCOME DIFENDERSI DA INFLAZIONE E STAGFLAZIONE
Scritto il 05.04.2022Con il termine stagflazione si intende una “fase del ciclo economico, detta anche inflazione recessiva, caratterizzata da ristagno e insieme da inflazione, ossia dal rallentamento del ritmo di espansione dell’attività produttiva accompagnato da inflazione o anche da accelerazione del tasso di inflazione.” I dati macroeconomici delle ultime settimane, che da un lato vedono un aumento dei tassi di inflazione e dall’altro una riduzione delle stime dei tassi di crescita delle varie economie nel mondo, indicano che si sta andando in quella direzione. Il conflitto in Ucraina, oltre ad aggravare il fenomeno inflattivo attraverso riduzioni, effettive o minacciate, dell’offerta di materie prime e fonti energetiche, ha creato ulteriori rischi al ribasso dei volumi del commercio mondiale abbassando le stime di crescita dell’economia. La riduzione della globalizzazione, i fenomeni del reshoring, la distruzione della global value chain sono fenomeni non transitori che, in aggiunta allo shock sulle fonti energetiche e l’impatto delle sanzioni nel conflitto tra Russia e occidente democratico, spingono verso un’ inflazione strutturalmente maggiore nei prossimi anni e minore crescita delle economie dall’altro. Per capire cosa potrebbe succedere a livello dei mercati finanziari in un tale scenario, analizziamo quanto accaduto nel passato in situazioni simili, focalizzandoci sul rischio geopolitico, di inflazione e di tasso di interesse.Come premessa vale la pena considerare che le stime di crescita del PIL in base al consensus, ovvero l’opinione della maggior parte degli operatori economici, sono comunque positive con circa il 3,5% nel 2022 per gli Stati Uniti, del 3,3% dell’area Euro e del 5,1% per la Cina, con circa il 3,2% a livello mondiale. Rischio geopolitico Come evidenziato in tabella i mercati azionari, dopo anche un iniziale forte shock, tendono a recuperare ampiamente nei mesi successivi.E’ necessario notare, tuttavia, come questa crisi geopolitica sia molto più importante di quelle verificatesi negli ultimi 30 anni e come tale potrebbe portare a correzioni dei mercati anche maggiori, anche se tuttavia non vi è alcun segnale grafico, al momento, in questo senso. E’ indubbio che l’eventuale decisione di scollegarsi volontariamente dalle forniture di gas russo potrebbe portare a ulteriori revisioni al ribasso delle stime di crescita in Europa. 2. Rischio inflazione Dall’ analisi dell’S&P500 su un periodo temporale di circa 70 anni si nota come, anche in situazioni di inflazione elevata (entro il 7%), i rendimenti del mercato azionario americano rimangono ampiamente positivi. Ciò che davvero conta è la crescita.Infatti, secondo un’ analisi di Goldman Sachs, quando il tasso d’ inflazione supera il 3% ma si rimane in un periodo di crescita, la performance del mercato azionario è mediamente del 12% annuo (7% per le materie prime) e solo in una fase di contrazione economica i rendimenti diventano negativi: -6% (-4% delle materie prime). Qual è quindi il pericolo di una recessione?Sempre secondo le analisi di GS la probabilità di una recessione è aumentata e attualmente stimata intorno al 20-30%. Relativamente all’inversione della curva dei rendimenti verificatasi di recente, ovvero con i tassi a breve (2 anni) maggiori di quelli a lungo termine (10 anni), che molto spesso anticipa le recessioni, gli analisti fanno notare come i tassi a lungo termine siano eccessivamente e artificialmente schiacciati a seguito delle forti politiche monetarie espansive post pandemia e che quindi, in condizioni normali, non ci sarebbe stato un fenomeno di inversione della curva. Ne consegue che l’attuale inversione sarebbe da considerare come un segnale previsionale debole relativamente ad una possibile recessione in arrivo. 3. Rischio di tasso di interesse Riguardo al rischio che un rialzo dei tassi di interesse, soprattutto da parte della Fed, possa portare ad una marcata correzione dei mercati, si può osservare come, durante gli ultimi 9 cicli di rialzi negli Stati Uniti, i mercati azionari abbiano comunque registrato una performance positiva (con le commodity tra i migliori asset) e che quindi appaiono eccessive le preoccupazioni in tale senso. In questo contesto quali soluzioni di investimento adottare? Due, a mio parere, le direttrici principali: 1) privilegiare settori specifici che gli eventi degli ultimi mesi confermano come promettenti per il futuro, ad esempio quello delle rinnovabili e della difesa/spesa militare(Erg +12% di performance e Leonardo +16% da inizio marzo per riprendere 2 esempi citati nel mio ultimo articolo); 2) focalizzarsi su settori che storicamente hanno ben performato in condizioni di stagflazione. In particolare il settore delle utilities, dei beni di consumo di prima necessità, l’immobiliare e quello dell’energia, ovvero settori relativi a prodotti e servizi essenziali per la vita quotidiana delle persone e poco correlati ad un rallentamento della crescita economica o che beneficiano (come il settore energetico) degli aumenti dei costi delle fonti energetiche. Infine, osservando il grafico mensile dell’S&P500 si nota la tenuta importante delle quotazioni che hanno recuperato i livelli di fine gennaio, con il movimento di marzo che ha praticamente annullato il movimento di ribasso di febbraio, come se nulla fosse accaduto negli ultimi 2 mesi. Al momento, quindi, il mercato azionario continua a mostrare un certo ottimismo anche se i rischi al ribasso delle previsioni di crescita legati alle tensioni geopolitiche e ai mercati delle materie prime sono in aumento.
Continua a leggereIL GIORNO CHE HA CAMBIATO IL MONDO. QUALI IMPLICAZIONI PER LE SCELTE DI INVESTIMENTO?
