Alberto Marracino

Vai al mio profilo / Se mi conosci votami / Follow me

Consulente finanziario

Top MoneyController Financial Educational Awards
MoneyController Financial Educational Award
MoneyController Financial Educational Award
MoneyController Financial Educational Award
MoneyController Financial Educational Award
MoneyController Financial Educational Award
Alberto Marracino

Contattami

Chiedi un consiglio
Finecobank
Roma, Chieti, L'Aquila, Milano, Pescara, Teramo
Non dichiarato
Oltre a 10 anni
Master universitario di II° livello
54 anni
2718
28/09/2018

Contattami

Chiedi un consiglio

Vai al mio profilo

59 post - 57.575 letture


L’ESMA CONFERMA CHE ALCUNI FONDI FANNO I “FURBI”

  • 795
  • 0
  • Fondi Comuni di Investimento
Scritto il 18.09.2020

Un paper pubblicato dall’ESMA, l’ European Securities and Markets Autority, in settembre conferma che alcuni fondi a gestione attiva sono in realtà quasi ETF mascherati, generando risk-adjusted performance, misurate attraverso l’alfa di Jensen, inferiori a quelle a vera gestione attiva, anche al netto dei costi leggermente minori. In un mio precedente articolo del 30 giugno scrivevo quanto segue: “La stessa ESMA, l’ente regolatorio europeo, negli ultimi anni ha lanciato un’investigazione per capire quanti potrebbero essere i fondi in Europa classificati come attivi ma che hanno un basso tracking error, cioè uno scostamento troppo piccolo rispetto al benchmark, e che in realtà possono essere assimilati a degli ETF mascherati. Un’ipotesi è che tra il 15% e il 5% di tali fondi potrebbe non essere a gestione attiva”. Lo studio, pubblicato da pochi giorni e curato da Lorenzo Danieli, Alexander Harris and Giorgia Pichini, ha preso in considerazione dati su circa 5400 fondi azionari domiciliati nella UE su un periodo che va dal 2010 al 2018. I ricercatori hanno cercato di individuare, in primis, alcuni parametri capaci di discriminare i fondi a vera gestione attiva da quelli a dichiarata gestione attiva ma che in realtà si comportano più come ETF che seguono gli indici, chiamati tecnicamente closet indexer, per poi confrontare le performance e i relativi costi tra le due categorie. I parametri scelti, oltre al tradizionale active share (l’active share misura la percentuale del fondo investita in maniera diversa rispetto al proprio benchmark), introdotto in letteratura dagli studiosi Cremers e Petajisto nel 2009, sono stati il tracking error (la deviazione standard della differenza tra le performance del fondo e del suo benchmark su un determinato periodo temporale), l’ R-quadro (un indice che spiega quanta parte di una serie di dati dipende dalla variazione di un’altra serie di dati correlati alla prima serie) e il beta (parametro che indica la sensibilità della performance di un’azione all’intero mercato azionario). Tra le varie conclusioni dello studio: la performance risk-adjusted dei closet indexer è inferiore a quella dei fondi a gestione attiva; i fondi relativamente giovani hanno un active share maggiore rispetto a quelli più anziani; il TER (il total expense ratio), cioè il costo totale del fondo per l’investitore finale, è leggermente più basso rispetto a quelli a vera gestione attiva ma, ovviamente, molto più alto rispetto agli ETF.  Tuttavia i closet indexer, pur godendo di costi molto minori rispetto a quelli a gestione attiva, trasferiscono solo una piccola proporzione di tali risparmi sul cliente, evitando quindi di competere sul prezzo attraverso la riduzione delle commissioni. A parere dei ricercatori, lo studio conferma le preoccupazioni del regulator europeo sui costi, l’effetto distorsivo sui portafogli degli investitori e la potenziale carenza informativa relativa ai closet indexer. Infatti, poter identificare a priori tale categoria di fondi senza fare alcun riferimento nel KID potrebbe alterare la bontà ed esattezza di quest’ultimo, portare gli investitori ad effettuare investimenti diversi dal profilo rischio/rendimento desiderato oltre a pagare commissioni maggiori rispetto al dovuto. Conclusioni: La frase “Closet indexers therefore appear to pass on to consumers only a small share of the lower economic costs of benchmark-tracking compared to active management, rather than engaging in price competition” sembra essere un monito nei confronti dei closet indexer che non si fanno concorrenza abbassando il costo complessivo per il cliente, difendendo i propri margini di profitto. Essendo il ruolo del regulator principalmente rivolto a tutelare la concorrenza e proteggere il consumatore finale, a mio parere sembra chiaro che stiano dicendo: vi stiamo monitorando, stiamo selezionando gli strumenti migliori per definirvi come closet indexer, se non riducete le commissioni, prima o poi, lo imporremo noi con qualche norma specifica. Lo studio, inoltre, ribadisce l’importanza del ruolo del consulente nel poter informare correttamente anche su tali tematiche meno pubblicizzate dalla stampa o dalle case di investimento e ancora soggette a discussione da parte dell’ESMA, al fine di poter selezionare con chiara trasparenza e efficienza i fondi investimento più adatti alle esigenze del risparmiatore.

