Dopo 4 giorni di suspence, Biden è stato dichiarato 46° Presidente degli Stati Uniti d’America. Trump non vuole rassegnarsi alla sconfitta, ma ha poco a cui appigliarsi. Certo, una battaglia legale non risulterà salutare agli Usa e al mondo intero, per quanto l’esito appaia scontato.
Trump, doveroso dirlo, ha fatto bene al mercato azionario: la sua netta riforma fiscale, il protezionismo spinto e la forte de-regulation, hanno dato vigore a un mercato rialzista che durava già da diversi anni. Solo il Covid ha potuto scalfirlo, e solo per un paio di mesi. Il mandato presidenziale termina con l’indice S&P 500 a +45%, o più del 10% annualizzato.
Biden saprà fare altrettanto? Cosa si aspettano i mercati dalla sua presidenza?
IL PROGRAMMA BIDEN
L’agenda del nuovo Presidente è chiara: revisione al rialzo delle tasse sulla Corporate America, forti stimoli fiscali per contrastare gli effetti economici della pandemia, finanziamento del Green New Deal.
Inoltre Biden si propone di regolamentare severamente Wall Street, soprattutto in tema di bonus, dividendi e buyback; in campo sanitario punta a un controllo del costo dei farmaci e ad ampliare l’accesso all’assicurazione sanitaria, riprendendo il programma Obamacare; mira alla regolamentazione dei colossi Tech, ma proteggendo la proprietà intellettuale Usa in China; sul piano industriale punta ad incentivi per creare posti di lavoro senza focus alla bilancia commerciale; sull’ambiente il primo passo è rientrare negli accordi di Parigi, abbassando i limiti sulle emissioni derivanti da idrocarburi.
IL MERCATO CON UNA PRESIDENZA DEMOCRATICA
Partiamo col dire che tutti i Presidenti hanno dato ritorni positivi all’azionario dal dopoguerra, eccetto G.W.Bush che ha preso in mano l’America in cima alla bolla dot.com e ha concluso il suo secondo mandato nel pieno della Grande Crisi Finanziaria del 2008.
In generale la vittoria del candidato sfidante ha prodotto rendimenti minori all’anno elettorale rispetto a una vittoria del presidente uscente.
Tuttavia le presidenze democratiche hanno storicamente dato rendimenti maggiori all’indice americano, 9,7% contro 6,7% negli ultimi 100 anni.
Gli ultimi 6 presidenti, eccetto G.W.Bush, hanno consegnato al mercato rendimenti annualizzati a doppia cifra. I risultati maggiori proprio con due democratici, Clinton e Obama, che hanno dato rispettivamente +16,7% e +16,5% annualizzato agli investitori.
QUINDI CHE FARE?
Secondo la maggioranza degli analisti, in questo scenario politico, l’azionario dovrebbe continuare ad aver vento in poppa: favoriti settore infrastrutture, rinnovabili e ciclici; penalizzati tech e energetici. I tassi dovrebbero rimanere stabili grazie ai programmi della Fed, anche se i forti stimoli fiscali potrebbero portare ad un rialzo più veloce dei tassi. Infine, tassi bassi d’interesse e una debolezza relativa dell’economia, potrebbero portare a una svalutazione del dollaro.
Queste previsioni, a mio parere, lasciano sempre il tempo che trovano. Il contesto attuale è dominato dalla politica monetaria fortemente espansiva che favorisce l’azionario in generale. È l’effetto TINA – There Is No Alternative, ovvero non c’è alternativa all’investimento in azioni perché gli altri assets offrono rendimenti bassissimi, che non ripagano del rischio.
L’America resterà centrale nell’economia mondiale, soprattutto in quella finanziaria, dove conta per il 55-60% dell’indice mondiale. Con questa politica monetaria, e con la debolezza dell’Europa causata dal Covid, avere meno del 50% di America nel proprio portafoglio potrebbe non essere una buona idea.
Così come restare cauti nell’esposizione azionaria: i rendimenti compressi dei bond portano certamente a ritorni nulli, con qualche rischio all’orizzonte. Non bisogna aver paura di partecipare al rialzo azionario, che non sarà lineare ma inevitabilmente intervallato da veloci ribassi: l’abbondanza di liquidità e la ricerca disperata di rendimenti consentono di legittimare multipli fino ad ora inconcepibili.