Scritto il 01.03.2022C’è un prima e un dopo. Un mondo che se ne va e uno che arriva. Il discorso di Putin del 21 febbraio segna uno spartiacque nella storia così come la caduta del muro di Berlino. In quel caso tuttavia si andava verso un mondo migliore, in questo caso sembra il contrario. Putin ha dichiarato guerra all' Ucraina, alla democrazia, ai diritti umani, alla storia. Siamo in una guerra non voluta che gli ucraini combattono con il sangue e il coraggio, noi al momento con i costi economici e sociali a cui andremo incontro. In questo momento è difficile dire come finirà il conflitto. Sappiamo con sicurezza cosa accadrà, invece, nei prossimi anni e quali saranno le implicazioni economiche e finanziarie. L’Europa si compatterà e costruirà una politica energetica sempre più di indipendenza dal gas russo con aumenti negli investimenti in rinnovabili e gas proveniente da altri paesi. Di Maio e De Scalzi, AD di ENI, sono già volati in Algeria per parlare di un rafforzamento delle forniture da quella ragione. Si pensa di aumentare il flusso del gas proveniente dall’Azerbaijan tramite il Tap. Ci sarà una rinnovata enfasi e un aumento degli investimenti e degli incentivi a favore delle rinnovabili. Un esempio banale è il forte rimbalzo del titolo Erg sul mercato azionario italiano dall’inizio del conflitto. È probabile, se non certa, la creazione di un esercito europeo di cui si parla da tempo. Questo, unito alle recenti dichiarazioni della Germania di aumentare la spesa militare nei prossimi anni, cosa che faranno molti altri paesi europei, spingerà i titoli del settore (vedi balzo di Leonardo ad esempio). Parallelamente si svilupperanno sempre più i comparti della difesa anche non militare, come la cybersecurity, rafforzando un trend già in atto. La Nato rafforzerà la sua presenza nei paesi europei dell' Est Europa e nei Baltici, attraverso una maggiore presenza sia americana che dei singoli stati europei. La globalizzazione, per come la conosciamo, rallenterà ulteriormente incrementando il fenomeno, già in atto e fortemente rafforzato dalla pandemia, del reshoring, ossia del riavvicinamento delle catene del valore all’interno di aree geografiche più ristrette se non all’intero del singolo paese. Si parla già in Italia di reinvestire maggiormente nell’agricoltura al fine di evitare una eccessiva dipendenza estera su un settore strategico come le forniture alimentari. Maggiore interdipendenza sarà accettata solo tra quei paesi che condividono gli stessi valori sociali di fondo. Nel caso dell’ Italia i regimi democratici del mondo. Ci sarà un probabile ripensamento anche della dipendenza dalla Cina e una maggiore attenzione verso i paesi dell’ Africa e dell’ America latina, alla ricerca di quelle materie prime da cui vorremo dipendere sempre meno se presenti in paesi con visione egemonistiche, leggasi Russia e Cina. Sul fronte africano, c’è da dire, siamo in ritardo in quanto i cinesi hanno già una forte presenza nei paesi africani per via della loro lungimiranza e fame di materie prime. Meno certezze al momento sull’impatto dei rifugiati ucraini in Europa. In base alla durata e alla conclusione del conflitto avremo una presenza più o meno forte di nuova forza lavoro nei vari paesi europei che andrebbe ad impattare positivamente sul riequilibrio demografico, specialmente in paesi a bassa natalità come l’Italia, ma che comunque dovrà essere gestita con una politica lungimirante di accoglienza e reciproco vantaggio. Inutile dire che se l’esodo comportasse una presenza per anni di milioni di persone che fuggono dalla guerra sarebbe un problema assai più complesso ma non credo succederà. Un fattore impossibile da prevedere al momento è in quanto tempo le pressioni economiche e mediatiche sulla popolazione e gli oligarchi russi possano spingere, addirittura, ad un cambio dei vertici al Cremlino. Il crollo del rublo, il crollo della borsa russa (anche oggi rinviata l’apertura altrimenti vedremo un -50%, -60%, -70%?), la corsa ai bancomat dei cittadini russi, le proteste, per il momento solo timide e coraggiose dei manifestanti in Russia ma crescenti, che profondità di cambiamenti porteranno sul conflitto e sui vertici russi? I costi economici e finanziari per noi occidentali sono e saranno alti ma per l’economia russa potrebbero essere letali anche in poco tempo. Si tratta di sanzioni mai viste prime e altre potrebbero seguire. Tuttavia, se volessimo spingerci a fare una previsione, potremmo dire che Putin ha già perso, avendo sottovalutato la forza dei meccanismi finanziari, mediatici e soprattutto democratici. Più che le armi sul campo deve temere i fallimenti di banche e società, la pressione degli oligarchi che vedono all’orizzonte uno stile di vita differente, la forza degli opinion leader (sportivi, artisti ecc.), un collettivo mondiale di cybercombattenti più o meno spontanei. Più aumenterà la pressione militare, più orrore vedremo, più aumenteranno le pressioni su tutti questi fronti in una lotta a chi cade a terra prima. Se anche spianasse l’Ucraina l’isolamento finanziario, economico, sociale ed interno sarebbe solo maggiore e permanente e porterebbe al collasso il paese, ossia la sua sostituzione. In sintesi, per tornare a temi più strettamente economici, le strategie d’investimento per i mesi e gli anni a venire vedono da un lato il rinforzarsi di tematiche quale le rinnovabili e la sicurezza informatica, di cui ho già parlato da tempo, dall’ altro aggiungono temi nuovi ed inaspettati quali la spesa militare e settori ad essa collegati. Venendo ad un’analisi operativa di breve periodo nell’ articolo di un mese fa scrivevo: “A meno di notizie particolarmente negative sul fronte Ucraina (che in ogni caso arriverebbero molto più probabilmente a partire dalla seconda metà di febbraio, è probabile un ulteriore recupero fino ai 4600, area da monitorare con attenzione e dalla quale potrebbe partire un nuovo movimento ribassista”. Aggiungevo anche “è possibile stimare due ulteriori punti di ingresso interessanti sul S&P500 a 4000 punti e soprattutto in area 3500-3600”. Confrontiamo il grafico previsionale di un mese fa con quello attuale. Previsione Effettivo 3 cose da notare: Il mercato è andato esattamente a ritestare l’area di 4600 da cui poi ha ripreso la discesa. Ha fatto un nuovo minimo rispetto a gennaio sfiorando il livello di ingresso ideale a 4000 punti ma praticamente centrandolo (un 2% circa di margine di tolleranza). Nonostante quanto sta accadendo, sia in gennaio che in febbraio, ha recuperato circa il 50% dai minimi del mese andando a chiudere sopra i minimi di settembre e dimostrando una buona tenuta. Previsioni per il futuro a breve? Si sprecano i grafici e le analisi su come, anche durante i conflitti, le borse, dopo un’iniziale tonfo, tendano comunque a fare più o meno bene. Per carità, tutto giusto ma conflitto o non conflitto il prossimo livello su cui entrare o incrementare gli acquisti, come già detto, rimane 3500-3600.