Continua a leggere

LA GRANDE SCOMMESSA (THE BIG SHORT). IL FILM CHE OGNI INVESTITORE DOVREBBE VEDERE

  • 1595
  • 0
  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 24.08.2020

  Siamo in estate. Ecco allora un articolo leggero ma con qualche consiglio di investimento. Con iltitolo originale The Big short, La grande scommessa è un film del 2015, oscar per la migliore sceneggiatura non originale, che mi è ricapitato di rivedere qualche giorno fa in televisione. Narra la storia vera di un variegato gruppo di investitori negli Stati Uniti che riuscirono a cogliere i segnali del crollo nel 2007-2008 del mercato immobiliare, drogato dai mutui subprime, riuscendo così a guadagnare ingenti somme per i propri clienti e personalmente. Tra i protagonisti anche Brad Pitt nei panni di un ex trader (nella vita reale Ben Hockett) ormai ritiratosi a vita privata, che si unisce ai suoi vicini di casa, Charlie Ledley e Jamie Mai nella realtà, gestori di un piccolo fondo, Corwall Capital, ma molto bravi nell’individuare operazioni con grandi opportunità di guadagno.  Si narra che Ben Hockett abbia concluso le operazioni di vendita da 80 milioni di dollari di profitto finale da un pub inglese, il cui vero nome è Powder Monkey, a Exmouth, nel Devon, in quanto la connessione internet lì era alquanto affidabile. I clienti del pub non davano molto peso a quel cliente che se ne stava seduto in un angolo da circa le 2 del pomeriggio fino alla chiusura del locale, non bevendo molto. Uno dei protagonisti principali è del film è Michael Burry, l’unico ad aver mantenuto il suo vero nome anche nella rappresentazione cinematografica, un medico poi diventato gestore di un fondo, Scion Capital, che riuscì a realizzare circa un 500% di performance,  con oltre 2,5 miliardi di dollari di guadagni. Personaggio fuori dagli schemi ma con grandi capacità analitiche, aveva individuato segmenti specifici del mercato dei mutui subprime particolarmente a rischio e, attraverso i broker di alcune principali banche di affari, si era fatto costruire specifici prodotti finanziari legati a questi segmenti più deboli, dei CDO (Collateralized Debt Obligations), vendendoli poi allo scoperto e lucrando dal loro crollo di valore durante la crisi. Mi ha colpito molto la scena in cui, alcuni suoi importanti investitori, lo confrontano criticando la sua strategia di andare contro il mercato immobiliare, considerato da Burry in piena bolla speculativa, che stava generando solo perdite per il fondo Scion. In particolare gli rinfacciano che: “Nessuno può vedere una bolla finanziaria. Questo è ciò che la rende una bolla”. Ma lui risponde: “Non è vero. Ci sono sempre dei segnali”.Effettivamente, per definizione, se la maggior parte degli investitori si accorgesse di essere dentro una bolla speculativa, ne verrebbe fuori e questa si sgonfierebbe per cui, se esiste, “quasi” nessuno la vede. Un altro dei protagonisti del film è il gestore Mark Baum, nella realtà Steven Eisman, gestore del fondo Neuberger Berman, che con il suo team guadagna circa 1 miliardo di dollari scommettendo contro CDO e MBS (Mortgage backed securities), prodotti appunto legati ai mutui immobiliari con pagatori dal basso merito di credito. Nel film è spesso dipinto con una forte rabbia nei confronti del sistema ed effettivamente, in un’intervista, ha dichiarato che il suo stato d’animo in quel periodo fosse davvero quello, in quanto si era reso conto che i mutui subprime erano prodotti pericolosi e strutturati per mettere in difficoltà le persone, esponendole a rischi finanziari e al pericolo di ritrovarsi per strada dopo aver perso casa. Inoltre lo rendeva furioso che proprio le banche per cui lavorava a Wall Street fossero coinvolte nella vendita di questi prodotti: il sistema degli incentivi, infatti, era legato solo ai volumi di vendita di tali prodotti e non alla loro qualità. Lasciando il piacere di godere del film a chi avrà voglia di vederlo (o rivederlo), cerchiamo di spiegare ora cosa rende, a mio parere, questa storia così affascinante. Innanzitutto, non per ordine di importanza, il mito di Davide e Golia.Affascina il racconto del piccolo gestore del fondo che si scontra non solo contro i colossi di Wall Street ma addirittura contro l’intero sistema finanziario per come si è evoluto, una lotta all’apparenza impari che termina con la vittoria schiacciante del piccolo combattente con la fionda e la caduta fragorosa del gigante. Ci sono poi meritocrazia, tenacia, duro lavoro che portano al successo e alla ricchezza, il sogno americano in cui tutti possono farcela, spesso proposto da Hollywood.Tutti i protagonisti arrivano alle loro conclusioni attraverso profonde analisi e notti insonni, sacrifici che i più scansano cercando più semplici scorciatoie.  Il loro è un mix di profonda capacità di analisi, osservazione, di pensiero fuori dagli schemi, di coraggio nel pensare l’impensabile e sfidare il pensiero dominante (Galileo Galilei vi dice qualcosa?), di tenacia nel sostenere le proprie idee, di sopportazione, sacrificio, scontro e dolora attesa prima che le cose volgano a loro favore. L’eroe della favola che combatte il drago e sembra soccombere ma alla fine, grazie alla sua astuzia e tenacia, ne esce vincitore. C’è poi un terzo elemento di  sfogo, di rivalsa, di sete di giustizia. Ogni spettatore si unisce nella condanna e nello sdegno nei confronti di un mondo sbagliato di fare economia dove il profitto viene prima dell’uomo, dove il forte sfrutta il debole a suo vantaggio, indifferente rispetto al suo destino finale. Tutti, come il gestore Eisman, vorremmo puntare il dito contro quel sistema e poterlo criticare, giudicare, condannare e cambiare. Per finire, soffermiamoci su alcuni risvolti pratici in tema di investimento che questi protagonisti reali del mondo finanziario possono suggerirci. Michael Burry continua a gestire il suo fondo Scion Capital e proprio nel 2019 ha rilasciato alcune dichiarazioni in cui afferma di aver individuato il prossimo “big short”: a suo parere gli ETF, cioè i fondi a gestione passiva che replicano passivamente la performance dei principali indici azionari ed obbligazionari, starebbero distorcendo i prezzi delle azioni e delle obbligazioni in una maniera simile a ciò che accadde con i CDO durante la crisi del 2009, con flussi enormi che ricordano l’ondata di denaro che investì il mercato dei derivati tossici tra il 2007 e 2008. Il basso costo rispetto a fondi a gestione attiva alimenta tali flussi mentre la scarsa analisi dei titoli sottostanti ricorda la poca o nulla selezione dei mutui subprime all’interno dei CDO. In questo contesto, di contro, la ricerca di validi titoli a bassa capitalizzazione, poco o per nulla rappresentati negli ETF, può rappresentare un’ottima opportunità di investimento a suo parere. Riguardo ad Eisman, circa un anno fa presente al Salone del Risparmio a Milano, ha dichiarato di non vedere nessuna particolare opportunità di big short nell’immediato e semplicemente di essere negativo su alcune banche inglesi (in particolare RBS, Lloyds e Barclays) in previsione di un no deal riguardo alla Brexit. Tuttavia agli inizi Febbraio del 2020, dopo il forte rally delle banche dall’agosto del 2019, il gestore ha ammesso di avere chiuso le posizioni short su queste banche ma rimanendo negativo su HSBC e Standard Chartered che sono molto legate a Hong Kong, paese per il quale si aspettava una recessione anche a seguito delle crescenti rivolte sociali. Conclusioni: Ai rischi e i pregi degli ETF ho dedicato di recente ben due articoli, quindi condivido la necessità che debbano essere maneggiati con cura, in particolare quelli obbligazionari, sia per un maggiore rischio di liquidità su alcuni segmenti obbligazionari in momenti di stress sul mercato, sia per una potenziale bolla sul mercato obbligazionario in generale (in ogni caso, bolla o meno, con le attuali politiche monetarie comportano rapporti di rischio/rendimento da valutare con attenzione). Nessuno ha la sfera di cristallo e non tutte le ciambelle riescono con il buco neppure ai più grandi chef. Tuttavia prestare una particolare attenzione a quei gestori che hanno dimostrato di vedere con largo anticipo situazioni che nessuno aveva immaginato possibili è sempre saggio e fonte di buone riflessioni per gli investimenti.Buona visione!  

Continua a leggere

I PERICOLI DEGLI ETF: MEGLIO LA GESTIONE ATTIVA (CONCLUSIONI)?

Scritto il 30.06.2020

  Riprendiamo e concludiamo l’analisi dell’articolo pubblicato il 22 giugno, aggiungendo l’analisi dei rendimenti degli ETF rispetto ai fondi a gestione attiva.   Si sente parlare spesso del fatto che molti fondi attivi non fanno meglio del proprio indice di riferimento. Ad esempio secondo l’analisi SPIVA (S&P Indices Versus Active), su un periodo di 15 anni, circa l’88% dei fondi US ha sottoperformato il proprio indice S&P di riferimento.Questa sottoperformance tuttavia è minore per fondi che investono in piccole e medie capitalizzazioni (82%) e scende al 62% se si considerano le small caps fuori degli US. Su periodi più brevi tale sottoperformance totale si riduce: ad esempio a 3 anni è del 72%, a 5 anni dell’83%. Riguardo al periodo turbolento appena trascorso, voltando lo sguardo all’Europa ad esempio, nel primo trimestre circa il 57% dei fondi equity ha sottoperformato.   E’ necessario tuttavia fare un’importante considerazione sulla natura dei fondi attivi e su quanto possano davvero essere considerati tali. Una ricerca del 2013 pubblicata sul CFA Financial Analyst Journal (autore: Antti Petajisto) mostrava come dagli anni ‘80 la percentuale dei fondi con una “active share” superiore al 60% (l’active share misura la percentuale del fondo investita in maniera diversa rispetto al proprio benchmark), che possono quindi essere considerati veramente a gestione attiva, fosse passata da quasi il 100% a circa il 55%, mentre circa un 25% (con un active share tra 60% e 20%) fosse da considerarsi come “closet indexers”, cioè fondi che si dichiarano attivi (e quindi anche con commissioni più alte rispetto a fondi a gestione passiva) mentre in realtà la loro performance non si discosta molto dal benchmark, insomma quasi degli ETF mascherati. Il rimanente 20% (active share tra 0-20%) del campione era rappresentato da index funds, o diremmo oggi ETF e simili. Riguardo alla performance misurata sul periodo 1990-2009, mentre in media i fondi sottoperformavano il benchmark di circa lo 0,40%, i fondi con maggiore active share e portafoglio più concentrato mostravano una sovraperformance del 1,26%. Per completezza dell’analisi è comunque necessario ricordare che la misurazione dell’active share è valida per i fondi che investono unicamente in posizione lunghe, senza utilizzare derivati a copertura. La stessa ESMA, l’ente regolatorio europeo, negli ultimi anni ha lanciato un’investigazione per capire quanti potrebbero essere i fondi in Europa classificati come attivi ma che hanno un basso tracking error, cioè uno scostamento troppo piccolo rispetto al benchmark, e che in realtà possono essere assimilati a degli ETF mascherati. Un’ipotesi è che tra il 15% e il 5% di tali fondi potrebbe non essere a gestione attiva.   Uno dei motivi principali di questo comportamento da “replicante” dell’indice risiede nella volontà del gestore di salvaguardare il proprio posto di lavoro! Decisioni forti, con view troppo diverse rispetto al mercato, in caso di errori e turbolenze dei mercati possono portare a sottoperformance maggiori e quindi al rischio di periodi di eccessivi rimborsi nel fondo con il rischio di chiusura del fondo o di rimozione del gestore. Dal lato opposto, il gestore poco attivo che ha portato a casa una performance molto inferiore rispetto al gestore attivo ma comunque positiva non sarà comunque penalizzato troppo da riscatti, rischiando meno la propria retribuzione e il proprio ruolo. Questa è anche una conseguenza del fatto che gli investitori molto spesso, più che essere risk adverse, cioè contrari al rischio inteso come volatilità dei valori dello strumento finanziario, sono loss adverse, cioè contrari al rischio e valutano 100 euro di perdita come un danno psicologicamente maggiore rispetto a 100 euro di mancato guadagno (la finanza comportamentale ci dice che il rapporto è di circa 2 a 1).   Un’ulteriore ricerca (von Reibnits 2015) conferma non solo la capacità dei fondi con vera gestione attiva di sovraperformare il mercato ma anche le condizioni nelle quali questo avviene. Infatti, quando la dispersione dei rendimenti è maggiore, quindi nei periodi d’incertezza e maggiore volatilità, così come accaduto recentemente, i fondi con maggiore active share creano la maggiore sovraperformance rispetto all’indice nei periodi successivi, cosa che avviene molto meno quando la dispersione dei rendimenti è minore. Questo a dimostrazione che anche i fund manager più preparati e capaci non sono in grado di creare sovraperformance in tutti in periodi e sono più allineati alle performance di tutti e quindi del mercato quando c’è meno incertezza.  In una frase potremmo dire: quando le cose sono facili da capire sono bravi tutti, i migliori si vedono nei momenti difficili.   CONCLUSIONI   E’ vero che molti fondi a gestione attiva sottoperformano il proprio benchmark di riferimento ma questa percentuale è più bassa di quello che dicono le statistiche se ci considera che una parte di fondi considerati attivi non dovrebbe rientrare nel conteggio. In aggiunta esiste una percentuale, ed è quella che il bravo consulente deve individuare a vantaggio del cliente, che tuttavia è in grado di dare un extra rendimento rispetto al mercato e quindi anche rispetto ad un ETF, anche al netto dei costi e del rischio.   L’analisi dimostra che soprattutto successivamente a momenti di maggiore incertezza i gestori preparati e attivi sono in grado di generare una maggiore performance rispetto al mercato e ai suoi semplici replicanti quali gli ETF.   Chi sottolinea il ruolo dei minori costi degli ETF dimentica di dire che per definizione i trackers non puntano a creare alfa, quindi possono essere superati da una cerchia, seppure ristretta, di fondi a gestione attiva.   La conclusione principale dell’analisi è che per una corretta creazione di portafoglio, il consulente potrà fare ricorso sia fondi a gestione attiva ben selezionati sia ad ETF, soprattutto riguardo la capacità di quest’ultimi di seguire tematiche di investimento particolari (un esempio estremo è l’ETF sulla cannabis) a volte difficilmente replicate con efficacia da fondi a gestione attiva.