Continua a leggereMERCATO AZIONARIO: COSA E QUANDO COMPRARE
Scritto il 01.02.2022Il 2022 è partito esattamente come da previsioni (vedi il mio articolo del 20 dicembre 2021) ovvero rotazione da growth a value con sottoperformance del Nasdaq rispetto all’S&P500, sovraperformance dei settori energia e finanziario rispetto a quello tecnologico, importante correzione del mercato. Torniamo, quindi, sui due messaggi di fondo: quali tipologie di investimento prediligere nel lungo termine e come muoversi nel breve? L’utilità di privilegiare gli investimenti di tipo ESG e i megatrend, in particolare, quello della transizione energetica, viene confermata da due recenti analisi. In un report di Morningstar (“Global Thematic Funds Landscape”) si segnala come le masse allocate a questa tipologia di fondi siano triplicate negli ultimi 3 anni, raggiungendo i circa 600 mld di dollari, con un peso del 2,1% sugli asset globali investiti in fondi azionari e con una forte prevalenza degli investitori europei (51%) rispetto a quelli statunitensi (28%). In particolare l’accelerazione è partita nel 2020, ovvero dallo scoppio della pandemia, con un crescente interesse verso i temi legati alla tecnologia quali, ad esempio, artificial intelligence, fintech, blockchain e automazione. Andando ad analizzare le masse gestite a livello globale (dati Morningstar al 31/3/2021) si nota come le tematiche di maggiore interesse siano quelle della transizione energetica, della tecnologia e della digital economy. Un recente sondaggio effettuato da RBC Asset Management, coinvolgendo oltre 500 fund buyer e consulenti europei, di cui 103 in Italia, dimostra un crescente interesse per fondi ESG oltre che per i mercati emergenti. In particolare il 70% tra i rispondenti italiani (il 75% tra gli europei) dichiara la volontà di accrescere gli investimenti in asset ESG nei prossimi 3-5 anni, con un aumento in media del 20%. I temi di maggiore interesse sono quelli del cambiamento climatico, della scarsità delle risorse e dei progressi tecnologici. Riguardo ai mercati emergenti l’interesse a livello europeo è maggiore per l’area dell’ Asia ex-Cina (60%), Europa centrale ed orientale (53%) e Cina (36%). Vale la pena fare un commento sul settore energetico che nel 2021, così come da inizio 2022, è stato il settore con la maggiore performance. Se da un lato il peso di tale settore nel paniere azionario globale è sceso negli ultimi 10 anni dall’11% al 3,5% (con un recupero dal 3% tra il 2020 e il 2021), mentre è cresciuto moltissimo il peso del settore tecnologico (nel Morningstar Global Market Index si arriva a quasi il 21%, il doppio rispetto al decennio precedente), dall’altro va ricordato come la transizione energetica richiederà tempo e che molte aziende petrolifere, vedi Eni ad esempio, stanno diversificando nel settore delle rinnovabili. Ovviamente, per chi fosse entrato nel settore con livelli del petrolio intorno ai 20-30 USD al barile sarebbe il caso di prendere parzialmente profitto visto che attualmente viaggiamo in area 85-90. Veniamo ora ad un’analisi grafica di breve-medio periodo. Con oltre il 12% di discesa dai massimi registrati il 4 gennaio quella attuale per l’S&P500 è la prima correzione importante post pandemia. Infatti, durante il 2021 non si era mai arrivati a correzioni superiori al 6% (settembre e novembre) e bisogna risalire ai mesi di maggiore incertezza di giugno, settembre e ottobre 2020 per avere qualcosa di simile, ovvero correzioni tra l’ 8 e il 10%. Nel precedente articolo del 6 dicembre scrivevo come il primo punto di ingresso interessante sull’S&P500 fosse in area 4300-4200. A posteriori l’analisi si è rivelata corretta con il mercato che ha registrato recenti minimi in area 4220 il 24 gennaio. A questo punto cosa potrebbe succedere? A meno di notizie particolarmente negative sul fronte Ucraina (che in ogni caso arriverebbero molto più probabilmente a partire dalla seconda metà di febbraio), è probabile un ulteriore recupero fino ai 4600, area da monitorare con attenzione e dalla quale potrebbe partire un nuovo movimento ribassista. Sul grafico mensile si è creata una figura ribassista (non perfetta) di engulfing, significativa quando presente proprio all’apice di un trend crescente, come l’attuale partito da aprile 2020. Situazioni simili negli anni recenti si sono avute nell’ agosto 2015, nell’ ottobre 2018, nel febbraio 2020 e nel settembre 2021. Escludendo settembre 2021, in questi casi abbiamo avuto ulteriori discese dalla chiusura mensile a minimi successivi di almeno l’8%-9%. Va, tuttavia, fatto notare che la chiusura di fine mese è superiore di circa il 7% rispetto ai minimi di qualche giorno fa proprio ad indicare come ci siano stati molti compratori proprio in area 4200-4300 e quindi la violazione al ribasso di questo livello sarebbe negativa per la conferma del trend rialzista di lungo periodo. Anche in base a queste considerazioni, è possibile stimare due ulteriori punti di ingresso interessanti sul S&P500 a 4000 punti e soprattutto in area 3500-3600. Infine, da evidenziare che, circa una settimana fa, il premio Nobel Robert Schiller ha fatto notare come il valore del CAPE (Cyclically-adjusted price-earnings ratio) avesse raggiunto quasi i 40 punti, il secondo valore più alto dal 1880, risultando elevato anche in termini relativi rispetto a Europa (valore moderato), Giappone (ancora più moderato) e UK (basso), consigliando quindi di privilegiare altri mercati azionari rispetto a quello americano.