Continua a leggere

I PERICOLI DEGLI ETF: MEGLIO LA GESTIONE ATTIVA (PARTE 1)?

Scritto il 22.06.2020

Negli ultimi anni c’è stata una forte crescita degli ETF e degli ETC/ETN, ovvero fondi e strumenti finanziari a gestione passiva.  Il principale vantaggio di tali strumenti, oltre a fornire un più ampio accesso a classi e tematiche d’investimento, è legato al minore costo di gestione non essendoci un lavoro di analisti e fund manager nell’attenta selezione dei titoli ma una replica automatica dei sottostanti dell’indice che si vuole replicare. La popolarità è cresciuta nel tempo poiché, come indicano molti studi, la gran parte dei fondi a gestione attiva non è in grado di battere il proprio benchmark (vedremo come tuttavia queste statistiche devono essere lette ed interpretate con la dovuta cautela). La domanda dell’investitore è semplice: perché avere un costo certo in più (maggiori commissioni) a fronte di una maggiore probabilità di guadagnare meno (sottoperformance)?   La risposta è che un’attenta selezione dei fondi attivi non solo produce maggiore rendimento rispetto al mercato o benchmark di riferimento ma evita anche alcune situazioni di pericolo o diciamo, di larga inefficienza degli ETF, in particolare nelle situazioni di mercato in cui si cerca maggiore protezione da discese e minore volatilità.   Alcuni esempi in questi mesi mostrano quanto gli ETF possano essere inadeguati in certe situazioni. Il recente crollo del petrolio e addirittura una scadenza future sul WTI andata in negativo hanno completamento sballato la capacità di seguire il prezzo del petrolio da parte dello US Oil Fund, uno dei più grandi ETF al mondo sul petrolio, proprio in quanto le logiche automatiche con cui era stato costruito (cambiate successivamente) si sono rivelate fallimentari e pericolose per gli investitori che cercavano di scommettere su una ripresa delle quotazioni. In una simile circostanza è stato molto più efficiente e meno rischioso acquistare un fondo a gestione attiva che investisse in società petrolifere (ad esempio il Blackrock World Energy fund).   Sempre negli scorsi mesi, durante le fasi di forte volatilità e riduzione della liquidità sul mercato, si è assistito al problema della dislocation price sugli ETF, cioè un’inusuale divergenza tra il prezzo di quotazione dell’ETF e il NAV, cioè il valore dei sottostanti. L’effetto può essere anche inverso, cioè la volatilità dei sottostanti viene amplificata in maniera inefficiente da problemi microstrutturali o frizioni di trading presenti nell’operatività degli ETF. Questo, insieme alla mancanza di costi di entrata ed uscita dal mercato e l’ampia diffusione del trading algoritmo rischia di amplificare i movimenti di mercato (si ricordi il flash crash avvenuto nel maggio 2010) nelle fasi di maggiore incertezza.   Un altro problema degli ETF o ETC è l’uso della leva, cioè la possibilità che il prezzo dello strumento si muova di un multiplo prestabilito rispetto all’indice che cerca di replicare. Ad esempio se il mercato sale del 2%, uno strumento a leva 2 dovrebbe salire del 4%. Tuttavia il fatto che le variazioni si calcolano in percentuale sul valore della posizione che cambia a seconda di quanto e come si è mosso il mercato, può comportare che, con il passare dei giorni, ci sia un crescente disallineamento tra la performance dello strumento e quella dell’indice di riferimento, il cosiddetto effetto compounding. Lo si capisce bene quando si considera che se ho perso il 50% su un investimento, anche se dopo ottengo un 50% di rialzo non ho recuperato la perdita, che infatti sarebbe azzerata solo facendo un 100%. Questo fenomeno non avviene se si usa un derivato classico, un future o magari un CFD, strumenti che quindi risultano molto più efficienti da utilizzare soprattutto in un’ottica di copertura dei portafogli nel medio lungo termine.   L’uso degli ETF senza un criterio di selezione crea anche il rischio di diminuire anziché aumentare la diversificazione dei propri investimenti. Alcuni indici azionari nazionali sono sbilanciati verso particolari settori: l’indice azionario in Russia, ad esempio, è sbilanciato verso le società petrolifere, quello in Svizzera verso società farmaceutiche mentre il FTSEMIB in Italia verso titoli finanziari. Un investimento non oculato su un paese o insieme di paesi solo tramite ETF può generare una limitata e non efficiente diversificazione rispetto ad un fondo a gestione attiva.   Infine, un’altra criticità degli ETF non di minore importanza ma spesso non sottolineata a sufficienza, è legata ad aspetti di finanza comportamentale. Essendo negoziabili più facilmente, più velocemente e senza costi di ingresso per il singolo investitore rispetto ai fondi a gestione attiva solitamente consigliati da un consulente, c’è un maggiore rischio di una gestione emotiva e quindi irrazionale e poco efficace ed efficiente da parte dell’investitore fai-da-te.   Per non dilungarmi troppo, ho preferito dividere l’analisi in due articoli. Dopo avere visto, sin qui, alcuni rischi e inefficienze degli ETF, nel prossimo valuteremo i rendimenti di tali strumenti rispetto ai fondi a gestione attiva per arrivare a delle conclusioni. Stay tuned!

Continua a leggere

DA WALL STREET A “ALL RETREAT” (INDIETRO TUTTA): I MERCATI MEGLIO DELLA PLAYSTATION

  • 842
  • 0
  • Consulenza finanziaria
Scritto il 13.06.2020

Mercati in ritirata dopo la grande abbuffata. Solo qualche giorno fa avevo scritto come l’S&P500 fosse tornato su livelli eccessivi e che potesse tornare di nuovo interessante solo a seguito di una correzione, stagionalmente probabile durante il mese di giugno. Come in ogni situazione di mercato, sono necessarie prima le condizioni e poi un evento trigger, un detonatore, che faccia partire un movimento. Le condizioni c’erano tutte: un rally, quasi ininterrotto da metà marzo e quotazioni tornate quasi ai livelli (eccessivi) pre pandemia. Il detonatore è stato il discorso di Powell e nuovi timori per una seconda ondata di contagi in USA, un paese ancora in una fase di emergenza molto peggiore rispetto alla situazione in continuo miglioramento in Europa. La FED prevede un calo del 6.5% del PIL in US nel 2020 e un recupero del 5% nel 2021 e 3,5% nel 2022, a testimonianza del fatto che shock di questa portata richiedono tempo per essere riassorbiti pienamente. Powell ha detto che l’attuale livello di disoccupazione di oltre il 13% è probabilmente sottostimato di altri 3 punti percentuali. In alcuni sui passaggi il governatore della banca centrale americana ha sottolineato come questa sia la più grande crisi “in living memory”, come la preoccupazione maggiore sia il rischio di un danno permanente al sistema produttivo degli Stati Uniti e come la FED può solo prestare danaro a chi ha la capacità di ripagarlo mentre potrebbero essere necessari altri stimoli di natura fiscale per supportare coloro che hanno impossibilità di accesso a tali finanziamenti. Riporto direttamente alcuni suoi passaggi:   “this is the biggest economic shock, in the U.S. and in the world, really, in living memory. We went from the lowest level of unemployment in 50 years to the highest level in close to 90 years, and we did it in two months, extraordinary”   “And I think it's not the risk for the next few months, but it's the risk over time of lasting damage to the productive capacity of the United States”.   “We can only create programs or facilities with broad-based eligibility to make loans to solvent entities with the expectation that the loans will be repaid. Many borrowers will benefit from these programs, as will the overall economy. But for many others, getting a loan that may be difficult to repay may not be the answer. In these cases, direct fiscal support may be needed”.   La grande ondata di liquidità da parte della FED e del Congresso americano (parliamo di circa 3 trillioni di dollari, circa il 14% del PIL) oltre a sostenere l’economia sta portando anche a fenomeni distorsivi che pongono domande sul funzionamento della società americana e la sostenibilità nel lungo termine di certe valutazioni azionarie (su cui scriverò nelle prossime settimane).   Secondo un recente sondaggio (fonte: Yodlee Data Analytics) negli Stati Uniti i sussidi a favore dei cittadini sono stati usati, nelle fasce di reddito tra i 35K e i 100K USD, per i seguenti scopi: 1) accumulare risparmio; 2) utilizzo per spese correnti; 3) trading on line. Sembra che per molti americani, annoiati durante il lockdown, il trading on line sia diventato un’alternativa alla Playstation. I dati delle ricerche su Google mostrano come, nel 2020, si ci sia stata un’esplosione delle ricerche di termini quali “day trading” e “call options, con volumi 3 volte la media degli anni precedenti. Diversi broker in USA non fanno pagare le commissioni di negoziazione ottenendo i profitti finanziando i clienti a leva, un gioco molto pericolo per i neofiti ma anche per i professionisti se la leva è eccessiva o mal gestita. In una smania spasmodica di adrenalina e voglia di arricchirsi si è arrivati alla follia sulle azioni della Hertz, la società dell’autonoleggio che aveva già dichiarato il fallimento settimane fa e che ha visto un rally delle sue azioni del 1000% nelle ultime 2 settimane (per poi dimezzarsi in un colpo solo). Non basta: come conseguenza di questo controsenso, il management della società ha (giustamente) pensato di trarre profitto da questa situazione chiedendo al giudice della procedura fallimentare, caso senza precedenti, di autorizzare l’emissione di nuove azioni per circa un 1 miliardo di dollari al fine di finanziare la ristrutturazione della società. Ciliegina sulla torta: nella richiesta, tra i disclaimer che indicano i potenziali rischi, si fa riferimento al fatto che c’è un alto rischio che le azioni emesse possano valere alla fine nulla.   Quando si passa dall’investire in maniera sensata in borsa al giocare letteralmente sui mercati, al pari di un grande casinò, come esistenti o potenziali seri investitori bisogna farsi qualche domanda in più e magari farsi dare delle risposte da consulenti preparati.

Continua a leggere

CHECK UP DI PORTAFOGLIO: COSA È SUCCESSO E COSA PUÒ SUCCEDERE

  • 799
  • 0
  • Consulenza finanziaria
Scritto il 08.06.2020

Ripartiamo dalle ultime 2 considerazioni fatte in marzo e aprile.  In un podcast del 30 marzo, oltre ad alcune considerazioni sulla prevedibilità di questa crisi, consigliavo di investire nel settore petrolifero e nei cosiddetti megatrend o investimenti tematici, dalla robotica al fintech, dall’intelligenza artificiale alla protezione ambientale.   Ad oggi il prezzo del WTI ha raggiunto i 40 dollari dai circa 27 di fine marzo (oltre il 40% di rialzo) a dimostrazione che, al di là o meno del crollo della domanda, il settore è politicamente supportato dai tagli all’offerta che non permettono di tenere troppo basso il prezzo del greggio per troppo tempo causando eccessivi deficit nei bilanci nazionali di Arabia Saudita, Russia e via dicendo. In parallelo, c’è stato un forte apprezzamento dei titoli e dei fondi legati al settore petrolifero, in particolare in questi ultimi giorni, un trend che dovrebbe continuare.   Riguardo agli investimenti tematici, se si guarda alle statistiche delle precedenti crisi, si nota come i flussi verso questa tipologia di fondi mostrano un andamento in controtendenza rispetto all’uscita dai mercati azionari tipica dei momenti di correzione del mercato. Questo si è verificato anche nel primo trimestre dell’anno, durante il quale molte strategie tematiche hanno sovraperformato rispetto all’indice MSCI World e hanno continuato a farlo anche nelle settimane successive. In particolare, ho recentemente scoperto una nuova area tematica, quella del pet e animal wellbeing (c’è un fondo di Allianz interessante a riguardo) che ha fortemente sovraperformato l’MSCI World e che dimostra tassi di crescita importanti: non sorprende che, anche durante le fasi di difficoltà, le spese per la cura dei propri animali domestici tendono a rimanere abbastanza stabili. Il mercato della pet economy era valutato a USD 132 miliardi nel 2016 ed è stimato a oltre USD 200 mld nel 2025.   Nell’analisi di aprile sull’indice S&P500, indicavo come, dopo il forte recupero dai minimi di marzo, esistessero ancora dei rischi al ribasso e che l’importante soglia da monitorare per ipotizzare una nuova discesa fosse la rottura di area 2550, cioè circa 200 punti sotto il livello di quel momento. Tale rottura non si è verificata ed infatti il mercato ha continuato nel suo progresso guadagnando altri 450 punti, e portandosi a meno di un 6% dai massimi storici del febbraio di quest’anno. Questo recupero, difficile da prevedere in così poco tempo, è legato in particolare a 4 fattori a mio parere:   Azione delle banche centrali e dei governi: non hanno precedenti le quantità di denaro immesse nel sistema sia da parte della Fed con l’espansione del suo bilancio (spingendosi fino all’acquisto diretto di ETF obbligazionari) che da parte del governo americano e nemmeno gli interventi della BCE e dell’unione europea.   I miglioramenti sul fronte sanitario: la discesa delle curve epidemiche in molti paesi in Europa, la riapertura faticosa e graduale ma continua delle attività commerciali e prospettive sempre migliori per cure mediche e vaccino hanno riportato ottimismo tra gli investitori. Nota geopolitica: è interessante notare come i paesi con i leader più negazionisti del fenomeno (USA, Russia, Brasile e UK inizialmente) sono quelli che attualmente primeggiano nella classifica dei casi e dei decessi, nonché della percentuale dei contagi rispetto alla popolazione.   Peso delle grandi corporation: le società con il maggiore peso nell’indice S&P500 come Microsoft, Apple, Amazon, Facebook e Alphabet (insieme rappresentano il 20% dell’indice) hanno tutte bilanci solidi e un business che, durante il periodo di lockdown, non solo non ha avuto particolari scossoni ma è addirittura prosperato (Amazon tra tutte).   Alternativa alle obbligazioni: l’azzeramento dei rendimenti obbligazionari, anche sulle scadenze più lunghe, sposta l’attenzione anche degli usuali investitori in obbligazioni sempre più verso le azioni che diventano “relativamente” più attraenti anche se caratterizzate da una maggiore volatilità dei prezzi.     Cosa fare da adesso in poi?     Qualcuno dice che la vera crisi inizia adesso: superata l’emergenza sanitaria nei principali paesi sviluppati, il peso della recessione economica in Europa così come in USA comincerà a farsi sentire manifestandosi in fallimenti, disoccupazione, aumenti delle sofferenze bancarie ecc.  Nel frattempo l’S&P500 è tornato vicino alle valutazioni (eccessive) dei suoi massimi storici di febbraio: attualmente le valutazioni presentano un forward 12-month P/E di quasi 22, sopra la media storica a 5 anni di 17 e a 10 anni di 15; in aggiunta il forward EPS a 12 mesi di 140 è lo stesso di fine 2017 con un S&P500 che quotava 2750 e non 3200 come adesso. Graficamente potrebbe configurarsi una figura di doppio massimo con l’indice che, dopo avere ritestato i massimi di febbraio, tornerebbe a scendere in questo caso per motivi legati ai danni permanenti post covid sul sistema economico, tanto più se dovesse esserci una seconda ondata della pandemia. In aggiunta il debito nel sistema finanziario globale è sicuramente un problema e non rappresenta un’emergenza solo grazie al sostegno delle banche centrali (ma di questo parleremo in un’altra occasione).     Negli ultimi giorni è scattata la corsa ai ritardatari e una rotazione verso i settori più ciclici a scapito di quelli più difensivi. E’ probabile che il trend di recupero, sia dei petroliferi che dei settori maggiormente penalizzati (hotel, travel, airlines ecc.) possa continuare nel breve. Interessanti i movimenti che si vedono su Boeing o Norwegian Cruises  giusto per citare qualche esempio in USA, legati anche a ricoperture di vendite allo scoperto. L’indice italiano è anche quello rimasto più indietro rispetto ad altri e quindi un ulteriore recupero dei bancari e dei petroliferi nonché di alcuni industriali (si parla di possibili incentivi forti alla rottamazione di auto in Italia, quindi interessanti per FCA ad esempio) dovrebbe supportare il rialzo.  Da un punto di vista stagionale, tuttavia, mi preme ricordare che giugno è statisticamente uno dei peggiori mesi per l’azionario per cui la cautela è d’obbligo e quindi meglio attendere un ritracciamento se si vogliono assumere posizioni più importanti.   IN SINTESI: SI alla caccia ai ritardatari e ai settori inizialmente più colpiti, SI a cautela per probabile correzione nel mese, NO ad S&P500 considerando che a questi livelli comincia a non essere più così interessante senza una correzione.