Continua a leggereCONSIGLI DI INVESTIMENTO PER IL 2022
Scritto il 20.12.2021Le previsioni per fine 2022 degli strategist di Wall Street relativamente al valore dell’S&P500, attualmente a circa 4600 punti, variano dai 4,400 ai 5,300, mostrando un grado di variabilità tra le varie banche di affari tra i più alti degli ultimi dieci anni. Tra i più ottimisti troviamo Credit Suisse (5200), Goldman Sachs (5100) e JP Morgan (5050); tra i più cauti Barclays (4800), Bank of America (4600) e Morgan Stanley (4400). Analizziamo più nel dettaglio alcune delle loro previsioni. Goldman Sachs (GS) continua a puntare sull’azionario seppure specificando che i rendimenti attesi potrebbero essere più contenuti a causa di valutazioni elevate, una crescita più moderata, il rialzo dei tassi di interesse ma comunque trainati da una crescita importante degli utili societari. Storicamente, infatti, nel ciclo economico, dopo una fase che può essere chiamata di “speranza” in cui è l’espansione dei multipli a generare i rendimenti, nella fase di crescita sono gli incrementi dei profitti a trainare i rendimenti, anche se attesi come più modesti rispetto alla fase precedente. Sul tema dell’inflazione GS prevede che questa si ridurrà rispetto ai valori attuali anche se con andamenti differenti tra le varie economie, rimanendo più elevata negli Stati Uniti, con valori intorno al 3% a fine 2022 e intorno all’1% in Europa. In generale GS si aspetta una crescita del mercato azionario con Europa meglio di US, un indebolimento, seppure lieve, del dollaro e una buona tenuta delle materie prime, con oro (target a 2000 dollari all’oncia) e petrolio in rialzo fino a 85-90 dollari al barile. Le previsioni di Bank of America (BofA) sono invece al ribasso. A loro parere, infatti, se da un lato il quadro di ottimismo sarebbe basato su una crescita ancora forte dell’economia, tassi reali e spread creditizi assai bassi dall’altro le loro previsioni sono per una riduzione della crescita, un aumento dei tassi reali e un allargamento degli spread di credito, tutti fattori negativi per il mercato azionario. Ancora più cauta è Morgan Stanley (MS) che vede un calo delle quotazioni sul mercato US a causa di valutazioni elevate e preferisce puntare sull’azionario europeo e giapponese. Secondo MS la sovraperformance del mercato US rispetto al resto del mondo avutasi negli ultimi anni dovrebbe venire meno a causa di una crescente incertezza sull’aumento dei costi, problematiche relative alle catene di approvvigionamento nonché cambiamenti fiscali e incertezze normative. Le loro stime per il mercato europeo prevedono un apprezzamento di circa l’8% senza contare i dividendi. I settori da privilegiare sarebbero quello finanziario, dell’energia e delle auto, ovvero legati ad un aumento dei tassi reali, oltre ai settori dell’health care e della secular technology, ovvero tematiche quali il cloud, l’intelligenza artificiale, l’internet of things ecc. trainate da aspettative di crescita nel lungo periodo. Sul petrolio le previsioni di MS vedono un valore intorno ai 90 dollari al barile nel 2022 grazie a una crescente domanda e una limitata capacità di ampliare l’offerta. Anche la casa d’investimento europea Nordea condivide che la sottoperfomance dell’azionario europeo rispetto a US che si è registrata sin dall’inizio del quantitative easing, ovvero a partire dal 2009, potrebbe rientrare venendo meno quelli che sono stati alcuni dei freni in Europa ovvero un’austerità fiscale dei bilanci nazionali e un derisking/deleveraging dei bilanci delle banche. Passando a un’analisi tecnica dell’indice S&P500 nelle ultime settimane si sono accumulati segnali di ribasso (vedi anche miei articoli del 26 Ottobre e 6 Dicembre). Tra i più recenti vale la pena ricordare un segnale raro quale l’Hindernburg Omen, che secondo alcuni studi presenta una probabilità del 77% di un ribasso maggiore del 5%, del 41% di un panic selling e del 24% di un crollo di mercato. Anche guardando alla correlazione del NAAIM Exposure Index, ovvero l’esposizione media al mercato azionario americano riportata dei membri della National Association of Active Investment Managers, con l’andamento dell’S&P 500 si nota come, spesso, in corrispondenza di valori elevati dell’indice, quali quelli attuali, ci siano state successivamente delle correzioni. Se prendiamo in considerazione il grafico mensile di uno dei più popolari ETF sull’indice S&P, si nota come la distanza dalla sua media mobile a 36 periodi sia maggiore di quanto sia accaduto nelle precedenti crisi degli ultimi 25 anni, a testimonianza del potenziale spazio di discesa in caso di una correzione importante o, da un altro punto di vista, prezzi eccessivamente elevati rispetto a questa metrica di lungo periodo. Infine alcune considerazioni del celebre fund manager John Hussman. A suo parere, sulla base del parametro che storicamente ha dato maggiore capacità di predire i rendimenti dell’S&P 500 nei successivi 10-12 anni, ossia il rapporto tra capitalizzazione delle società non finanziarie e il valore aggiunto lordo (nel 2021 ha raggiunto il suo massimo storico a 3,5 mentre, prima della crisi del 2000 il picco era stato di 2,4), l’attuale valutazione dell’S&P 500 è assai più alta di quella che dovrebbe essere e storicamente, tutte queste situazioni sono state successivamente riassorbite. Proviamo ora a fare una sintesi. Al di là delle differenti previsioni delle banche di affari, molti concordano sul fatto che le valutazioni siano elevate, che maggiori opportunità di performance sarebbero da cercare sui mercati azionari non US, che è preferibile puntare su temi specifici quali quelli della transizione energetica e digitale. Riguardo agli indicatori che segnalano possibili correzioni, c’è da dire che l’eccezionalità delle condizioni storiche avutesi con il quantitative easing, tassi di interesse negativi e da ultimo i forti stimoli fiscali per combattere la pandemia, hanno probabilmente contribuito a estendere sia nel tempo che nell’ampiezza questo periodo di sovraperformance dell’indice rispetto a molte metriche valutative e statistiche di lungo periodo, derivate in una situazione in cui queste circostanze di politica monetaria e in parte anche fiscale non erano presenti. Questo quindi a ricordarci come il permanere di tali “anomalie” potrebbe continuare a mantenere questo stato di overperformance per un periodo il cui termine è difficile da prevedere. Un esempio: si va verso un rialzo dei tassi nel 2022 ma chi può escludere, che in presenza di fattori nuovi, quali ad esempio un forte impatto della variante omicron (o di eventuali altre future) che portassero a nuovi lockdown o rallentamenti importanti delle attività economiche, la politica monetaria non sia costretta a rimanere accomodante oltre quelle che sono le attuali previsioni? Quali, quindi, le indicazioni per il 2022 sul mercato azionario? Approccio strategico: più Europa e meno US, meno titoli growth (con le dovute eccezioni) e più titoli value, preferenza per società che rispettivo i criteri esg e legate alla grande tematica del cambiamento climatico e degli obiettivi di riduzione delle emissioni di C02 quindi energia pulita (solare, eolico, stoccaggio energia), efficienza delle risorse (smart city, auto elettriche), economia circolare (gestione dei rifiuti, riutilizzo), sostenibilità idrica (distribuzione dell’acqua, desalinizzazione). Tra i settori più tradizionali da privilegiare i finanziari e quelli legati all’energia con un caveat, ovvero che si proceda sulla strada del rialzo dei tassi di interesse senza intaccare eccessivamente la crescita. Approccio tattico: attendere probabili correzioni, anche nell’ordine del 10% a seguito dei diversi fattori di incertezzaquali inflazione che possa rimanere più alta del previsto (la stessa Fed adesso non la definisce più transitoria), varianti del virus che portino a nuovi lockdown, tensioni geopolitiche di USA con Cina e Russia, crescenti problematiche sul settore immobiliare cinese.
Continua a leggereSCENARI SUL MERCATO AZIONARIO PER LE PROSSIME SETTIMANE
Scritto il 06.12.2021Cominciamo dall’ultima previsione. Nell’articolo del 26 ottobre 2021 facevo notare come la bassa volatilità sulla volatilità dell’Eurostoxx50 (V-Vstoxx) fosse un campanello di allarme per il mercato azionario. Ecco il passaggio: “Si nota come in concomitanza degli ultimi minimi di aprile, metà giugno, luglio e agosto, siano partite delle correzioni su Eurostoxx50 mediamente dopo 7-10 giorni (minima quella in aprile, più ampie quelle successive). In questi giorni siamo tornati di nuovo in questa area di minimi. Cosa succederà nelle prossime settimane?”. Ebbene ecco cosa è successo: Contando circa 10 giorni di borsa aperta dal 26 ottobre si sarebbe identificato quasi il massimo del mercato delle ultime settimane. Si noti come l’eurostoxx abbia iniziato a correggere rispetto al sell signal prima del crollo del 26 novembre provocato dalle notizie sulla variante omicron. Il V-Vstoxx, che appunto il 26 ottobre era in area dei minimi dell’anno, è schizzato, nel giro di poco più di un mese, di nuovo verso i massimi annuali. Cosa aspettarci da qui in poi? La volatilità, e quindi l’incertezza sui mercati, rimane ancora alta come testimonia l’indice Vstoxx ormai sui massimi da inizio anno. Questo non solo è dovuto alla mancanza di dati certi sulla nuova variante ma anche alle crescenti spinte inflazionistiche che preoccupano sempre più le banche centrali e gli analisti finanziari. Lo scenario somiglia probabilmente a quello di fine ottobre/inizio novembre 2020 quando, l’annuncio dell’altissima dell’efficacia dei vaccini Pfizer favorì la crescita dei listini azionari fino ai massimi di metà novembre 2021. Questo in quanto si attendono, nelle prossime settimane, indicazioni sulla capacità di tenuta degli attuali vaccini nei confronti della variante omicron. Cosa si può ragionevolmente dire al momento? Pare quasi certo che sia più contagiosa; probabilmente diverrà la variante dominante in circolazione. Questo è già sufficiente a creare problemi rispetto alla situazione precedente in quanto, a parità di pericolosità e di protezione dei vaccini, un maggiore numero di casi si tradurrebbe in più ricoveri, quindi maggiore pressione sulle strutture sanitarie e maggiori rischi di chiusure più o meno estese, in ogni caso un rallentamento delle attività economiche e questo le borse lo hanno già prezzato insieme al fatto che la perdita di protezione dei già vaccinati dopo 5-6 mesi sta già facendo crescere i contagi anche con la vecchia variante. Quello che non è prezzato è legato alla maggiore pericolosità e alla protezione vaccinale rispetto a omicron. Sulla prima, azzardando ipotesi da non scienziato, direi che è improbabile che questo accada (l’autodistruzione non è nella natura della vita per definizione), sulla seconda mi aspetto, anche in base alle ultime dichiarazioni di Moderna che parla di circa 3 mesi per aggiornare i vaccini, che la protezione sia solo minore ma non annullata. Ovviamente, in attesa di dati certi, 3 sono i possibili scenari a mio parere: 1) le ipotesi suggerite sono corrette e un ulteriore calo dei mercati (che probabilmente non si muoveranno né troppo all’insù o all’ingiù prima che arrivino dati certi sulla nuova variante) sarà legato alla percentuale di minore efficacia della protezione del vaccino: un conto se scende ma rimane sufficientemente alta (notizia in ultima istanza positiva), un conto se andiamo verso il 30-40% o meno; 2) la nuova variante sfugge totalmente o quasi agli attuali vaccini e questa sarebbe l’ipotesi peggiore; 3) la nuova variante è più contagiosa ma meno pericolosa e questo sarebbe il migliore degli scenari. Nei primi due casi, tuttavia, non potremo avere una situazione simile a quella di marzo 2020 dove il panico rispetto all’ignoto e la mancanza di vaccini e l’incertezza sui tempi per svilupparli portarono una correzione dell’S&P500 di oltre il 30%. Anche nell’ipotesi peggiore, ovvero che si debba rivaccinare completamente o quasi tutta la popolazione mondiale, il fatto di avere in mano dei vaccini aggiornabili e altri di nuova generazione in arrivo, oltre a farmaci sempre più efficaci per la cura, porterebbe il mercato azionario a correzioni difficilmente maggiori del 10-20% (ovviamente qualora non subentrino elementi di altra natura quali inflazione fuori controllo, rischi geopolitici e via dicendo). Attualmente l’S&P500 ha corretto di circa il 5% dai massimi; un calo che arrivasse intorno al 10% (non ci sono state correzioni maggiori del 10% da marzo 2020) porterebbe le quotazioni verso i minimi dei mesi di ottobre e settembre, in area 4300-4200 che rappresenta, quindi, il primo punto d’ingresso interessante sul mercato azionario americano.