Continua a leggere

S&P500: SALE O SCENDE?

Scritto il 21.04.2020

In un precedente articolo avevamo individuato in area 2400-2300 un possibile target di ribasso da cui il mercato potesse ripartire.  Il mercato ha effettivamente fatto la peggiore chiusura settimanale a 2300 a metà marzo circa, toccando poi minimi infrasettimanali a circa 2200.   Ripartiamo dalle stesse considerazioni quindi per una nuova analisi.     Avevamo visto che movimenti settimanali così forti al ribasso (superiori al -6%), come quello di fine febbraio, portassero in media a un ulteriore -20% successivamente. Se tuttavia, dei 10 casi considerati, prendiamo quelli con il maggiore ribasso, cioè marzo 2001 (-33%) e aprile 2000 (-43%), sull’ipotesi che l’attuale crisi si avvicini più a quel modello, potenziali target sarebbero in area 2000 e 1700.   Al campione adesso aggiungiamo anche l’ultima barra settimanale tra il 16 e il 23 marzo, da cui possiamo rifare il medesimo conteggio. Ricordiamo che tutte le barre prese in esame presentavano un rimbalzo prima dell’ulteriore discesa, con un massimo del 22%. Considerando che il rally fino ad aprile è di circa il 25%, si può prendere in considerazione proprio quanto accaduto nell’unica circostanza precedente più simile, ovvero calcolando un nuovo minimo più in basso di circa il 20%, portando il possibile target intorno ai 1800, a metà strada tra i 2000 e 1700 appena citati.   Prima conclusione: 1800-1850 sarebbe proprio una possibile area, andando a ritestare gli importanti minimi di supporto del 2016 e 2014.   Passando da un’analisi settimanale su oltre 30 anni a una mensile su quasi un secolo, abbiamo 30 casi in cui la perdita mensile è stata superiore al 10% (mia scelta arbitraria), ovvero il caso di marzo (-13%.)   Circa la metà di questi casi si è verificata nel turbolento periodo tra il ’29 e il ’33, quindi seguiti da cali successivi. Dei rimanenti circa il 20% ha visto poi ulteriori cali mentre il restante 30%, circa 9 casi, ha registrato un recupero. Tuttavia di questi ultimi, solo 3 casi, il 10% quindi del totale, non aveva alle spalle significativi ribassi (la cui estensione era mediamente di 1-2 anni e comunque molto più lunga rispetto all’attuale contesto), con rarissime eccezioni. La più eclatante è proprio la più recente del dicembre 2018, il cui calo precedente è stato di poche settimane e il rally successivo importante e non di breve periodo.  Statisticamente quindi è più probabile che ci siano nuovi cali, anche se l’eccezione più positiva è la più recente: questo credo sia molto legato all’effetto liquidità delle banche centrali e degli algoritmi di acquisto che è più tipico dei nostri tempi rispetto alle situazioni del passato.   Aggiungiamo ora altre osservazioni.   Dal 2000 ci sono stati pochi casi, successivi a 3 settimane consecutive di calo dell'S&P (situazione del mese di marzo) , dopo i quali non si sia verificato un rally di lungo periodo. Non è successo diverse volte nel 2000-2001 come nel 2007-2008, mentre praticamente sempre negli ultimi 11 anni.  Nel frattempo, un rally è già partito proprio a fine marzo (anche con una figura tecnica di bullish engulfing settimanale). Ovviamente la domanda è sempre quella: siamo più in uno scenario 2001 e 2008 o abbiamo già visto il minimo di mercato della più veloce recessione tecnica della storia?   Analizzando quindi il rally partito a fine marzo e guardando la statistica da lato delle settimane positive notiamo che abbiamo 9 situazioni (precedenti alle due registrate già quest’anno) in cui la performance è stata superiore al 6%. Tuttavia, 5 di questi casi hanno registrato un nuovo minimo (tra il -25% e il -30%) nel giro di pochi mesi (da 2 a 12): 3 sono rimbalzi del mercato durante la discesa nella seconda metà del 2008 e 2 nella discesa tra il 2000-2002. Gli altri casi, per lo più, sono avvenuti appena dopo la fine delle crisi citate, portando a lunghi periodi di recupero borsistico. Un dato è certo: questi movimenti avvengono solo in circostanze legate a grandi crisi.   Guardando il bicchiere mezzo pieno, questo rally ci dimostra comunque che siamo rientrati al di sopra della trend line di lungo periodo che parte dal 2009 e che passa intorno ai 2550. I prezzi sono tornati anche sopra un importante indicatore come la media mobile a 200 giorni (in area 2650). Da questo punto di vista l’allarme sembrerebbe rientrato.   CONCLUSIONI:   Il rally partito da fine marzo, dato il forte ipervenduto, ci stava tutto. Semmai sorprende l’estensione e la durata. Tuttavia, considerando la volatilità estrema di queste settimane e gli interventi senza precedenti delle banche centrali e dei vari governi, non è poi così anormale. Difficile pensare che possa continuare senza rifiatare un minimo. La domanda cruciale è capire se si possano rivedere nuovi minimi.   Le stime degli ultimi giorni sull’economia mondiale annunciate dal Fondo Monetario Internazionale e dalle tante case d’investimento, i dati sulla disoccupazione negli Stati Uniti, l’analisi statistica delle situazioni passate che abbiamo visto, il punto di partenza delle alte valutazioni e del leverage nel sistema finanziario globale, sembrerebbero propendere più verso una situazione di ribasso, quindi di nuovi minimi o almeno di una rivisitazione di quelli già visti.   Potenziali triggers, a mio parere, possono essere gli annunci, appena iniziati di fallimenti di alcune società (vedi Virgin Australia) e segnali di stress del mercato (ieri abbiamo visto la distorsione del prezzo del petrolio per la prima volta nella storia in negativo: è solo un fatto tecnico sulla scadenza del future ma riflette comunque la mancanza di domanda e lo stress dal lato dell’offerta). Dal lato sanitario, l’incertezza legata a una seconda ondata della pandemia così come a incidenti di stop and go nella fase 2 potrebbe portare verso uno scenario di ripresa a W non solo dell’economia ma anche del mercato finanziario. Direi che il valore spartiacque da monitorare con attenzione su S&P500 è intorno ai 2550. Watch out!