Continua a leggereÈ ARRIVATA LA PATRIMONIALE SUI CONTI CORRENTI
Scritto il 23.11.2021Alla fine è arrivata la patrimoniale ma non quella che temevamo. Infatti non è patrimoniale sugli asset finanziari che esiste già da diversi anni, ovvero la mini patrimoniale dello 0,2% da pagare ogni anno, introdotta da Monti nel 2011. Si tratta di una patrimoniale sui conti correnti ma non è nemmeno quella in stile Amato dello 0,6%, in quel caso una tantum, introdotta dalla sera alla mattina nel luglio del 1992 per far quadrare la pesante legge di bilancio. Quella del 2021 è una patrimoniale di circa il 3% sulla liquidità dei conti correnti, legata al fatto che l’indice armonizzato dei prezzi al consumo ha registrato, a ottobre, un aumento del 3,2% su base annua con una forte crescita della componente energetica dovuta agli aumenti dei prezzi di gas e petrolio che hanno spinto anche il governo a intervenire nella legge di bilancio per sostenere le famiglie colpite dal caro bolletta. Considerando che, dall’ultimo report ABI di Ottobre 2021, vi sono circa 1.800 mld di depositi da clientela residente, la perdita di potere di acquisto equivale a oltre 50 mld. Si sarebbe potuta evitare? Parzialmente si, in quanto una parte di questa liquidità non è funzionale a scopi finanziariamente razionali. Considerando circa 3.300 mld (report ABI Ottobre 2021) di asset finanziari (tra azioni, quote di fondi comuni, assicurazioni, fondi pensione e obbligazioni) in mano alle famiglie italiane, potremmo stimare che almeno un 10% di un intero patrimonio possa essere lasciato in liquidità provvisoria per un utilizzo più tattico e di breve periodo a fine di incrementare eventuali investimenti o perché liquidità risultante da disinvestimenti e pronta per essere riutilizzata, per cui possiamo considerare quasi 400 mld di liquidità a complemento dei 3.300 mld investiti che ha senso rimangano sui conti correnti. C’è poi da considerare una parte che va mantenuta a scopo precauzionale. Secondo alcuni esperti, la liquidità da mantenere su un conto corrente dovrebbe essere tra i 6 e i 9 mesi lo stipendio netto mensile. Arrotondando anche a 12 mesi, considerando uno stipendio medio di 1.500 euro, vuol dire che non ha senso economico, per un contribuente medio, avere sul proprio conto corrente oltre 18K in liquidità, o per un dirigente con uno stipendio medio da circa 4.500 euro mensili (dati di JP Salary Outlook 2020) oltre 50K euro. A livello aggregato, considerando i circa 23 milioni di lavoratori in Italia, vi sarebbero altri 400 mld correttamente detenuti a scopo precauzionale dalle famiglie italiane. Tirando le somme, dei circa 1.800 mld liquidi, 1.000 mld sono letteralmente parcheggiati e colpiti dalla tassa evitabile dell’inflazioneche quest’anno quindi vorrebbe dire 30 mld di perdita di poter d’acquisto. Questo a livello aggregato. Nello specifico si può passare da chi non subisce in alcune modo questa patrimoniale occulta a chi la estende a larga parte se non all’intero suo patrimonio. Secondo l’ultima indagine Wealth Insights promossa da Prometeia e Ipsos, circa una famiglia su due del campione intervistato detiene in liquidità tutta la propria ricchezza. Inoltre, il 30% delle famiglie con un patrimonio finanziario maggiore di 25K euro non ha alcune investimento finanziario. Proprio focalizzandosi su questa categoria il report prova anche a simulare quale potrebbe essere un probabile portafoglio per queste famiglie qualora investissero, indubbiamente più prudente rispetto ai classici investitori, concludendo che nel periodo 2005-2018 coloro che hanno mantenuto solo liquidità sul proprio portafoglio hanno rinunciato a un rendimento del 30% in termini reali, ovvero anche al netto dell’inflazione. Una forte crescita dell’inflazione non sola erode il potere d’acquisto dei risparmi ma contribuisce a ridurre il benessere sociale del consumatore come anche indicato dal MIC, il Misery Index elaborato da Confcommercio. A differenza del Misery Index tradizionale, che somma inflazione e disoccupazione tout court, il MIC assegna un peso maggiore alla disoccupazione, calcolata poi in maniera più estesa rispetto al valore ufficiale, includendo parte di sottooccupati, scoraggiati e cassaintegrati a zero ore. Secondo il MIC la disoccupazione estesa a settembre 2021 si è attestata all’11,7% (9,1% quella ufficiale) mentre l’aumento dei prezzi dei beni e dei servizi ad alta frequenza d’acquisto ha raggiunto il 2,6% su base annua. A commento di tali dati Confcommercio scrive: “Al di là delle criticità che interessano la componente relativa all’occupazione – nei prossimi mesi si potrebbe assistere a un ritorno significativo di popolazione sul mercato del lavoro con una presumibile crescita della disoccupazione – preoccupa la risalita dell’inflazione. In pochi mesi, infatti, si è passati da una situazione di deflazione a una crescita prossima al 3%. Fenomeno che, inizialmente guidato dagli energetici, comincia a interessare un insieme sempre più ampio di beni e servizi e la cui durata e intensità potrebbero comprimere in misura significativa i redditi e limitare le capacità di ripresa del sistema ed il recupero dell’occupazione”. Conclusioni: Da diversi mesi le banche centrali ripetono che l’inflazione (vedi mio articolo sull’inflazione di gennaio 2021) è solo transitoria ma, dati alla mano, si sta dimostrando meno transitoria di quanto annunciato. Sull’inflazione, come risparmiatori, possiamo dire 3 cose con certezza: 1) Possiamo misurarla con precisione solo ex post; 2) Non è una variabile che possiamo controllare; 3) Ce ne accorgiamo prima o poi nella vita di ogni giorno. La soluzione è quindi attuare quelle scelte di investimento appropriate che da un lato, limitino la liquidità inutile sui conti correnti e dall’altro la indirizzino verso scelte di volta in volta adeguate rispetto al momento congiunturale dell’economia. Nel caso specifico, è sempre consigliabile mantenere in portafoglio obbligazioni a protezione dell’inflazione quali BTP Italia, BTPi, TIPS (Treasury Inflation-Protected Securities) americani, fondi obbligazionari inflation linked, fondi azionari maggiormente performanti in contesti inflattivi.
Continua a leggereLE TRE REGOLE PER GUADAGNARE SUL MERCATO AZIONARIO E ANALISI ATTUALE
Scritto il 26.10.2021Esistono delle semplici regole da seguire per essere sicuri di poter avere dei rendimenti sul mercato azionario? A mio parere ne bastano 3, non complicate, ma molto spesso disattese. La prima regola è quella del tempo, dare tempo al tempo, per meglio dire, dare tempo ai prezzi di muoversi nella direzione auspicata. Statistiche alla mano, in modo innegabile, si può osservare come, aumentando il periodo in cui l’investimento viene tenuto, la probabilità di incappare in un anno o più negativi diminuisce drasticamente (si azzera dai 15 anni in su) mentre aumenta la possibilità di avere più anni positivi non solo per recuperare l’eventuale perdita ma anche per aumentare i propri guadagni: infatti, nel 75% dei casi degli ultimi 100 anni il valore dell’S&P500 ha registrato una performance positiva tra inizio e fine anno. Questa statistica deriva dal fatto che il mercato azionario ha un trend di fondo in salita, legato allo sviluppo delle attività economiche umane, alla crescita della popolazione, allo sviluppo tecnologico e all’accumulo di capitale ed eventuali fluttuazioni in uno specifico anno sono inevitabili. La seconda regola è la diversificazione. Le statistiche appena menzionate, infatti, si riferiscono al mercato in generale, ovvero alla performance dell’indice che lo rappresenta, una media delle performance dei tanti singoli titoli che lo compongono che, a differenza dell’indice, hanno una andamento assai più difficile da predire. Investire quindi in una singola azione, o un esiguo numero di azioni, comporta un rischio tanto maggiore quanto minore la famigliarità del singolo investitore con tematiche economiche e capacità di valutare gli scenari di sviluppo di un business e quindi di profitto di una specifica società. Ricordiamo cosa è successo e sta ancora succedendo al Monte dei Paschi, visto che se ne parla di nuovo in questi giorni. Esempio troppo abusato? Prendiamo un caso meno noto alle cronache. Il caso di Bion. Quella che sembrava una splendida società a media capitalizzazione, un vanto dell’ingegno e della tecnologia e know-how italiano, destinata a rivoluzionare il mondo delle plastiche biodegradabili, è saltata nel 2019 quando, grazie a un’analisi attenta e non convenzionale del fondo di investimento Quintessential Capital Management (mentre tanti altri operatori professionali non si erano accorti di nulla) si è scoperto che il business model non era “sostenibile” e molti risparmiatori ci hanno rimesso parecchi soldi. Morale: è già difficile per operatori professionisti, con ore e ore di analisi settimanali, selezionare le società migliori per evitare grosse cantonate, di conseguenza risulta inappropriato e assai rischioso per il singolo puntare su un unico cavallo da corsa mentre vale la pena crearsi una scuderia, così se anche un cavallo venisse azzoppato, si può continuare tranquillamente a gareggiare. La terza regola è affidarsi a un valido professionista per almeno due ragioni principali. La prima è che ti permette di rispettare le prime due regole che abbiamo appena visto, cosa che difficilmente in singolo investitore farebbe se lasciato a decidere in maniera autonoma, per una serie infinita di ragioni, dall’emotività, alla mancanza di tempo per analizzare propriamente il mercato, alla mancanza delle competenze necessarie. La seconda è che, se è pure vero che il mercato tende a salire, è indubbio che, da un lato, vi sono momenti particolari in cui può essere più vantaggioso investire rispetto ad altri, dall’altro la scelta di strumenti diversi a seconda delle condizioni di mercato permette di minimizzare i rischi aumentando invece le probabilità di maggiori guadagni nel lungo termine. Visto che ne stiamo parlando, diamo un’occhiata all’ attuale situazione del mercato azionario, in questo caso l’indice S&P500, che raggiunge i nuovi massimi storici in questi giorni. Diverse sono le metriche per valutare il mercato azionario. La più classica è il P/E, ovvero il rapporto tra capitalizzazione di mercato e utili (storici o attesi). Il grafico riportato associa all’attuale forward P/E di 21 (sopra la media storica di circa 15 negli ultimi 20 anni) il cosiddetto Misery Index, un parametro che somma l’attuale livello di disoccupazione (4,8%) con quello dell’inflazione (5,4%). Il Misery Index serve a misurare in maniera grossolana il benessere economico delle persone sulla considerazione che prezzi bassi e bassa disoccupazione indichino elevato potere di acquisto e reddito disponibile per gli individui, per cui idealmente un basso valore dell’indice è qualcosa di auspicabile. Due le considerazioni guardando al grafico: 1) il mercato azionario appare costoso se paragonato al suo trend storico; 2) l’impatto della crescente inflazione tende a ridurre il potere di acquisto degli individui accentuando ulteriormente la forte divaricazione di ricchezza tra coloro che detengono asset finanziari, il cui valore è fortemente cresciuto negli ultimi anni grazie alle politiche monetarie ultra espansive, e i semplici lavoratori, in balia del mercato del lavoro e dei prezzi. Su base più operativa andiamo a guardare la correlazione del V-VStoxx50, un indicatore della volatilità della volatilità del mercato azionario europeo con alcune correzioni di mercato. Si nota come in concomitanza degli ultimi minimi di aprile, metà giugno, luglio e agosto, siano partite delle correzioni su Eurostoxx50 mediamente dopo 7-10 giorni (minima quella in aprile, più ampie quelle successive). In questi giorni siamo tornati di nuovo in questa area di minimi. Cosa succederà nelle prossime settimane? In sintesi: Per beneficiare del trend di fondo di crescita continua del mercato azionario nel tempo è necessario allungare il più possibile l’orizzonte temporale di investimento.Questo, da un lato, permette di avere rendimenti maggiori (basti pensare a chi avesse comprato azioni Apple 20 anni fa e le avesse vendute 10 anni dopo oppure mantenute, almeno in parte, fino ad oggi) e dall’altro, come abbiamo visto, riduce al mimino se non azzera completamente la possibilità di incappare in perdite. Evitare il fai dal te/me lo ha consigliato un amico e diversificare con cognizione di causa. Non basta seguire la regola 1, ovvero essere dentro il mercato per un periodo adeguato, per essere vincenti. Bisogna evitare, se non si è particolarmente esperti, di concentrarsi solo su una singola azione o poche azioni, se non si vuole incappare nella MPS di turno. Il ricorso al risparmio gestito tramite fondi o la costruzione di un portafoglio azionario ben diversificato sotto consulenza sono valide soluzioni. Affidarsi a professionisti validi che aiutino il singolo investitore a rispettare un piano di investimento nel tempo, minimizzando i rischi e utilizzando gli strumenti migliori in base alle condizioni di mercato. Se si è di fronte ad un mercato azionario particolarmente effervescente forse meglio partire con un piano di accumulo mentre davanti a una importante correzione o un mercato particolarmente depresso (vedi marzo 2020) non bisogna essere troppo titubanti nel fare investimenti importanti. Tre semplici regole eppure ancora molti perdono soldi. Tu cosa aspetti a seguirle?
Continua a leggereCOME IL CONSULENTE FINANZIARIO AUMENTA LA TUA FELICITÀ.