Continua a leggere

VIRUSTUPIDITY: E’ ARRIVATO IL CIGNO NERO

  • 892
  • 0
  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 24.03.2020

E' arrivato l’arrotino. Magari! Sarebbe bello poter sentire questa voce per le strade in questi giorni e quanto pagheremmo per poterlo far salire a casa, magari solo per un caffè. Invece è arrivato il cigno nero.   In un’intervista di qualche giorno fa, Nassim Nicolas Taleb, un esperto di opzioni finanziarie e  autore del celebre libro “The Black Swan”, da cui è nata la famosa espressione del cigno nero come evento imprevisto che travolge tutto e tutti, cambiando la storia, ha dichiarato che questo evento non sarebbe un cigno nero, in quanto mancherebbe un elemento quale l’imprevedibilità: in pratica la comunità scientifica da anni ipotizzava una possibile epidemia globale.  Lascio ad altri e all’autore della definizione i discorsi filologici sulla corretta definizione di quello che stiamo vivendo. Ricordo solo che durante la crisi del 2008, quando S&P500 fece -50% dai suoi massimi, e che, definizione o meno, fu un disastro finanziario che si scaricò sull’economia reale, alcuni investitori, celebrati dal celebre film “The big short”, videro in anticipo la follia dei mutui subprime.  Eppure nonostante tale prevedibilità, da parte di pochi, non ci scandalizziamo a definire il 2008 un cigno nero.   L’impensabile è dunque arrivato. Quanti ho sentito dire nei giorni passati "è solo un’influenza", quanti capi di stato hanno continuato nel mondo a pensare che per loro fosse un problema marginale, nonostante le immagini che tutti vedevamo in Cina e poi, purtroppo, in Italia. Pensavo: ma sono dei folli! C’è chi ha negato il fenomeno per difesa inconscia, chi invece, molto razionalmente, ha fatto il solito discorso probabilistico: è talmente improbabile una cosa del genere che ovviamente non può succedere,  senza però andare ad analizzare il fenomeno, i dati che, seppure inizialmente confusi, c’erano. Quanti consulenti hanno mandato il classico grafico ai clienti facendo vedere che il mercato nel lungo termine ha superato tutte le epidemie, senza cercare di analizzare che questa potesse essere “leggermente” diversa. Certo nel lungo termine le cose si sistemeranno.  Ne sono convinto anch’io così come ricorda un grande investitore come Buffet. L’apocalisse può attendere (spero). Quindi una buona notizia per chi può aspettare. Aspettare quanto? E per chi non può o non vuole?  La frase completa del celebre economista Keynes è la seguente: “The long run is a misleading guide to current affairs. In the long run we are all dead. Economists set themselves too easy, too useless a task if in tempestuous seasons they can only tell us that when the storm is past the ocean is flat again”.  Mi focalizzo sull’ultima parte: a cosa serve sapere che dopo una tempesta il mare tornerà piatto (lo sanno tutti) se poi sei in mezzo alla tempesta e rischi di affondare oppure sei appena salpato e nessuno ti ha avvertito che poteva esserci cattivo tempo, magari una bella burrasca? Molti, compresi molti consulenti, diranno: era impossibile prevederlo. Ma come? Abbiamo appena detto che proprio l’inventore dell’espressione cigno nero ha ricordato come la scienza lo avesse ipotizzato. E’ ormai famoso il discorso di Bill Gates di solo qualche anno fa che ipotizzava i disastri sociali ed economici di un evento di tale portata. Certo potrebbero succedere tante altre cose spiacevoli nel mondo che per fortuna non accadono e questo ovviamente non ci fa smettere di vivere o di investire. E allora qual è la verità? La risposta è quella che io chiamo  “la teoria del castello di carte”.   Tutti noi ricordiamo i bei tempi della nostra fanciullezza quando ci piaceva costruire dei castelli di carte, sempre più alti, sempre più sfidanti la gravità. Che orgoglio nel farli. Che dispiacere quando di colpo cadevano a terra. Del resto lo sapevamo, sapevamo che più fossero stati alti, tanto più sarebbero stati instabili. Bastava un soffio di vento dalla finestra, lo scherzo della sorellina che dava uno scossone al tavolo, un tremolio della mano, e tutto veniva giù. Da semplici bambini sapevamo che sarebbe accaduto, non sapevano cosa lo avrebbe provocato, ma sarebbe accaduto.  La sua probabilità sarebbe stata tanto maggiore quanto più il castello fosse stato alto, perché la sua fragilità sarebbe stata maggiore.  I bambini a volte possono essere più saggi di noi: non puoi prevedere quando e cosa farà cadere il castello ma puoi misurare quanto il castello sia alto e quindi quanto sia fragile!  Personalmente ho provato a misurare l’altezza di questo castello di finanza, di buyback continui, di debito eccessivo, di algoritmi che dominano il mercato, proprio in un articolo del 1/2/2020 (che invito a leggere o rileggere), meno di 2 mesi fa anche se sembra quasi medioevo. E quanto era alto?  Tra più alti che avessimo mai fatto, alto almeno come quelli del 2000 e del 2008.   Oggi sento le stesse persone o case di investimento che solo fino a qualche settimana, con valutazioni esagerate, parlavano di ottime prospettive per l’azionario e successivamente di correzione salutare, dare indicazioni di cali del PIL mondiale o dei vari paesi da far drizzare i capelli. Si parla di recessione, con il rischio di depressione. Non cito le stime su PIL (da piangere) ma faccio notare come la discesa dell‘ S&P500 è simile per entità e velocità a quelle del 1987 e del 1929. Il VIX, l’indice della volatilità che misura la “paura” degli operatori finanziari, ha superato la scorsa settimana il massimo raggiunto nel 2008. Solo poche ore fa il Fondo Monetario Internazionale da dichiarato che si aspetta una crisi almeno come quella del 2008.   Cosa c’è da fare adesso? In attesa che arrivi la soluzione medica (vaccino e cure farmacologiche), tenere il paziente mondo in vita, attraverso una politica fiscale da parte dei governi che diano denaro direttamente a imprese e cittadini e una politica monetaria delle banche centrali che comprino il debito degli stati e qualsiasi asset finanziario sia necessario ad evitare che si creino default a catena e quindi, che tutto il castello venga giù in un effetto domino. Nel nostro caro paese non si può neppure escludere un intervento modello Amato del 1992, con un prelievo forzoso sui conti correnti per supportare il debito del paese qualora ce ne fosse bisogno.  Magari potrebbe accadere a crisi sanitaria terminata se il paese uscisse con un debito eccessivo e quindi, passata l’emergenza, la BCE ci chiedesse di camminare solo con le nostre gambe.  A livello borsistico potremmo vedere dei recuperi sul mercato italiano legati al raggiungimento del picco delle curve epidemiche che pare si stia materializzando negli ultimi giorni. Tuttavia bisognerà fare i conti con quanto accade nel resto del mondo e su come, passata la fase più acuta della crisi, si possa gestire al meglio il lento recupero della normalità, impossibile senza che tutti gli altri paesi al mondo non risolvano lo stesso problema.   In attesa che le istituzioni nazionali e sovranazionali continuino ad adottare i provvedimenti più opportuni  e creativi data l’eccezionalità della situazione, l’investitore attento e ben consigliato, pronto a salpare in attesa che splenda di nuovo il sole, ha preferito rimanere nel porto a guardare quelle barche o barchine avventurarsi imprudentemente al largo senza badare troppo ai nuvoloni lontani all’orizzonte.

Continua a leggere

VIRUSINDEX: FIN QUI È STATO FACILE, ADESSO VIENE IL DIFFICILE

Scritto il 13.03.2020

Fare una previsione sull’andamento del mercato finora è stato relativamente semplice grazie al combinato di valutazioni eccessive, ricorrenze statistiche, situazione sanitaria eccezionale. Da adesso in poi ci potrebbe essere uno spartiacque e l’analisi diventa più complessa. Andiamo per ordine e analizziamo ciò che successo e cosa potrebbe accadere.   Prima ricorrenza statistica confermata (citata nel mio articolo del 14/01/2020): dopo al massimo sei correzioni (min 10% - max 19,9%) del’S&P500 c’è stata di nuovo una recessione (ribasso del 20%) che si è verificata con la chiusura di ieri sotto circa i 2700. Come direbbero a Wall Street, l’orso è arrivato. Cosa può succedere da questo punto in poi? Le fasi di ribasso presentano in media un -35% di discesa, con una mediana intorno al -30%. Inoltre nel 40% dei casi sulle 20 recessioni tecniche avutesi  in circa un secolo, il movimento ribassista non ha superato il 30%. Considerando che l’attuale ribasso si attesta intorno al 26%, abbiamo quasi una probabilità su due che il movimento di discesa sia vicino al suo minimo. Faccio notare che un movimento di circa il -30%, porterebbe l’indice intorno ai 2350, area dei minimi toccati a fine 2018 in circostanze credo meno preoccupanti di questa. Ricordiamo anche che le ultime due recessioni, 2000 e 2007, hanno fatto circa il -50% ciascuna. Una simile caduta porterebbe l’indice in area 1500-1600, che guarda caso, rappresentano i massimi del 2000 e 2007, un’area da considerare come un valido supporto di lungo periodo in questa ipotesi più pessimistica.   Seconda ricorrenza statistica sull’entità del movimento settimanale a fine febbraio (vedi quanto scritto il 3/3/2020): il rimbalzo è stato di circa il 6%. Avevamo visto come l’entità del rimbalzo variasse, in simili circostanze, da un minimo del 2,5% a un massimo di circa il 21%, con una media vicina al 12%. Il rimbalzo che effettivamente si è materializzato possiamo quindi considerarlo ridotto rispetto al “solito” e non c’è da sorprendersi data l’eccezionalità della situazione che stiamo vivendo. In simili circostanze la discesa media successiva era stata del 22%. Anche in questo caso, un -20% dai valori di chiusura di fine febbraio, ci porterebbe appena sotto i minimi del 2018.   In sintesi abbiamo due indizi statistici che puntano verso i 2400-2300 come minimo di mercato probabile.   Prima di arrivare a delle conclusioni diamo anche uno sguardo al mercato domestico. Com’era facile immaginare data la situazione, era quasi scontato che si raggiungessero i valori sul FTSEMIB di fine 2018 quando abbiamo avuto una correzione del mercato ma per motivi meno allarmanti. Il target successivo sarebbe stato intorno ai minimi del 2016, raggiunti e superati ieri. Un importante supporto di lungo periodo è proprio in area 14800, valore intorno al quale si è fermato ieri il ribasso. In termini tecnici la definirei come la linea del Piave, sotto la quale rischiamo di rivedere i minimi del 2009 e 2012. Notiamo come la violenta correzione sul mercato italiano abbia fatto, al momento oltre il 40% di ribasso, toccando i minimi a 14,600. Se una situazione simile si ripetesse sul mercato USA, rivedremmo i 2000 punti su S&P500.     Conclusioni   Quanto sta succedendo in Italia rappresenta un modello dell’evoluzione della crisi sanitaria che, visto anche i ritardi ad agire negli altri paesi, potrebbe ripetersi facilmente anche in Europa. Le curve dello sviluppo del contagio indicano che i principali paesi europei sono in ritardo rispetto a noi di circa 9-10 giorni. Da un punto di vista finanziario quindi, potremmo vedere cali maggiori sui mercati azionari di questi paesi piuttosto che in Italia dove l’effetto finanziario è arrivato prima. In Italia inoltre, avremo circa 14 giorni di incertezza prima di poter valutare l’efficacia delle forti misure restrittive partite da poco. Un periodo nel quale i dati sanitari molto probabilmente peggioreranno (questo è atteso), ma sarà importante valutare di quanto e a che velocità per fare già in anticipo una previsione su quanto potrebbe accadere tra 14 giorni.  Questo sarà un ulteriore driver del mercato, insieme a notizie, speriamo positive e rapide, su nuovi rimedi farmacologici e agli annunci sul piano fiscale e di politica monetaria dei vari attori.   E’ fondamentale capire come si evolverà la crisi sanitaria negli USA e questo è ancora più difficile da ipotizzare data l’imprevedibilità di Trump e la struttura sanitaria ospedaliera americana giudicata non all’altezza se l’emergenza dovesse raggiungere proporzioni importanti.   L’eccezionalità della crisi, purtroppo troppo facilmente sottovalutata dalla classe politica e dalla comunità scientifica (mi riferisco soprattutto al di fuori dell’Italia), potrebbe materializzarsi effettivamente in un cigno nero. Non aiuta in questo senso né la guerra sul petrolio scatenatasi all’improvviso tra Arabia Saudita e Russia e neppure gli approcci goffi di intervento sul mercato da parte della BCE (figuraccia della Lagarde ieri che ha fatto rimpiangere alla prima uscita Draghi).   Raccomandazioni:   I livelli d’ingresso sul mercato azionario USA (ed anche Italiano sui minimi di ieri) sono sicuramente da sfruttare per degli acquisti. Ricordiamoci che nel lungo termine, l’investimento in borsa è quello maggiormente redditizio (vedi mio articolo del 18/2/2020). Definire se siamo di fronte ad un cigno nero è difficile adesso, quindi: per chi è fuori dal mercato si continua ad accumulare sui ribassi; per chi si fosse coperto è tempo già di prendere qualche profitto ma senza abbassare la guardia; per chi non avesse ancora fatto nulla…è tempo di parlare con un consulente.   N.B. Riporto quanto già scritto giorni: In questa eccezionale situazione così improvvisamente creatasi, molto più che in una situazione di voto politico in cui si è chiamati a fare scelte per la nostra società, è fondamentale il contributo di ogni singolo cittadino nell’adottare il comportamento più attento e consono al fine di superare questa fase storica nel nostro paese così come nel resto del mondo. Dipende da ciascuno di noi.

Continua a leggere

VIRUSINDEX: SOLO I NUMERI CI SALVERANNO

Scritto il 03.03.2020

Il movimento al ribasso settimanale (-9,30%), che si è materializzato il 28 febbraio sull’S&P500, rimane uno dei più significativi della storia del mercato americano negli ultimi anni. Per curiosità sono andato a vedere cosa sia successo negli ultimi 20 anni ogni volta che si è verificato un simile crollo nell’arco di una settimana borsistica.   Ho selezionato tutti i movimenti superiori al -6% (scelta mia arbitraria), identificando 15 casi. Di questi, con escursioni simili a quella della settimana scorsa, quindi tra un -8% fino al record -18%, ce ne sono solo 5 di cui 3 legati ai mesi di settembre, ottobre e novembre 2008, gli altri 2 all’ aprile 2000  e al settembre 2001…non certo una bella compagnia!  Degli altri 10, con variazioni tra il -6% e il -8%, 3 sono legati alla crisi del 2008-2009.  Escludendo il caso del marzo 2009, minimo assoluto dell’S&P500 degli ultimi 20 anni, in tutti i restanti casi l’indice ha fatto poi nuovi minimi nelle settimane successive, performance negative che spaziano da un -3% a un -43%, con una media di circa -20%. In 4 di questi 14 casi non c’è stato alcun rimbalzo prima di fare nuovi minimi. Il caso della settimana scorsa è quindi più comparabile, quindi, con i 10 casi rimasti in cui tale rimbalzo si è verificato. L’entità del rimbalzo varia da un minimo del 2,5% a un massimo di circa il 21%, con una media vicina al 12%. La statistica, in questi casi, non è certo a favore di un movimento di recupero nel breve termine ma semmai di ulteriore discesa.   In un precedente articolo del 14 gennaio 2020 scrivevo “nei circa 90 anni presi in esame, ci sono state al massimo 6 correzioni consecutive prima di avere una recessione. Includendo quella citata di fine 2018 il conteggio è ormai a 6 quindi la prossima correzione del 10% dai massimi, se non fosse violata la sequenza statistica, sarebbe solo la prima fase di una recessione”. Ebbene la correzione di settimana scorsa, ai massimi del 19 Febbraio, è stata di quasi il -13%. Questo significa, che se fosse rispettata questa sequenza, ci sarebbe spazio di discesa fino ad almeno il -20% dai massimi di febbraio, ossia intorno ai 2700 punti, realizzando la prima recessione tecnica dal 2009.   Premesso che nessuno ha la sfera di cristallo e quindi si cerca di ragionare su dati statistici, serie storiche e qualsiasi strumento possa essere utile alla “navigazione” mi sento di dire che:   L’annuncio del taglio dei tassi da parte della Fed in un contesto simile non può avere la solita efficacia in quanto il problema non è direttamente economico ma sanitario.   Gli unici numeri importanti da guardare sono quelli dei tassi di accelerazione/decelerazione e diffusione del contagio in Italia, nel resto degli altri paesi al mondo e sempre più negli USA.   Come scritto solo un paio di giorni fa, i rimbalzi possono essere utili, per coloro che hanno portafogli più dinamici, per impostare strategie di protezione del portafoglio o di ribilanciamento verso asset meno rischiosi in attesa che passi la burrasca.