Scritto il 23.09.2021Esiste la formula della felicità? Qualcuno ha proposto la seguente: Felicità=B+R+F, ovvero Benessere+Relazioni+Futuri. Vediamo nel dettaglio cosa significa e come un consulente finanziario può migliorare ciascuna delle sue componenti. Innanzitutto la felicità, o quanto meno la percezione di essere felici, varia in base al paese di origine e l’età. Nei due grafici si vede come l’Italia abbia un declino di felicità a partire dal 2000 a differenza di altri paesi che mostrano un trend stabile o in salita a partire da quella data. Altro dato interessante è che si tende a percepirsi più felici o da giovani o da anziani, molto meno nella fase intermedia della vita. Spostandoci verso criteri più strutturati di misurazione della felicità, notiamo come, a livello internazionale, nel 2015 le Nazioni Unite abbiamo approvato una serie di 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs ovvero Sustainable Development Goals) su cui tutti gli stati devono impegnarsi entro il 2030 e che includono, tra gli altri, lotta alla povertà e alla fame, sostegno alla salute e all’educazione, accesso all’acqua e a sistemi energetici sostenibili e moderni, protezione dell’ecosistema terrestre, promozione di una crescita economica duratura e sostenibile e riduzione delle disuguaglianze. Guardando nello specifico in Italia, l’Istat utilizza il Bes (Benessere Equo e Sostenibile), un indice pensato per andar oltre la mera misurazione del PIL come criterio principe per misurare il benessere di un paese e che include criteri quali salute, istruzione, sicurezza, ambiente, benessere economico, relazioni sociali ecc.Nel 2020 il report sull’evoluzione dell’indice negli ultimi 10 anni ci fornisce qualche indicazione sui trend in atto nel nostro paese. Vediamone alcuni: 1) Meno posti letto, medici più anziani e maggiore disuguaglianza nell’accesso alle cure; 2) Ancora troppo pochi i bambini iscritti al nido e i giovani che si laureano mentre il divario con l’Europa sull’istruzione continua ad ampliarsi; 3) In diminuzione i rischi di abbandono scolastico ma crescono i NEET (Not in education, employment or training); 4) La povertà, raddoppiata nel 2012, torna ad aumentare per effetto della pandemia; 5) Cresce la quota di lavoratori della conoscenza, ma aumenta la distanza dall’Europa; 6) Bassi investimenti in ricerca e sviluppo, la distanza con l’Europa non diminuisce; 7) Avanza, ma lentamente, la presenza delle donne nei luoghi decisionali; 8) Inadeguati e in diminuzione gli investimenti per la tutela e la valorizzazione di beni e attività culturali; 9) Lento miglioramento della qualità dell’aria ma i livelli restano critici, progressi più netti sul fronte dei rifiuti; 10) Aumenta la sensibilità dei cittadini per i cambiamenti climatici; 11) In recupero dopo la crisi economica, ma sempre su livelli bassi, la quota di persone molto soddisfatte per la vita nel complesso; 12) Alta e stabile la soddisfazione per le relazioni familiari e con gli amici; 13) Dopo anni di declino torna a crescere la partecipazione civica e politica. Tornando alla nostra formula (proposta in Italia dallo studioso di queste tematiche Sergio Sorgi), comprendiamo, quindi, quali possano essere gli impatti dei criteri citati sui suoi componenti. Il Benessere è quindi la risultante della presenza, qualità e interconnessione di vari fattori, da quello economico a quello ambientale, da quello educativo a quella di accesso a cure mediche adeguate. Le Relazioni personali nell’ambiente di lavoro, a livello famigliare e a livello di coinvolgimento nella vita sociale e politica sono un ulteriore tassello. Infine, uno sguardo propositivo e ottimistico al Futuro, immaginativo come lo chiama Sorgi, anziché un atteggiamento di nostalgia del passato (retrotopico), negatività per qualsiasi cosa (distopico) o irrealistico (utopico), indubbiamente contribuiscono a incrementare il grado di felicità personale percepita. Sorgi stesso ci fornisce alcuni suggerimenti che possono aiutare nel percorso di ricerca della felicità personale, ciò che nella costituzione americana è considerata un diritto, alla pari di vita e libertà (Life, Liberty and the pursuit of Happiness). A livello personale:A) Curiosità e conoscenza riducono i rischi e ci aiutano a capire se siamo protetti e dove vogliamo andare; B) Progettualità per il futuro; C) Imparare a decidere. Le domande chiave da porsi sono: 1) Come mi vedo tra 10 anni? 2) Cosa posso fare per rendere felici le persone che mi sono intorno? 3) C’è qualcuno che può aiutarmi a realizzare il mio progetto? In che modo, allora, un consulente finanziario interagisce con questa formula e può contribuire a innalzare il livello di felicità individuale? Analizziamo ciascuna componente. Benessere Contribuendo a indirizzare il risparmio privato verso forme d’investimento che accrescano il benessere collettivo, ad esempio investimenti rispettosi di criteri ESG o focalizzati sull’economia reale (PIR alternativi, ELTIF), il consulente aiuta a migliorare l’ambiente socio economico nel quale l’individuo prima e investitore poi vive e interagisce. In aggiunta, un’attenta pianificazione e valutazione degli investimenti contribuiscono, da un lato a incrementare la ricchezza disponibile e quindi la capacità di consumo futuro, dall’altro, tramite prodotti più orientati ai bisogni assicurativi e previdenziali, soddisfano le esigenze di maggiore tutela delle persone e dei propri famigliari oltre a creare una sensazione di maggiore serenità nell’affrontare i bisogni del domani. Relazioni Attraverso la capacità di precisa identificazione delle esigenze del cliente, ascolto, empatia e trasparenza, fondamentale diventa il ruolo del consulente nel creare un clima di fiducia reciproca in grado di effettuare e supportare le migliori scelte di investimento nel medio e lungo periodo, soprattutto nelle fasi di mercato in cui alcune valutazioni possono sembrare meno valide che in passato. Questo dovrebbe permettere all’investitore di vivere con maggiore serenità tutte le fasi di un processo di investimento, da quelle più redditizie a quelle di minor successo. Futuro La maggior parte degli investitori/risparmiatori effettua scelte di investimento focalizzandosi su imprevisti futuri indistinti oppure su singoli prodotti e specifici eventi vita. Il passaggio da un semplice sostegno nel processo di investimento a una pianificazione a 360 gradi può migliorare la progettualità del proprio futuro, incrementando il senso di fiducia con cui il singolo guarda al domani. In questo senso la pianificazione deve guardare a tutti gli aspetti della sfera economica che coinvolge l’investitore, identificando e contribuendo a migliorare i gradi di interazione reciproca tra i vari elementi che la compongono, incluso quindi il budgeting (stabilizzazione di entrate/uscite), la gestione dell’indebitamento (mutui, crediti), la protezione della persona o delle persone vicine (polizze assicurative), la previdenza complementare (fondi pensione), il passaggio generazionale (prodotti e strutture giuridiche ad hoc).
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