Continua a leggere

VIRUSINDEX: DUE POSSIBILI SCENARI E CONSIGLI OPERATIVI SUI PORTAFOGLI

Scritto il 01.03.2020

Dei due scenari che avevo ipotizzato qualche giorno fa (vedi articolo del 26 febbraio) sembra che, purtroppo, si stia materializzando il secondo, in altre parole una situazione in cui simultaneamente anche i vari paesi europei e quelli del resto del mondo cominciano a registrare una rapida crescita del contagio e sono costretti a dover mettere in atto le stesse misure di contenimento adottate dall’Italia, con tutte le devastanti conseguenze sulla vita sociale ed economica. Difficile dire in questo momento se, partendo più tardi, possano avere maggiori problemi nel contenimento o semplicemente partire da una situazione meno compromessa. Difficile dire anche quanto ciascun paese possa essere più efficiente rispetto a un altro nell’azione di contenimento. Credo che comunque quello che stiamo facendo in Italia sia molto importante: se si riuscisse a contenere il fenomeno in maniera ragionevole sarebbe un grosso segnale di fiducia per gli altri che partono, forse, in ritardo. In ogni caso uno stallo, anche temporaneo di tutto il sistema economico mondiale, oggi fortemente interconnesso, causa  effetti fortemente negativi sull’economia, e quindi sui mercati finanziari, in un mondo caratterizzato da una forte leva finanziaria facilitata negli ultimi anni da politiche monetarie molto accomodanti. In questo caso più che all’azione delle banche centrali e ai loro modelli di politica monetaria bisognerà guardare ai modelli matematici dei virologi e agli esperti in ricerca farmacologica. In passato ci sono state tante altre crisi legate ad altri virus, molto più pericolosi ma anche molto meno contagiosi. Mai in passato avevamo visto però queste misure eccezionali adottate prima in Cina, adesso in Italia, e probabilmente presto nel resto degli altri principali paesi al mondo.   Guardando ancora più avanti, a mio parere, il worst-case scenario, lo chiamerei “scenario Taranto” (non me ne vogliano i Tarantini), cioè una situazione nella quale tra la certezza di bloccare lungamente la vita economica e non lavorare e il rischio di ammalarsi per farlo, accetteremo il rischio quale male minore. In pratica, se i paesi maggiormente industrializzati al mondo non dovessero riuscire a contenere il fenomeno sul nascere (un po’ come se durante una gara di Formula 1 ti si buca una ruota e devi rientrare ai box per cambiare gomma: perdi del tempo ma sai che se non ti fermi rischi di rovinare tutta la macchina e non poter più vincere la gara), a quel punto i sistemi sanitari collasserebbero e quindi i più deboli sarebbero lasciati indietro per permettere a tutti gli altri di andare avanti. Insomma, alla fine se ne verrebbe fuori comunque, ma a un prezzo in termini di vite e di economia assai più alto.   Passando a un discorso più operativo, cosa fare riguardo agli investimenti in essere o potenziali? Come non c’è una medicina uguale per tutti i pazienti, allo stesso modo non esiste una risposta identica per tutti gli investitori e quindi ogni portafoglio è costruito non solo in base alle dinamiche di mercato, che sono uguali per tutti, ma soprattutto in relazione agli obiettivi e ai vincoli di ognuno, quindi diversi per ciascuno. Semplificando prendiamo in considerazione 3 categorie: quelli che hanno un portafoglio bilanciato/dinamico, quindi maggiormente esposto ai rischi di volatilità e in questo caso di discesa delle quotazioni, quelli con portafogli più prudenti e conservativi, quelli completamente fuori dal mercato. Analizzando a ritroso: Quelli completamente fuori dal mercato: le correzioni di questi giorni possono essere un buon momento per iniziare a creare gradualmente delle posizioni selezionando con attenzione settori, mercati o singoli titoli (vedi mio articolo su Eni del 24 febbraio).   Quelli con portafogli maggiormente prudenti: data la poca volatilità di tali portafogli in questo momento meglio attendere gli sviluppi e stare alla finestra e al massimo, se si hanno la volontà/possibilità di voler aumentare il proprio profilo di rischio, iniziare a comprare in maniera selettiva.   Quelli con un portafoglio bilanciato/dinamico: si parla di possibili manovre delle banche centrali nel weekend o nei prossimi giorni, possibili annunci di manovre fiscali espansive da parte di governi. A mio parere in questa situazione le politiche economiche rischiano di avere un effetto limitato perché il problema non è economico ma sanitario. In attesa, quindi, che si trovi una soluzione medico-scientifica, soprattutto in presenza in eventuali rimbalzi dei mercati, si possono usare in maniera tattica strumenti di Hegang come alcuni ETF/ETC, eventualmente anche future e opzioni, acquistare alcuni fondi d’investimento correlati negativamente rispetto ai mercati, focalizzarsi sui beni rifugio, in particolare il Treasury americano a 30 anni, alcune valute quali franco svizzero e yen. L’oro, tipico bene rifugio, ha una sua valenza, anche se, nel sell-off dei giorni scorsi, ha visto una brusca correzione.     In questa eccezionale situazione così improvvisamente creatasi, molto più che in una situazione di voto politico in cui si è chiamati a fare scelte per la nostra società, è fondamentale il contributo di ogni singolo cittadino nell’adottare il comportamento più attento e consono al fine di superare questa fase storica nel nostro paese così come nel resto del mondo. Dipende da ciascuno di noi.

Continua a leggere

VIRUSINDEX: DOVE VANNO I MERCATI

  • 800
  • 0
  • Mercati finanziari / economia
Scritto il 26.02.2020

Voglio chiamarlo il Virusindex, un nuovo indicatore di mercato. Cerchiamo di usare i dati oggettivi sul contagio per analizzare quello che già successo e quello che potrebbe succedere sui mercati finanziari. Vediamo prima i dati sul fenomeno epidemiologico e poi quelli sui mercati.   Dati sul coronavirus derivati dallo studio epidemiologico cinese su oltre 70mila casi pubblicato il 17 febbraio: contagioso come l’influenza, tassi di mortalità intorno alle 2-3% (uomini 2,8%, donne al 1,7%) che tuttavia scendono allo 0,9% se si considerano persone che non avevano problemi generali legati ad altre patologie, infatti i tassi salgono dal 5,6% in caso di malati oncologici a circa il 10% in caso di malati con patologie cardiache. I rischi di mortalità sono dello 0,2-0,4% per le fasce di popolazione fino a 50 anni e salgono fino al 15% per chi ha oltre 80 anni (tuttavia è facile immaginare che nelle classi di età maggiori ci siano più persone con precedenti patologie quindi il rischio legato solo all’età è sicuramente più basso anche se non c’è un dato disaggregato).   In sintesi: è facilmente trasmissibile e soprattutto un pericolo per le persone più deboli soprattutto non avendo un vaccino e avendo un tasso di mortalità più alto rispetto alla semplice influenza che si aggira su circa 0,1%.  Nel caso dell’influenza, infatti, esiste la possibilità di proteggere le categorie più deboli a priori piuttosto che dover poi curarle in massa in emergenza (in Italia abbiamo circa 8000 decessi annui correlati all’influenza nonostante una copertura vaccinale di circa il 50% per persone sopra i 65 anni che sono oltre 13 milioni). Tutti questi dati per spiegare (altrimenti sarebbero forse tutti impazziti i politici cinesi, quelli italiani…?) quello che abbiamo visto nei giorni scorsi in Cina, con milioni di persone in quarantena e che stiamo vedendo adesso nel nord del paese. Ci si meraviglia dell’atteggiamento di reazione delle persone (corsa ai supermercati, limitazioni di spostamenti ecc.) ma se poi ai primi casi si manda personale medico in assetto da guerra batteriologica e si chiudono aree con l’esercito è normale che la reazione (a volte troppo allarmistica certamente) sia quella. Non puoi mandare l’esercito da un lato e dire comportatevi come al solito dall’altro senza generare “perplessità”.   Quanto premesso serve ad arrivare all’aspetto economico della questione in quanto poi i comportamenti di massa, giusti o sbagliati che siano dai diversi punti di vista, determinano conseguenza economiche importanti. Un fattore sembra chiaro da un punto di vista operativo: il contenimento è l’unica soluzione e le ripercussioni sulla vita sociale ed economica sono inevitabili e si può solo cercare di mitigarle il più possibile. In caso contrario, se non ci facesse nulla, probabilmente avremmo fra qualche mese migliaia di morti e il paese in difficoltà e panico in ogni caso. Quindi meglio togliersi il dente subito e riprendere a mangiare bene quanto prima piuttosto che aspettare che la carie mi faccia fuori anche gli altri denti.   Passiamo ora ai fatti economici: la Cina ha visto il fenomeno esplodere da metà gennaio e l’accelerazione dei contagi fuori della provincia di Hubei ha raggiunto il suo massimo ai primi di febbraio per poi iniziare a scendere. In parallelo la borsa cinese (rimasta chiusa per diversi giorni) ha visto il suo minimo il 2 febbraio. Se quindi volessimo tracciare un parallelo con la situazione italiana, in circa un paio di settimane dallo scorso weekend potremmo toccare il picco della situazione sanitaria italiana e quindi anche il mercato borsistico italiano potrebbe toccare dei minimi in quel periodo. Aggiungiamo che l’importante correzione nei giorni scorsi è partita dai livelli più alti degli ultimi undici anni, quando il FTSEMIB aveva rotto nella prima parte del mese di febbraio livelli di resistenza non violati dal 2009. Potremmo dire che ci poteva stare anche senza la crisi del virus. Se guardiamo all’S&P500 la correzione è partita dai massimi storici di tutti i tempi. Qualcuno ha preferito uscire o per prudenza (magari appena entrato e spaventato) o per alleggerire posizioni in ampio guadagno. Da un punto di vista delle logiche di volatilità e di comportamento dei mercati azionari non è successo assolutamente nulla.   Conclusione: al di là di considerazioni sulle valutazioni degli indici azionari americani e su come opportunamente investire (vedi alcuni miei articoli delle settimane scorse) a mio parere ci possono essere due scenari: Scenario “Film già visto”: l’Italia è la nuova Cina e quello che abbiamo già visto lì (pare che lentamente l’attività economica stia ripartendo visto che il fenomeno sanitario è sotto controllo) sta già succedendo dai noi e ci concluderà alla stessa maniera anche dal punto di vista dei mercati finanziari.   Scenario “Film nuovo”: l’incognita vera è se quello che sta succedendo in Italia si ripeterà anche negli altri paesi europei. Qualcuno dice che i controlli sono stati pochi da parte degli altri governi per cui i casi effettivi sono solo nascosti. Altri dicono che in UK, ad esempio, sono stati fatti molti controlli così come in Italia ma i casi sono pochissimi. Se la situazione fosse stata sottovalutata dagli altri o se comunque il fenomeno italiano si ripetesse anche a catena tra i vari paesi europei (anche gli USA stanno mostrandosi attenti alla loro situazione interna) l’effetto di blocco concatenato e simultaneo delle varie attività tra i vari paesi dovuto alla paura e alla necessità di cambiare abitudini per fronteggiare l’allargamento dell’epidemia, potrebbe portare ad uno scenario sicuramente molto penalizzante a livello economico.     Sotto qualsiasi scenario è bene fidarsi delle indicazioni e dei consigli degli esperti in materia di mercati ed investimenti così come adesso ci si chiede di fidarci degli esperti in materia sanitaria per evitare il fai da te.

Continua a leggere
Condividi